Nepi: Flora – Fiori e erbe selvatiche

ERBE SELVATICHE e OFFICINALI
Vi proponiamo una raccolta di schede di erbe e fiori selvatici, che potete trovare lungo i nostri sentieri, con le caratteristiche, la commestibilità e le loro proprietà:

 

  • Mentuccia o nepitella (Clinopodium nepeta): è una pianta aromatica, appartenente alla famiglia delle Lamiaceae e del genere Clinopodium. Il nome specifico (nepeta) è stato usato per primo da Gaio Plinio Secondo (Como, 23 – Stabiae, 25 agosto 79]), scrittore, ammiraglio e naturalista romano, per una pianta aromatica (“erba gatta”) e fa riferimento alla cittadina di Nepi in Etruria. La nepitella è perenne ed erbacea, è latifoglia, la fioritura comincia a inizio estate e si protrae fino a inizio autunno. Queste piante raggiungono un’altezza di 20–40 cm (massimo 80 cm). La forma biologica è emicriptofita scaposa (H scap), ossia in generale sono piante erbacee, a ciclo biologico perenne, con gemme svernanti al livello del suolo e protette dalla lettiera o dalla neve e sono dotate di un asse fiorale eretto e spesso privo di foglie. Per queste piante sono previste anche forme biologiche diverse come camefita suffruticosa (Ch suffr), piante perenni e legnose alla base, con gemme svernanti poste ad un’altezza dal suolo tra i 2 ed i 30 cm (le porzioni erbacee seccano annualmente e rimangono in vita soltanto le parti legnose). Tutte le parti di queste piante hanno un leggero odore di menta. La nepitella è una buona pianta mellifera, soprattutto perché fiorisce dall’estate fino all’arrivo dell’autunno. Si può produrre del miele ma è rarissimo, perché la pianta anche se è abbastanza comune, non è mai abbondante, comunque è molto bottinata dalle api ed è buona una fonte di nettare e polline. Nella cucina toscana accompagna molti piatti a base di funghi, soprattutto porcini. Nel Lazio si usa per la preparazione dei carciofi alla romana. In Irpinia, (Campania) sotto il nome di “zenzifero” è unita con ricotta per costituire ripieno di ravioli magri e frittate, o per preparare un particolare liquore aromatico. In Sicilia entra a far parte dell’aromatizzazione delle olive da tavola, per il gusto e l’odore che trasmette quando posta in salamoia con esse; viene utilizzata anche come ingrediente nella preparazione di una tipica frittata pasquale detta “frocia”. In generale in cucina è usata come condimento. Nell’uso culinario non deve essere confusa con la menta romana (Mentha pulegium), la quale ha un sapore molto più forte, ed a Roma viene usata per la preparazione dell’agnello e della trippa alla romana.

 

  • Acetosella (Oxalis acetosella): L’Oxalis acetosella (nome comune Acetosella dei boschi) è una piccola pianta alta fino a 12 cm, appartenente alla famiglia delle Oxalidaceae. Il nome comune della pianta (acetosella) deriva dal sapore acidulo (ma anche aspro) delle foglie usate anticamente come condimento per le insalate e che ricorda appunto l’aceto. È usata in erboristeria come depurante, diuretico, rinfrescante, facendone un decotto di 20 g di foglie fresche in 1 l d’acqua e bevendone massimo due tazze al giorno. Le foglie se masticate disinfettano i denti e il cavo orale. Similmente all’acetosa è considerata un buon rimedio per dermatosi e ascessi (applicando le foglie dello stesso decotto precedentemente descritto), decongestionante e febbrifugo. Il decotto della radice (20 g in 1 l d’acqua) bevendone due tazze al giorno rende più elastica la pelle. La pianta viene utilizzata fresca poiché essiccandola perde molte delle sue proprietà. I suoi principi attivi sono gli ossalati e gli antrachinoni. La pianta contiene tra l’altro acido ascorbico (vitamina C). Anticamente (nel Medioevo) si usava come condimento. Al pari dell’acetosa, arricchisce di sapore verdure e minestre. Dalle foglie si può ricavare una bevanda dissetante (quasi una limonata). Le radici possono essere usate come gli asparagi.

 

  • Anemone (ranunculaceae): comprendente un centinaio di specie di cui alcune spontanee dell’Europa mentre altre provenienti dal Sudafrica o dal Sud America. Gli anemoni sono debolmente velenosi, anche per il bestiame, a causa della presenza di protoanemonina, sostanza irritante per le mucose e per la pelle. La protoanemonina si trasforma in anemonina, innocua, con l’essiccamento.

 

  • Aralia: Fatsia japonica, detta anche pianta di carta a foglia lucida, fatsi, falso olio di ricino, o aralia giapponese, è una specie di pianta da fiore della famiglia delle Araliaceae, originaria del Giappone meridionale, della Corea del Sud e di Taiwan.

 

  • Bucaneve: Il bucaneve è un fiore invernale tutto da scoprire, con i suoi delicati petali color bianco crema che portano un senso di purezza e speranza. Viene utilizzato per curare il mal di testa, come antidolorifico e come antidoto in caso di avvelenamento. Dal bulbo del bucaneve viene estratto un alcaloide, chiamato galantamina, che viene utilizzato nella formulazione di un farmaco utilizzato in caso di demenza, disturbi di memoria soprattutto di origine vascolare e Alzheimer. Esso permette di innalzare i livelli di acetilcolina, un neurotrasmettitore che rende possibile il trasferimento degli impulsi nervosi in molteplici punti del sistema nervoso centrale e periferico.

 

  • Celidonia (Chelidonium majus): Pianta erbacea perenne, alta da 30 a 90 cm, a fusto ramificato e a nodi ingrossati. Le foglie sono lobate, alterne, imparipennate, color verde-bluastro, più chiare o grigie nella pagina inferiore. I fiori hanno calice composto da due sepali caduchi e corolla con 4 petali gialli, venti stami, ovario supero. Il frutto, allungato, apparentemente una siliqua, in realtà è una capsula, ovvero un frutto secco deiscente che deriva da un ovario pluricarpellare. Un esempio di capsula lo si può trovare nel Papaver somniferum, definito anche papavero da oppio. Dai rametti spezzati esce un latice giallo-arancio che è uno dei tratti inconfondibili della pianta. Il colore è dovuto ad un alcaloide benzilisochinolinico contenuto nel latice stesso, definito chelidonina. Esposto all’aria, il lattice ossida rapidamente e scurisce. I principi attivi di questa pianta sono per lo più alcaloidi isochinolinici, in particolare la copticina, ma anche berberina e sparteina. La pianta viene tradizionalmente utilizzata nella medicina popolare per uso esterno. Contro le verruche, si applica il lattice fresco nella zona interessata, lasciando asciugare. In omeopatia è stata sperimentata come componente di miscele per pediluvi e lavaggi delle mani. Nella cultura gitana è usata nei pediluvi, per dare sollievo alle gambe. Come altre Papaveraceae ha azione purgativa e sedativa e un’azione spasmolitica sulla muscolatura liscia. In dosi moderate veniva assunta in infuso o decotto, per esempio nelle campagne del lodigiano e cremasco, mescolata al tarassaco per una bevanda depurativa del fegato, ma la tossicità di alcuni principi contenuti ne sconsiglia l’utilizzo interno a meno di supervisione esperta. È evitata dalle bestie da pascolo, per il sapore acre e disgustoso.

 

  • Ciclamino selvatico (Cyclamen): è un genere di piante spermatofite dicotiledoni appartenenti alla famiglia delle Primulaceae (o Myrsinaceae secondo la classificazione APG[1]), dall’aspetto di piccole erbacee tuberose e dai delicati fiori rosati. Nella medicina popolare le piante di questo genere sono indicate con le seguenti proprietà: emmenagoghe (regola il flusso mestruale), vermifughe (elimina i vermi intestinali) e purganti, ma anche dotate di proprietà abortive. Ma tutti sono d’accordo nel consigliarne un uso moderato in quanto le radici sono tossiche. In cucina non si deve usare: è una pianta velenosa.

 

  • Clerodendrum thomsoniae: è un genere di piante appartenente alla famiglia Lamiaceae, comprendente oltre 300 specie arboree e arbustive; quelle arboree raggiungono i 9 m di altezza.

 

  • Farfa o Farfaraccio (petasites hybridus): è una pianta erbacea, rustica con numerosi capolini brunastri, appartenente alla famiglia delle Asteraceae. Sostanze presenti: olii essenziali, glucoside, mucillagini, tannini, e sali minerali vari. Proprietà curative: nella medicina popolare queste piante vengono usate per le loro proprietà vulnerarie (guarisce le ferite), sedative (calma stati nervosi o dolorosi in eccesso), bechiche (azione calmante della tosse), diaforetiche (agevola la traspirazione cutanea), cardiotoniche (regola la frequenza cardiaca) ed emmenagoghe (regola il flusso mestruale). Parti usate: rizomi, capolini e foglie. Le foglie hanno la proprietà di calmare la tosse, invece appena raccolte vengono applicate sulle ulcere per ottenere una rapida cicatrizzazione. In cucina viene sconsigliato l’uso edule in quanto questa pianta contiene alcuni alcaloidi epatotossici (alcaloidi pirrolizidinici).

 

  • Farfaraccio maggiore o butterbur (Petasites hybridus) è una pianta erbacea, rustica con numerosi capolini brunastri, appartenente alla famiglia delle Asteraceae. Sono piante perenni che possono raggiungere anche i 120 cm di altezza durante la fruttificazione (dimensioni minime 15 cm) e presentano un forte dimorfismo tra le foglie cauline e quelle radicali. Sostanze presenti: olii essenziali, glucoside, mucillagini, tannini, e sali minerali vari. Proprietà curative: nella medicina popolare queste piante vengono usate per le loro proprietà vulnerarie (guarisce le ferite), sedative (calma stati nervosi o dolorosi in eccesso), bechiche (azione calmante della tosse), diaforetiche (agevola la traspirazione cutanea), cardiotoniche (regola la frequenza cardiaca) ed emmenagoghe (regola il flusso mestruale). Parti usate: rizomi, capolini e foglie. Le foglie hanno la proprietà di calmare la tosse, invece appena raccolte vengono applicate sulle ulcere per ottenere una rapida cicatrizzazione. In Cucina viene sconsigliato l’uso edule in quanto questa pianta contiene alcuni alcaloidi epatotossici (alcaloidi pirrolizidinici). E’ stata usata per vari propositi e una volta si ricavava da essa un specie di burro (da cui il nome “butter”). Nell’antichità veniva impiegata come rimedio per le ulcere. Poi cominciò a essere utilizzata anche come rimedio per il mal di testa, disturbi respiratori, febbre, allergie, problemi gastrointestinali. L’estratto puro raccolto in compresse o pillole è la forma oggi più usata soprattutto nella prevenzione naturale dell’emicrania.

 

  • Tossilaggine comune (Tussilago farfara) o Tussilago, Farfarella, Farfaro, Farfarugìne, Farfugio, Paparacchio, Pataccio, Piè d’asino, Zampa di mula. È una pianta erbacea, perenne, dai fiori gialli simili alle “margherite”, appartenente alla famiglia delle Asteraceae. È l’unica specie del genere Tussilago. Il rizoma è strisciante dal fusto eretto, squamoso e lanoso che si sviluppa prima delle foglie. Il capolino, inserito singolarmente sul fusto, può essere pendulo sia prima che dopo la fioritura. È una pianta molto precoce, tra le prime a fiorire alla fine dell’inverno. Il nome generico deriva dal latino ‘tussis agere’ (far tossire), per le proprietà espettoranti: è in effetti una delle piante officinali più apprezzate nella cura della tosse e delle affezioni della pelle. Contiene però piccole quantità di alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e potenzialmente cancerogeni. Il nome specifico è quello di una pianta citata da Plauto e Plinio, forse derivante da Fàrfaro (oggi Farfa), fiume della Sabina affluente del Tevere. Il periodo di fioritura è da febbraio ad aprile. La Farfara è una delle piante più conosciute in erboristeria, ma viene usata anche in farmacologia contro la tosse e l’asma (bechica-azione calmante della tosse ed espettorante-favorisce l’espulsione delle secrezioni bronchiali). Altre proprietà sono: antinfiammatorie (attenua uno stato infiammatorio), decongestionanti (diminuisce l’apporto sanguigno in una data parte del corpo), sedative bronchiali, antinevralgiche (calma le infiammazioni di derivazioni nervosa) ed emollienti (risolve uno stato infiammatorio). La radice invece è usata come diaforetico (agevola la traspirazione cutanea). Le parti usate sono i fiori raccolti senza gambo prima della completa fioritura con i quali (una volta essiccati) si preparano tisane e infusi. Le foglie invece si raccolgono in estate e senza gambo. In alcune regioni italiane viene regolamentata la massima quantità di raccolta di questi fiori. Gli alcaloidi pirrolizidinici presenti nella pianta possono provocare cirrosi epatica ed epatocarcinoma, mentre i lattoni sesquiterpenici reazioni allergiche. In cucina le giovani parti della pianta possono essere usate crude come insalata o cotte come contorno. La presenza di alcuni alcaloidi però ne consiglia un uso moderato.

 

  • Gentiana: Si tratta di piante annuali, biennali e perenni. Alcune sono sempreverdi, altre no. La disposizione delle foglie è opposta. Sono anche presenti foglie che formano una rosetta basale. I fiori sono a forma di imbuto; il colore è più comunemente azzurro o blu scuro, ma può variare dal bianco, avorio e dal giallo al rosso. Questi fiori sono più frequentemente pentameri, cioè hanno una corolla formata da 5 petali, e generalmente 5 sepali o 4-7 in alcune specie. Lo stilo è abbastanza corto oppure assente. La corolla presenta delle pieghe (pliche) tra un petalo e l’altro. L’ovario è quasi sempre sessile e presenta nettarii. Secondo quanto afferma Plinio il Vecchio, questo genere di piante prese il nome di genziana dopo che Genzio (180-168 a.C.), re dell’Illiria, affermò di averne scoperto le proprietà curative. Molte specie, infatti, sono usate come “piante medicinali” e le loro radici sono usate per la preparazione di liquori tonici, per esempio nel francese suze e nell’acquavite di genziana, prodotto nella Val Rendena. La genziana è utilizzata come aromatizzante negli amari e in alcuni aperitivi. Celebre è, ad esempio, l’Amaro Sibilla, prodotto nell’appennino marchigiano proprio con questa erba sin dal lontano anno 1868, ma è anche tra gli ingredienti del Fernet Branca, dello Stomatica Foletto e dell’Aperol. In Abruzzo è famoso ed esportato in tutto il mondo l‘amaro a base di Gentiana, un infuso dalle altissime proprietà digestive, preparato secondo ricette locali che variano da località a località. Tra queste è molto ricercata (quanto difficilmente reperibile perché non ne esistono versioni commerciali) quella tipica del contado di L’Aquila che prevede, tra gli ingredienti, il vino povero di vigne montane, il cosiddetto acetello, che conferisce all’infuso un inconfondibile e pregiato retrogusto amarognolo. La variante utilizzata per liquori e tisane è la variante Gentiana Lutea o Genziana Lutea, quella dai fiori gialli.

 

  • Mughetto (Convallaria majalis): è una pianta erbacea perenne, rizomatosa, appartenente alla famiglia delle Asparagaceae (precedentemente inclusa nelle Liliaceae).È alto fino a 20 cm. È spontaneo nelle zone prealpine italiane. È diffuso in Europa, Nord America e Asia. Il nome Convallaria deriva dalla denominazione latina Lilium convallium o giglio delle convalli; viene chiamato volgarmente mugherino, convallaria e fioraliso e presenta alcune varietà a fiore rosa. L’aroma di mughetto è usato in profumeria, ma spesso gli è preferito quello di sintesi. Utilizzata per le proprietà medicinali di alcuni glicosidi come la convallatossina, convallamarina, convallarina e acido convallarico.

 

  • Orchidea selvatica: Le orchidee selvatiche in Italia comprendono 29 generi e 190 tra specie e sottospecie.La quasi totalità delle specie sono piante geofite con l’eccezione di Liparis loeselii, Malaxis paludosa e Spiranthes aestivalis che possono essere considerate piante epifite in quanto si sviluppano su tappeti di muschi e sfagni o nelle torbiere.

 

  • Carota selvatica (Daucus carota) è una pianta erbacea dal fusto di colore verde appartenente alla famiglia delle Apiaceae; è anche uno dei più comuni ortaggi, e il suo nome deriva dal greco Karotón. La carota spontanea è diffusa in Europa, in Asia e nel Nord Africa. Ne esistono molte e diverse cultivar che sono coltivate in tutte le aree temperate del globo. Allo stato spontaneo è considerata pianta infestante e si trova facilmente in posti assolati ed in zone calde e sassose. La carota è coltivata a fittone radicale di colore bianco nelle varietà da foraggio ed arancio nelle varietà da ortaggio (cristalli di caroteni nei cromoplasti delle cellule parenchimatiche). La carota è ricca di vitamina A (Betacarotene), B, C e E, nonché di sali minerali e zuccheri semplici come il glucosio. Per questo motivo il suo consumo favorisce un aumento delle difese dell’organismo contro le malattie infettive. Le carote si possono cucinare in vari modi, sia grattugiate con il succo di limone per contrastare con la sua acidità la dolcezza della carota. Si possono anche cucinare al vapore. Vengono talvolta usate per accompagnare il soffritto con il sedano e le cipolle. Inoltre sono famose le torte di carote, spesso insieme alle mandorle. Grazie al suo gusto dolce e zuccherino per la presenza del fruttosio contenuto in essa, la radice della carota è usata per fare il succo di frutta alla carota e marmellata di carote.

 

  • Pepe d’acqua della famiglia delle Polygonaceae, è una pianta erbacea annuale, glabra, verde chiara, alta mediamente da 20 a 90 cm., provvista di radice fittonante. Fibrosa e di fusti prostrato-ascendenti, cavi, generalmente arrossati, lungo i quali sono disposte in modo alterno numerose foglie con lamina intera, lanceolato-acuminata, finemente dentellata sul bordo, percorse da una nervatura centrale anch’essa rossiccia; queste foglie al ben che minimo assaggio rilevano un sapore acre, bruciante. Alla sommità dei fusti compaiono in estate (da luglio a ottobre) le lunghe spighe fiorifere con asse flaccido, arcuato, su cui sono disposti di media da 20 a 50 piccoli fiori (3-4 mm.) a perianzio bianco o screziato di rosa, punteggiati da ghiandole brunastre. I frutti (3,5 X 2,5 mm.), botanicamente acheni, hanno forma vagamente cuoriforme-allungata, di colore bruno, con superficie finemente rugosa, quasi piani su una faccia, crenato-convessi sull’altra, hanno il medesimo sapore delle foglie e sono stati adoperati per insaporire i cibi come succedanei del pepe. La pianta di Circumboreale che cresce in tutta l’Italia, nei luoghi umidi e fangosi (è un erba indicatrice di suoli da umidi a bagnati, pesanti, poco aerati, acidi ma ricchi), è molto comune lungo i fiumi e corsi d’acqua minori della pianura e in annate particolarmente piovose tende a comparire in massa nelle stazioni preferite. Sia la pianta fresca che i suoi semi (controindicati per le persone sofferenti di reni) hanno proprietà stimolanti, ipotensive, diuretiche, carminative, antidolorifiche nelle mestruazioni, coagulanti ed emostatiche-uterine. La pianta pestata ed applicata sulla pelle è rubefacente e talora vescicante. In cosmetica l’estratto fluido è usato per favorire la crescita dei capelli, inoltre l’infuso o il decotto di Pepe d’acqua (20-30 gr.di pianta secca in un litro d’acqua) costituisce un ottima lozione tonica e astringente per il viso. In alcune località italiane si consigliano le foglie da masticare per alleviare il mal di denti. Il pepe d’acqua pare fosse già conosciuto nella preistoria dall’uomo che lo raccoglieva per aromatizzare i cibi; nel Medioevo la pianta era utilizzata per tingere alcuni tessuti in giallo. Si raccoglie in primavera ed estate. Seccati e conservati i fiori e le foglie sono succedanei del pepe e del peperoncino.

 

  • Spaccapietra o cedracca o Erba ruggine (Ceterach officinarum) è una felce della famiglia delle Aspleniaceae. La pianta raggiunge un’altezza di 6–20 cm. La foglia è di forma lineare o lanceolata, opaca, a dal taglio simile a una piuma con 9-12 tratti ad angolo ottuso semicircolari od ovali, ognuno ricoperto da rimanenti scaglie con una disposizione che ricorda quella dei laterizi sul tetto di una casa. Il nome Spaccapietra è dato dal fatto che nasce tra le pietre e le spacca. Nel Medioevo la cedracca veniva utilizzata come medicinale contro le malattie della milza. Chiamata anche Erba Ruggine per la patina di spore rossastre disposte nella pagina inferiore della foglia, secondo gli antichi testi questa piccola felce bollita con il vino “dissolve le ostruzioni del fegato e della milza“. Secondo recenti ricerche internazionali sull’uso curativo delle piante tradizionali in Italia, alla Spaccapietra sono attribuite proprietà espettoranti per il muco, sedative per la tosse e diuretiche. Gli effetti più interessanti di questa pianta, si hanno invece a mio avviso sulla sua capacità di sciogliere i calcoli renali: l’infuso delle foglie, ricche di sali minerali, mucillagini e tannini, favorisce la riduzione e l’eliminazione dei piccoli calcoli e della renella. Le indicazioni e la tradizione la vedono efficace anche per i calcoli uretrali e vescica. L’uso medicinale della Spaccapietra e di altre felci della stessa famiglia confermano l’azione diuretica e astringente. Nelle indicazioni d’uso, si legge dell‘efficacia di questa pianta nell’ingrossamento della milza, nell’incontinenza urinaria, nei calcoli e nell’ittero. Preparata in infuso con 1 cucchiaino di foglie sminuzzate ogni 250 grammi d’acqua bollita, consiglio di lasciarla riposare coperta per 10 minuti e di berla al mattino a digiuno. I suoi benefici si apprezzano subito: c’è un immediato sollievo dal dolore post colica renale; inoltre l’uso continuativo porta ad una prevenzione nella formazione di nuovi calcoli. Una tazza di Spaccapietra a giorni alterni è più efficiente nella prevenzione della semplice acqua, e ne potenzia di molto l’azione diuretica. Il nome Ceterach deriva dal latino “Ceterum = il resto, il rimanente“, e per la sua capacità di rimuovere gli eccessi che tendono a “restare” nel corpo , la inseriamo in alcune formulazioni utili in caso di ritenzione di liquidi, gonfiore e obesità. Altre proprietà sono: Riduce le infiammazioni e gli spasmi; Calma i dolore; Riduce la febbre (sconsigliato però nei bambini con meno di 5 anni); È leggermente lassativo; Protegge e depura il fegato; Elimina virus, batteri e vermi intestinali; Aumenta la minzione ed è un potente diuretico (utile in caso di insufficienza renale); Riduce la pressione arteriosa; Regola i livelli di zucchero e di colesterolo nel sangue; Migliora la digestione.

 

  • Pan delle bisce: Il gigaro chiaro (Arum italicum) è una piccola pianta erbacea dei sottoboschi appartenente alla famiglia delle Araceae. Comunemente conosciuto come calla selvatica o pan di serpe, è una pianta erbacea velenosa che viene coltivata anche a scopo ornamentale in vaso e nelle aiuole del giardino. ATTENZIONE Tutta la pianta è velenosa; solo il contatto con la pelle provoca dermatiti. Si sono verificati casi di avvelenamento mortale in bambini attratti dalle sue bacche rosse, anche se difficilmente vengono ingerite in grande quantità, poiché la loro masticazione crea immediato dolore alla bocca. Il componente velenoso è l’acido ossalico (in particolare i cristalli di ossalato di calcio) che però scompare con la cottura; infatti in tempi di carestia le popolazioni contadine mangiano i tuberi dopo averli cotti. La parte ipogea (il rizoma) di questa pianta contiene amido e alcuni principi tossici (in parte eliminabili con l’essiccazione o la cottura). Altre sostanze contenute: grassi e saponine. La pianta ha in genere un sapore acre di pepe. Nella medicina popolare un preparato, polverizzando i tuberi, veniva usato come antielmintico (elimina svariati tipi di vermi o elminti parassiti) e antireumatico (attenua i dolori dovuti all’infiammazione delle articolazioni).

 

  • Pervinca (Apocynaceae): originario dell’Europa e dei tropici, comprendente specie erbacee perenni, erette o striscianti, note con il nome comune di pervinca. Come piante ornamentali, per aiuole in zone ombreggiate, per decorare freschi sottobosco, oppure coltivate in vaso e per usi erboristici. Da questo genere è possibile estrarre anche una sostanza chiamata vincristina, la cui attività antitumorale è riconosciuta: è in grado di interferire la formazione del fuso mitotico delle cellule cancerogene. La sua sintesi risulta essere un po’ difficile.

 

  • Polmonaria (Pulmonaria officinalis): è una pianta della famiglia delle Boraginacee, diffusa in Europa. Per via della composizione chimica, caratterizzata dalla presenza di mucillagini e saponine, questa pianta in letteratura è considerata dotata di effetto emolliente, espettorante e in generale tossifuga. La Pulmonaria in passato era un utile rimedio nelle malattie polmonari, non esclusa la tubercolosi. A questa pianta non può essere attribuita che una leggera azione diaforetica, mentre una maggior importanza potrebbe esserle riconosciuta in considerazione del suo notevole contenuto di vitamina C, di carotene e anche di manganese. Essa potrebbe essere pertanto, utilmente associata a preparati vitaminici e ricostituenti.

 

  • Cotoneaster franchetii: arbusto sempreverde di grandi dimensioni, alto e largo fino a 3 m., con foglie verde-grigio ed esili rami arcuati molto allungati; produce piccoli fiori bianco-rosati in agosto a cui seguono piccole bacche tondeggianti di colore rosso-arancio a grappoli, molto decorative ma non commestibili, lievemente tossiche per gli animali, che rimangono sulla pianta tutto l’inverno.

 

  • Evonimo europeo o fusaggine: Arbusto deciduo di grandi dimensioni tipico della flora spontanea italiana, con foglie piccole, rosso fiammante in autunno; i fiori di maggio sono verdastri e poco significativi; in estate producono capsule di semi in un involucro arancione racchiuso in quattro lobi molto decorativi, di colore rosso fragola simili a bacche, non commestibili che quando si schiudono creano un bel contrasto cromatico.

 

  • Olivello spinoso, o hippophae rhamnoideso: Arbusto deciduo di grandi dimensioni con rami spinosi e foglie grigio-argento, simili a quelle dell’oleandro o dell’ulivo, si può trovare spontaneo in Italia. Produce piccole bacche di colore arancione intenso, se nei paraggi ci sono sia la pianta maschio che femmina, che ricoprono i rami per tutto l’inverno; sono commestibili e officinali con proprietà ricostituenti, lenitive e cicatrizzanti.

 

  • Portulaca Oleracea (Portulaca, Porcellana comune, Porcacchia): Pianta estiva, diffusissima in tutta Italia. La pianta cresce soprattutto in larghezza, raggiungendo un’altezza massima di 15-20 cm. Ricca di acidi grassi Omega-3, vitamine del gruppo B, vitamina A, C e moltissimi microelementi. Foglie, fiori e rametti giovani vengono consumati crudi in insalata, ottimo nutrimento e preventivo di malattie cardiovascolari.

 

  • Taraxacum officinale (Tarassaco): Diffuso in tutta Italia, ecco un altro dono che possiamo utilizzare nella nostra alimentazione, usufruendo delle sue proprietà medicamentose: ottimo diuretico e purificatore del fegato, blando antinfiammatorio e stimolante dell’attività pancreatica, permette di espellere il colesterolo in eccesso aiutando la prevenzione di malattie cardiovascolari come l’infarto e l’ictus. Contiene flavonoidi, potassio, calcio e le vitamine A, B, C e D. Ottime le foglie crude in insalata fresca, o cotte in padella con olio e aglio. Le radici, sradicate in autunno ed essiccate, si utilizzano come succedaneo di un caffè privo di caffeina, molto utilizzato nel dopoguerra per la mancanza del più noto caffè ai tempi molto costoso. C’è chi dice di consumare anche il gambo cavo, cotto o meglio crudo, utilissimo per patologie diabetiche, certamente non in alternativa alle cure classiche. Il “latice” biancastro e amarissimo sembra funzionare per eliminare verruche e porri. Quel che è certo invece è il suo potere macchiante, difficile da togliere dai tessuti. Foglie e radici vengono anche utilizzate per aromatizzare birre vegetali ed aperitivi.

 

  • Chenopodium album (Farinello comune, Spinacio selvatico): Il Farinello, parente stretto dell’Amaranto, è una pianta estiva molto vigorosa, cresce in tutta Italia ed è considerata infestante. Può raggiungere dimensioni ragguardevoli sia in altezza che in larghezza, e proprio come il suo cugino Amaranto, è un alimento molto nutriente. A seconda dalle fasce climatiche, il chenopodio si può raccogliere da aprile a maggio. Molte specie hanno delle proprietà usate dalla medicina popolare come quelle antiscorbutiche (combatte lo scorbuto con la presenza di vitamine) del Chenopodium bonus-henricus, oppure antelmintica (elimina svariati tipi di vermi o elminti parassiti) proprietà derivata soprattutto dall’olio essenziale chiamato “essenza di chenopodio”. Altre proprietà sono sempre secondo la medicina popolare: carminative (favorisce la fuoriuscita dei gas intestinali), stomachiche (agevola la funzione digestiva), antiflogistiche (guarisce dagli stati infiammatori) e digestive in generale. Altre piante come il Chenopodium foetidum sono antispasmodiche (attenua gli spasmi muscolari, e rilassa anche il sistema nervoso) e antireumatiche; mentre il Chenopodium chilense ha proprietà vermifughe (elimina i vermi intestinali). CucinaQueste piante sono sempre state utilizzate come alimentazione umana. Ad esempio la specie Chenopodium quinoa era chiamata “riso minore” dalle popolazioni peruviane. In certi periodi è stato uno dei cibi di base dell’alimentazione nelle zone montane dell’America del sud prima che gli europei introdussero in quelle zone i cereali eurasiatici. Per lungo tempo la specie Chenopodium bonus-henricus ha sostituito validamente lo spinacio. Un’altra pianta alimentare è il Chenopodium capitatum conosciuto tra l’altro anche nell’emisfero australe. Conosciuto è anche il Chenopodium virgatum i cui frutti sono simili alla fragola (ma solo morfologicamente). Il Chenopodium album è coltivato (o veniva coltivato) nell’America boreale dagli indiani del Nuovo Messico e dalle tribù abitatrici dell’Arizona. In certi casi i minuti semi possono essere usati come il “riso” oppure macinati per produrre della farina; altrimenti si consumano le giovani foglie come insalata o in minestra o cotte come gli spinaci. L’uso culinario di queste piante è molto antico, da ricerche fatte sembra che gli uomini se ne cibassero già 6000 anni fa. Le foglie si possono mangiare crude in insalata oppure cotte in padella come i normali spinaci o come ingrediente per minestre. In alcune regioni le foglie sono utilizzate per insaporire gnocchi, o come ripieno nei ravioli. I semi sono anch’essi commestibili e possono essere cotti come il riso. Il nome farinello deriva dalla polverina bianca (simile alla farina) presente nella parte inferiore delle foglie, molto evidente anche al tatto.

 

  • Helminthotheca Echioides (Aspraggine volgare): Pianta erbacea molto diffusa in Italia. Da giovane presenta una rosetta, che a seconda dell’ambiente può avere inizialmente foglie molto tenere e amarognole, commestibili anche crude. Con la crescita tende a sviluppare quasi subito una folta peluria sulle foglie ed un fusto centrale che può arrivare in fioritura anche oltre un metro di altezza. Le foglie molto pelose e il nome stesso (dovuto in realtà al sapore aspro del suo lattice) non favorisce il suo consumo nella cucina popolare. Si tratta tuttavia di una pianta dalle eccellenti qualità alimentari. Come tutte le spontanee, molto ricca di sali minerali e vitamine, dopo lessatura (obbligatoria per via dei suoi peli) ha un sapore dolce e vellutato, che ben si associa ad erbe più amare.

 

  • Borrago Officinalis (Borragine): Pianta spontanea presente in tutta l’Italia mediterranea, anche nelle zone collinari soleggiate o semisoleggiate. Nasce in fine estate – autunno ed ha una crescita molto rapida, può raggiungere altezze d’uomo, specialmente in primavera quando la pianta produce dei caratteristici fiorellini blu, fonte di nettare per le api, dai quali si formeranno i semi, usati per produrre l’olio di borragine (dai numerosi effetti medicamentosi). Le foglie cotte in padella o lessate insieme ad altre erbe sono commestibili, usate tradizionalmente in molti piatti tipici, come ripieni, o per le famose frittelle di borragine. Ricca di minerali essenziali quali calcio e potassio, acidi grassi essenziali Omega-6, acido gammalinoleico e acido linoleico. Anche i fiori sono commestibili e possono essere aggiunti ad insalate fresche, creando un bellissimo effetto estetico.

 

  • Cichorium Intybus (Cicoria comune): Pianta spontanea presente praticamente ovunque in Italia, ne esistono molte varietà con foglie leggermente diverse ma identici valori nutrizionali. Le sue proprietà sono eccezionali, sia in fitoterapia, dove si usano le radici, sia nella normale alimentazione (foglie). La parte aerea si può mangiare sia cruda che cotta, anche se con la cottura si perdono alcune proprietà. La cicoria comune è ampiamente nota come depuratrice del fegato e del sangue, tanto che già nell’antica Grecia veniva raccomandata nei problemi epatici. Aiuta a mantenere basso il livello del colesterolo. Ricca di sali minerali (ferro, calcio, fosforo) e vitamine (A, C, B1, B2, B3).

 

  • Plantago Lanceolata e Plantago Major (Piantaggine): La piantaggine è un’erba infestante commestibile, dalle proprietà nutrizionali e medicinali eccezionali. Utilizzata fin dall’antichità classica, la piantaggine è stata usata in passato, oltre come ingrediente per minestre, anche abbondantemente come cibo per animali, che crescevano sani e robusti, per poi essere dimenticata e sostituita dai moderni mangimi. Dimenticata anche nell’alimentazione umana, la piantaggine è ricca di glucosidi, flavonoidi (luteolina), mucillagini, tannini, pectine, acido salico e sali minerali. E’ diffusa ovunque, alta non più di 30 cm, è presente quasi tutto l’anno ma durante la stagione estiva tende a seccare o ridurre la vegetazione, mentre cresce rigogliosa dall’autunno alla primavera e produce delle spighe con moltissimi semi all’interno. Tutte le parti della pianta sono commestibili senza controindicazioni, sia crude in insalata che cotte, ed usate per le spiccate proprietà medicinali: espettoranti, antibatteriche, antistaminiche, antibiotiche, depurative, diuretiche.

 

  • Sonchus (Oleraceus, Asper, Arvensis, Grespino comune, Grespino spinoso, Grespino campestre): L’uso del Grespino a fini alimentari è antichissimo, già Plinio il vecchio lo citava nei suoi scritti, pianta ad oggi purtroppo quasi dimenticata. E’ presente su tutto il territorio, altezza fino a 1 metro. Ne esistono diverse varietà, tutte praticamente identiche nell’utilizzo. Tutta la pianta è commestibile, anche i gambi teneri, il sapore è dolce. Considerata (da qui il nome) verdura da orto per la sua bontà, raramente si può trovare ancora in vendita su qualche banco di verdure, specialmente al sud. Le foglie tenere si usano in insalata, mentre quelle più dure o spinose lessate rapidamente o ripassate direttamente in padella. Unite a erbe come cicoria o tarassaco ne attenuano il sapore amaro, fornendo ulteriori proprietà depurative, epatoprotettrici e diuretiche. Ricca di vitamina C e sali minerali quali ferro, calcio e fosforo.

 

  • Amaranthus Retroflexus (Amaranto selvatico): Pianta estiva, cresce in tutta Italia, molto infestante e vigorosa, può arrivare a superare l’altezza di un uomo. Usata da sempre come alimento per piccoli animali da allevamento, i suoi semi sono ricchissimi di proteine e microelementi quali calcio, ferro, fosforo e magnesio. Ritenuta pianta magica da queste antiche popolazioni, il suo utilizzo si è quasi azzerato nel tempo a causa delle imposizioni dei conquistatori che ne vietarono la coltivazione. I semi non contengono glutine, sono un ottimo alimento per tutte le età fin dallo svezzamento. Le foglie, anch’esse commestibili, si possono consumare crude in insalata o cotte.

 

  • Strigoli (Silene Vulgaris): Questa piccola pianta, diffusa nei luoghi incolti, è probabilmente una delle più ricercate in cucina per il suo sapore, anche se la sua raccolta richiede un po’ di tempo. Si presenta con numerosi rametti che difficilmente raggiungono più di 60 cm. Prima della fioritura, i getti teneri e le foglie si possono consumare crudi in insalata, ma il meglio di sé lo si ha nei preparati per primi piatti. Pasta, risotti, ripieni, ma anche la classica frittata di strigoli e cipolla. Le giovani pianticelle possono essere colte dall’autunno fino a primavera inoltrata, ma è proprio tra marzo e aprile che le si nota in gruppo sbucare come tante piccole lance. Vanno colte recidendo l’apice nel punto in cui il fusticino non oppone resistenza. Così facendo, la pianta ricaccerà prolungando il periodo di raccolta. Se durante una passeggiata in campagna oppure in montagna vi imbattete nei fiori ancora verdi e teneri, poco ingrossati, potete consumarli come snack salutare. La classica foglia di lattuga in un panino può essere sostituita con le foglie più giovani. Le stesse foglie sono ottime crude per arricchire le insalate di una nota croccante. ATTENZIONE a non confondere le foglie di Silene con quelle di Saponaria, ottima per un bucato green, ma non da consumare nel pane o nel piatto! Il caratteristico stridio delle foglie di Silene e un’unica nervatura centrale dovrebbero bastare per distinguerle da quelle di Saponaria che non “stridono” e sono attraversate longitudinalmente da più nervature.

 

  • Saponaria (Saponaria officinalis ) è una pianta spontanea plurienne della famiglia delle Caryophyllaceae. Il suo nome scientifico fa riferimento alle proprietà detergenti e medicinali della pianta, ben note fin dall’antichità. Le foglie (dimensioni da 4 a 12 cm) sono lanceolate, lisce, opposte e sottili, con tre o cinque nervature parallele e senza picciolo. Nell’attaccatura delle foglie basali più grandi crescono altre foglioline. Il fusto eretto e glabro è alto da 40 a 70 cm. I fiori (in grappoli lassi) sono di colore rosa, ma saltuarialmente anche bianco, con cinque petali revoluti, delicatamente profumati e si aprono di sera. Nell’emisfero boreale la fioritura avviene tra giugno e settembre. La saponaria è stata usata per molto tempo nella medicina popolare e per il lavaggio della lana e per i detersivi per la casa. I principi attivi sono saponine (acido saporubinico e saprubrinico), mucillagini, resine, flavonoidi, vitamina E, gomma, vitessina. Le saponine sono contenute in tutte le parti della pianta, in modo particolare nelle radici, che può contenerne fino al 20 percento nel periodo della fioritura. Possiede proprietà diuretiche, colagoghe, diaforetiche e depurative ma l’uso interno può dare luogo a fenomeni di intossicazione, con sintomi di nausea, vomito e diarrea. I medici arabi la consigliavano per curare la lebbra, le dermatiti e le ulcere. Dalla pianta, in particolare dalla radice, si ricava un detergente delicato per l’igiene personale e per le stoffe, utilizzato anche nel restauro di manufatti antichi.

 

  • Asparagi selvatici: Appartenenti alla famiglia delle Liliacee, crescono prevalentemente nei campi incolti, ai bordi boschi e nelle olivete; di aspetto sottile e di colore verde, di questi asparagi si raccolgono i giovani turioni che crescono dalla fine di Gennaio fino alla fine di Aprile. Gli asparagi selvatici sono molto ricercati per il loro gusto particolarmente delicato, deliziosi lessati e conditi con olio, limone e sale. Vengono utilizzati anche come ingredienti di frittate, risotti, zuppe o crudi nelle insalate. Contengono vitamina A, quasi tutte le vitamine del gruppo B, sodio, potassio, fosforo, magnesio, ferro, zinco, rame e iodio. Hanno proprietà diuretiche, depurative, lassative e dimagranti. Aiutano a combattere la cellulite, a purificare e rendere luminosa la pelle. Contengono asparagina e per questo aminoacidi e molti sali minerali. Dopo il consumo alimentare dell’asparago, nell’organismo, si forma il metilcaptano, sostanza che viene eliminata attraverso le urine che dà quel caratteristico odore appunto di asparago. Inoltre, per il loro alto contenuto di potassio, gli asparagi rappresentano un alimento molto positivo per il cuore e i muscoli.

 

  • Valerianacee (Valerianella, gallinetta, lattughino): Pianta erbacea perenne con fusti erbacei. Ha le foglie inferiori a rosetta spatolate oblunghe, le superiori acute dentate. I fiori sono raccolti in corimbi di colore azzurro tendente al bianco. Comune nei campi e nei luoghi erbosi incolti. Il periodo di raccolta è da aprile a maggio. Ha proprietà antiscorbutiche per l’alto contenuto in vitamina C. Il momento in cui la piantina risulta più tenera e gustosa, e la grande presenza di principi attivi la rendono sana e nutriente, è quando si presenta come una semplice rosetta di foglie verdi. Questa piantina, conosciuta anche con i nomi di soncino, molesino, dolcetta, gallinella, lattughino, ha conquistato negli ultimi anni le tavole di tutti.

 

  • Rucola o Ruchetta selvatica: In Italia cresce spontanea nei campi, e dove il terreno si fa più arido le conferisce un sapore più piccante e ricercato, e se le giornate sono favorevoli se ne può raccogliere parecchia da portare a casa, senza spesa, una grossa quantità da utilizzare in maniere diverse. Tuttavia molti sono soliti coltivarla negli orti o, addirittura, in vasi sul balcone, dove il suo sapore diventa più amabile, per dare un tocco più gustoso alle insalate. Diffusa nell’antichità, non mancava mai sulle tavole dei Romani: lo testimoniano poeti come Orazio e Marziale che ne parlano come di erba magica. Era, infatti, considerata simbolo dell’unione fisica per le sue accertate virtù di rinvigorire il desiderio dei sensi. Si racconta che, durante le processioni dedicate a Priapo, divinità dell’eros, fauni e satiri si cingevano il capo con ghirlande di rucola. Ha, inoltre, proprietà diuretiche e depurative e, come tale, è utile per disintossicare l’organismo dopo i bagordi estivi, depurare il sangue e ridurre la ritenzione idrica che incide sul volume del nostro corpo.

 

  • Ortica (Urtica dioica): è una pianta della famiglia delle Urticaceae. Cresce spontaneamente in tutta Italia e se volete usarla in cucina dovete raccoglierla in primavera. I getti primaverili si possono raccogliere e consumare con tutto il fusto ma solo se non sono più alti di 15 – 20 cm. Più i getti sono piccini e più questa verdura sarà tenera nel piatto. Per sfruttare l’ortica in cucina, ricordatevi di usare i guanti. Se avete raccolto delle cimette più grandi, prima della cottura tritatele. L’ortica, una volta cucinata, avrà perso interamente tutto il suo potere irritante. Dell’ortica, le parti commestibili sono diverse ma quelle più tenere e saporite sono le foglioline apicali e la parte superiore del fusto, le cosiddette cimenteranno. L’ortica ha proprietà antianemica: il ferro e la clorofilla di cui abbonda stimolano la produzione di globuli rossi, rendendola ideale per le anemie; è ricostituente e tonificante (consigliata in caso di convalescenza, denutrizione ed esaurimento); e depurativa e diuretica, ideale in caso di disturbi reumatici, artrite, gotta, calcoli renali. L’ortica ha inoltre una grande capacità di alcalinizzare il sangue, facilitando l’eliminazione di residui acidi del metabolismo, strettamente legati a queste malattie. Facilita la digestione e la capacità di assimilare i cibi, in quanto contiene piccole quantità di creatina, ormone prodotto da alcune cellule del nostro intestino, che stimola la secrezione del succo pancreatico e la motilità dello stomaco e della cistifellea. E’ astringente (utile in caso di diarrea, colite o dissenteria); ipoglicemizzante (abbassa il livello di zuccheri nel sangue); galattogena (aumenta la secrezione del latte materno ed è consigliata durante l’allattamento); ha effetto emolliente, ed è usata nelle malattie croniche della pelle, specialmente per eczemi e acne; pulisce, rigenera e rende più bella la cute. Usata contro la caduta dei capelli, è un ottimo antiforfora sotto forma di decotto, che si friziona direttamente sulla cute. Si colgono solo le ultime 7/8 foglie apicali (preferibilmente di piantine giovani).

 

  • Ombelico di Venere (Umbilicus rupestris): è una pianta succulenta appartenente alla famiglia delle Crassulaceae, originaria del Bacino del Mediterraneo. Raggiunge un’altezza media di 25 cm. Il fiore pallido a forma di campana, verde-rosa nasce a maggio, e il frutto verde matura in estate. Il nome scientifico Umbilicus fa riferimento alla forma delle foglie, tondeggiante con una depressione al centro. Si trova in zone umide o esposte a nord. Viene utilizzata nella medicina omeopatica. L’ombelico di Venere è indicato come Cotyledon umbilicus dagli omeopati, dato che era il nome scientifico originario della pianta quando venne sviluppata l’omeopatia. Il succo del frutto e delle foglie, applicato esteriormente, guarisce i brufoli, il fuoco di Sant’Antonio ed altre affezioni della pelle. Inoltre aiuta a guarire i reni doloranti, a causa dei calcoli, ma è anche diuretico e aiuta l’eliminazione della renella. Usato come un bagno, o trasformato in un unguento, calma il dolore e le vene emorroidali. Non è meno efficace nel dare sollievo ai dolori della gotta, della sciatica e aiuta nella cura dei noduli al collo o alla gola, chiamati il male dei re. Guarisce i geloni se massaggiati con il succo o unti con un unguento realizzato con le sue foglie. Può essere utilizzato per la cura delle ferite come emostatico, facendole guarire rapidamente. La pianta viene talvolta impiegata per alleviare il dolore su graffi della cute applicando la foglia sulla pelle dopo aver rimosso la cuticola superficiale. Se mangiata ha un sapore che ricorda il cetriolo.

 

  • Senape (Sinapis): è un genere di plantae erbacee della famiglia delle Brassicacee. I semi contengono glicosidi complessi: la sinalbina e la sinigrina. Le foglie contengono bassi quantitativi di acido ascorbico. Le foglie della senape selvatica sono commestibili allo stadio giovanile della pianta. Nell’alimentazione animale, esclusi gli uccelli, i semi sono tossici e causano problemi gastrointestinali soprattutto se consumati in grande quantità. Apprezzata per la produzione di semi oleosi utilizzati nella preparazione della salsa di senape e della mostarda. La senape è una delle piante aromatiche più antiche del nostro pianeta. I semi di qualunque varietà di senape sprigionano il loro sapore pungente-piccante solo vengono messi a macerare in acqua. La salsa di senape, generalmente, è un miscuglio di semi di senape bianca e nera, aceto, curcuma, paprika, sale, zucchero e spezie varie. I semi della senape si raccolgono a fine in autunno recidendo alla base gli steli, raggruppandoli in tanti mazzetti legati con dello spago; si avvolgono con un telo a rete fitta e poi si mettono ad essiccare all’aria in un luogo ombreggiato e arieggiato. Poi, come si fa per il cumino, l’origano ed altre spezie, si sfregano i baccelli fra le dita o si battono energicamente sul piano da lavoro per far uscire i semi che, una volta liberati dalle impurità, vanno messi in barattoli con tappo ermetico e conservati in luogo buio e fresco. I semi di senape, in perfette condizioni ambientali, si conservano per 2 anni e possono essere utilizzati anche per le semine successive.

 

  • Verbena odorosa, cedrina, limoncina, citronella, erba Luigia, erba Luisa, erba di Maria Luigia, erba perseghina, limonetto, lippia, Aloisio, Erba piscella, (Aloysia citriodora Palau): è una pianta arbustiva perenne della famiglia delle Verbenaceae. Da non confondere con la “verbena comune” (Verbena officinalis). È un arbusto che può raggiungere 1,5-3,0 m di altezza. Le foglie, decidue, lanceolate, di colore verde chiaro, lunghe 5–7 cm, emanano un intenso profumo di agrumi, simile a quello della Melissa officinalis. I fiori piccoli, di colore bianco o lilla pallido, sono raggruppati in infiorescenze a spiga lassa. Dalle foglie si estrae un olio essenziale, impiegato nell’industria cosmetica, ricco di composti volatili quali geraniolo, citrale e limonene. Foglie e fiori essiccati si possono usare per profumare armadi e ambienti. In erboristeria si usa nella preparazione di tisane, infusi e impacchi. Si usa in cucina per fare liquori, marmellate, macedonie e come spezia. L’uso prolungato può però provocare disturbi allo stomaco, comprese le gastriti. L’infusione viene usata come digestivo, carminativo e antispasmodico, in caso di dolori dello stomaco o indigestione. Si consuma anche come blando sedativo. Ha una notevole quantità di melatonina, una sostanza usata come rilassante naturale che promuove il sonno notturno. Gli elementi utilizzati in infusione vengono raccolti due volte l’anno, in tarda primavera e inizio autunno. Vengono utilizzate foglie giovani e sommità fiorite. In cucina si usano le foglie con moderazione per dare sapore di limone alle vivande, ad esempio nei ripieni, per aromatizzare gelatine di carne, piatti di pesce, di pollo e altri volatili, per carni di maiale e selvaggina a cui toglie un poco l’asprezza, oppure tritate nelle insalate, macedonie, gelati e gelatine, marmellate, torte alla frutta o per preparare infusi o liquori d’erbe. Può essere usata per preparare delle tisane rilassanti, in quanto contiene melatonina, una sostanza usata come rilassante naturale che concilia il sonno. Sotto il profilo delle proprietà si possono ascrivere alla Lippia quelle di stimolare l’appetito, aiutare la digestione, eliminare i gas intestinali ed esercitare una blanda azione antispasmodica e sedativa generale. Gli impacchi di Lippia/cedrina sugli occhi hanno un effetto rilassante e combattono gli occhi gonfi e arrossati. Le foglie fresche di Limoncina possono essere messe in infusione per un bagno ristoratore, o per acque toniche del viso. La si può utilizzare per sedare il dolore causato dal mal di denti occorrono le foglie fresche di cedrina, raccolte al momento. Lavare le foglie, asciugarle, pestarle in una tazza coprirle con acqua bollente e lasciarle in infusione per 5 minuti coperte con un panno. Trascorso il tempo strizzare leggermente le foglie, metterle in un panno di tela o garza sterile e fare applicazioni esterne nella zona interessata dal mal di denti. Un uso intenso e prolungato di questo alberello perenne può però provocare gastriti. Essiccate, sono utilizzate nei pot-pourri e per la confezione di sacchetti antitarmici. Nell’industria viene estratto un delicato olio essenziale usato in profumeria per saponi, dentifrici e cosmetici. L’essiccazione avviene in luoghi bui ed areati, per la conservazione si consigliano sacchi di tela. Esternamente, l’erba può essere usato per trattare l’acne, le bolle e le cisti. In aromaterapia è utilizzata nella fabbricazione di oli essenziali. L’olio essenziale di cedrina ha un effetto rilassante e antistress sulla mente, mentre contribuisce a stimolare l’appetito e attenua gli spasmi allo stomaco, i crampi, l’indigestione e la flatulenza. Si ha un effetto positivo sul fegato, in particolare nei casi di abuso di alcol e di danni al fegato ad essi correlati; inoltre aiuta ad alleviare la congestione bronchiale. E’ utile nel trattare l’insonnia nervosa e calma le palpitazioni cardiache da stress. Sulla pelle, aiuta a ridurre i gonfiori ed è utile anche come tonico dei capelli. L’olio essenziale ha diverse proprietà: insetticida, battericida, antisettico, anti-spasmodico, afrodisiaco, digestiva, emolliente, febbrifugo, epatico, sedativo, stomachico e tonico. Attenzione si tratta di un olio fotosensibilizzante, quindi non utilizzare prima di uscire al sole. Può irritare la pelle sensibile. Un uso non commestibile che dovrebbe rendere erba cedrina popolare nei mesi estivi: la pianta respinge insetti come zanzare, mosche e altri insetti.

 

  • Timo maggiore (Thymys vulgarius Linneo): è una pianta perenne aromatica appartenente alla famiglia delle Lamiaceae. Il timo maggiore è un piccolo arbusto, sempreverde e aghifoglie con crescita molto lenta, ed arriva ad una altezza di 10 – 30 cm. La forma biologica è camefita fruticosa, ma sono presenti anche altre forme biologiche come camefita suffruticosa; sono piante perenni e legnose alla base, con gemme svernanti poste ad un’altezza dal suolo tra i 2 ed i 30 cm (le porzioni erbacee seccano annualmente e rimangono in vita soltanto le parti legnose). Il timo in cucina viene usato come aroma, condimento o come tè. Si raccolgono i fiori e le foglie che vengono usati per insaporire minestre e carni. Il timo è pianta mellifera, molto visitata dalle api che ne ricavano un ottimo miele, ma è poco comune perché aree con sufficienti timi sono poche. Le foglie di questa pianta contengono proteine, carboidrati, fibre e vitamine: A (retinolo), B1 (Tiamina), B2 (Riboflavina). In estetica può essere utilizzato nell’acqua del pediluvio per ottenere un’azione defaticante e disinfettante.

 

  • Bietola selvatica o spontanea (Beta vulgaris): Sembra che bett sia un termine celtico per indicare il colore rosso e che questa sua caratteristica si rifletta nelle venature rossicce delle radici e sulle nervature centrali di molte varietà di bietola. Questa pianta è molto comune in Italia e la troviamo sotto i vigneti, nei luoghi sabbiosi, lungo zone coltivate e incolte ad un’altitudine che va dal piano sino a 600 m s.l.m. La raccolta delle foglie di bietola spontanea inizia da gennaio sino a giugno e riprende poi da ottobre a fine anno.

 

  • Finocchio selvatico (Foeniculum sylvestre ): Fiorisce in luglio e agosto, si consuma sia crudo in insalata che cotto in stufati e come verdura di accompagnamento a secondi piatti. I germogli teneri si usano nelle minestre oppure si mangiano crudi in pinzimonio. Inoltre è possibile raccogliere i semi in tarda estate per farne liquori o tisane. ATTENZIONE a non confondere con la cicuta, che ha i fiori verdi e amana un cattivo odore.

 

  • Cappero (Capparis spinosa) è un piccolo arbusto o suffrutice ramificato a portamento prostrato-ricadente. Della pianta si consumano i boccioli, detti capperi, e più raramente i frutti, noti come cucunci. Entrambi si conservano sott’olio, sotto aceto o sotto sale. Il portamento è cespitoso, con fusto subito ramificato e rami lignificati solo nella parte basale, spesso molto lunghi, dapprima eretti, poi striscianti o ricadenti. Le foglie sono alterne e picciolate, a lamina subrotonda e a margine intero, glabre o finemente pelose, di consistenza carnosa. La forma della lamina è ovata, il margine è liscio, le nervature sono pennate e non è una foglia composta. Le proprietà aromatiche sono contenute nei boccioli del fiore, comunemente chiamati capperi. Utilizzati in gastronomia da millenni, si raccolgono ancora chiusi e si conservano in macerazione sotto sale o sotto aceto. I capperi sono solitamente usati per aromatizzare le pietanze e si sposano bene con una grande varietà di cibi: dalla carne, al pesce, alla pasta. Il frutto, di sapore simile ma più delicato del cappero, è detto cucuncio, cocuncio o capperone e si trova in commercio sotto sale, sott’olio o sotto aceto. È usato tradizionalmente nella cucina eoliana per condire piatti di pesce. Gli eoliani usano anche dissalare i cucunci o i capperi e consumarli al pari di una qualsiasi verdura, di solito in insalata. In ambito culinario vengono utilizzate anche le giovani foglie come insalata, previa cottura per pochi minuti in acqua bollente. I capperi contengono più quercetina in rapporto al peso di ogni altra pianta. In erboristeria è utilizzata la corteccia della radice. I principi attivi hanno proprietà diuretiche e protettrici dei vasi sanguigni. Può essere utilizzata nella cura della gotta, delle emorroidi, delle varici. Un infuso preparato con radici di cappero e germogli giovani era utilizzato in medicina popolare per alleviare i reumatismi.

 

  • Coriandolo (Coriandrum sativum) o prezzemolo cinese o con il nome spagnolo cilantro, è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Apiaceae (o Umbelliferae). Appartiene alla stessa famiglia del cumino, dell’aneto, del finocchio e del prezzemolo. Coriandrum è una parola latina citata da Plinio (Naturalis Historia), che ha le sue radici nella parola greca corys o korios (cimice) seguita dal suffisso -ander (somigliante), in riferimento alla supposta somiglianza dell’odore emanato dai frutti acerbi o sfregando le foglie. I fiori sono bianchi e sono riuniti in infiorescenze a ombrello, mentre i frutti sono diacheni aromatici. Si usano i frutti che maturano in giugno-luglio. Originario dei paesi del Mar Mediterraneo, le foglie fresche e i semi essiccati sono utilizzati prevalentemente nella cucina indiana e latino americana. In Europa è oggi tornato in auge al seguito di quelle culture culinarie. Entra nella preparazione di alcuni salumi, insaporisce carne, pesce e verdure, ma profuma anche birre, biscotti, confetti e il pampepato; i semi vengono utilizzati come spezia. Questi sono meno piccanti delle foglie, sono dolci con un lieve sapore di limone. Macinati, i semi di coriandolo costituiscono uno degli ingredienti del curry e del garam masala. Le foglie, in Oriente, sono utilizzate al posto del prezzemolo. A Tenerife si usa nel Mojo verde (salsa). Nell’Africa Meridionale vengono inseriti nel boerewors, una salsiccia spiraliforme abbondantemente speziata. In passato, in Italia, lo si trovava nella mortadella. Nella città di Monte San Biagio e in alcuni paesi sulla costa Ionica della Basilicata il seme di coriandolo viene usato per condire l’impasto della salsiccia. Secondo alcuni recenti studi nell’essere umano esistono delle componenti genetiche in base alle quali il coriandolo può essere apprezzato oppure del tutto sgradevole. Le radici vengono utilizzate in particolare nella cucina thailandese per preparare un condimento di base insieme con aglio e pepe. Il coriandolo può essere usato come infuso contro i dolori di stomaco, è consigliato anche per problemi di aerofagia e le emicranie, aiuta la digestione e ha una funzione antidiarroica. In Sri Lanka le popolazioni tamil utilizzano i frutti per la preparazione di un decotto che, dolcificato con il miele, si assume per alleviare la tosse. È uno dei pochi chelanti del mercurio, sia nel nucleo della cellula (evitando il danno al DNA) sia negli spazi tra cellule, e fa sì che la colecisti riversi nell’intestino tenue molta più bile, contenente le tossine. Pertanto, se non è assunto con un chelante per l’intestino tenue, come la clorella, vi è una reintossificazione per riassorbimento del mercurio nelle terminazioni nervose dell’intestino.

 

  • RAMOLACCIO, RAMORACCIO, RAMORACCE (Raphanus raphanistrum), è chiamato anche ravanello selvatico, da questa pianta infatti derivano le varietà di ravanelli attualmente coltivati, anche se per dimensioni e gusto è molto più vicino alle cime di rapa, con un gusto ed un odore più delicato. E’ una pianta rustica, molto resistente, presente su tutto il territorio italiano. La buona consistenza della pianta si mantiene anche dopo la cottura, per cui è una verdura che sazia molto e a lungo: per questo motivo le nostre nonne ne facevano largo uso, anche per arricchire zuppe e minestre. Contiene sodio, potassio, ferro, calcio, fosforo, vitamine B, A, C, E. Può essere raccolto praticamente tutto l’anno, resistendo benissimo al gelo. Solo nei mesi caldi (periodo di fioritura e produzione del seme) la pianta diventa troppo dura e fibrosa. Il ramolaccio ha proprietà disintossicanti ed è quindi un valido aiuto per eliminare le tossine (a tale scopo sarebbe meglio consumarlo crudo, in insalata, raccogliendo solo le giovani foglie o i giovani getti floreali e gustandolo assieme alla costolina d’asino – Hypochoeris radicata – e altre insalatine di campo). E’ possibile utilizzare il suo estratto come diuretico, spasmolitico e analgesico. Pare sia anche efficace contro l’insonnia. Si può anche usare come pesto per pasta o crostini.

 

  • LUPPOLO (Humulus Lupulus): Il Luppolo cresce spontaneo prediligendo i boschi umidi e le rive dei fiumi; è una pianta rampicante che si aggrappa a qualsiasi sostegno trova vicino: alberi, reti metalliche, pali della luce, siepi, ecc… ma se non trova nelle immediate vicinanze nulla a cui aggrapparsi si attorciglia prima su se stessa e poi… continua a crescere sviluppando in primavera lunghi e teneri germogli muniti di piccoli uncini ben rilevabili al tatto. I getti o germogli primaverili sono ottimi cucinati come gli asparagi. Uno dei tanti appellativi popolari, infatti, è proprio “asparagina”, ma anche Luvertis o Bruscandoli come li racconta Ugo Foscolo tra le righe de “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” serviti nella minestra contadina in una serata di maggio. A differenza di altri germogli, quelli del Luppolo sono tanto più gustosi quanto più sono grossi. Dopo averli raccolti, accertandosi della presenza dei piccoli uncini per evitare di cogliere specie simili non commestibili, vanno lavati, sbollentati ed utilizzati in aggiunta a frittate, per gustosi risotti o sformati oppure, perché no, serviti in aggiunta ad un piatto di pasta. ATTENZIONE Il Luppolo può essere confuso con altre piante rampicanti: la classica Campanella o Vilucchio (Calisteyga), la vite selvatica (Parthenocissus), la Vitalba (Clematis Vitalba) o il Tamaro (Tamus Communis) quest’ultimo dai getti commestibili solo se giovanissimi, ma da evitare poi per l’accumulo di sostanze tossiche. Nessuna di queste piante però ha il fusto ricoperto delle piccole spine che servono al Luppolo per “aggredire” le altre piante come un piccolo lupo (Lupulus).

 

  • Vitalba o clematide (Clematis vitalba): è una pianta arbustiva delle Ranunculaceae a distribuzione oloartica, che deriva da vite alba o vite bianca. Viene usata in cucina utilizzando i germogli primaverili per le frittate (vitalbini o visoni). A causa delle tossine comuni alla famiglia delle Ranunculaceae è consigliabile non consumarne grosse quantità. Bisogna utilizzare esclusivamente le parti molto giovani della clematide in cui la concentrazione delle sostanze tossiche è molto bassa. In passato veniva chiamata “erba dei cenciosi” in quanto i mendicanti erano soliti procurarsi irritazioni ed ulcerazioni con le foglie di questa pianta allo scopo di impietosire i possibili donatori. Questa pianta è inoltre annoverata come rimedio nei fiori di Bach con il nome di Clematis suggerita a chi sogna ad occhi aperti, è indifferente alla vita e fugge dalla realtà. Nei tempi passati in alcuni paesi la parte legnosa veniva tagliata e utilizzata come succedaneo di sigaretta dai ragazzi che non avevano soldi per comprarsele.

 

  • Pratolina o Margheritina (Bellis perennis): Esile e delicata all’apparenza, la pratolina si adatta invece a qualsiasi condizione climatica, cresce lungo le coste bagnate dal mare ma anche tra le rupi di alta montagna e sopporta benissimo il calpestio. Si trova in parchi, giardini, prati e pascoli. Le tenere rosette basali in primavera si gustano in insalata, o per arricchire panini imbottiti. Quando divengono un po’ più consistenti le stesse si possono scottare ed utilizzare per ripieni in aggiunta ai minestroni o alle zuppe. Un’ottima crema estiva si prepara cuocendo in un buon brodo una patata per commensale, cimette d’ ortica e rosette di margheritina. Si raffredda e si frulla. Si serve accompagnata da una noce di panna semimontata o di ricotta guarnita con i capolini ben aperti. Attenzione! Soggetti particolarmentre sensibili o allergici a diversi tipi di pollini potrebbero aver problemi consumando la parte centrale dell’infiorescenza. Meglio limitare il consumo alle sole foglie.

 

  • Partenio o Amarella, Maresina ed Erba Madre (Tanacetum parthenium) è una pianta della famiglia delle Asteraceae. In Italia, a seconda dei luoghi, è conosciuta con i nomi di amarella, amareggiola, matricale, maresina ed erba marga. Pianta molto usata in europa dell’est, il suo nome deriva dal latino “febrifugia” cioè “che riduce la febbre”. Nell’antica Grecia era indicata per tutte le condizioni “di calda infiammazione”. I suoi fiori assomigliano a quelli della comune “camomilla” (Matricaria Chamomilla) e spesso vengono infatti confuse. La pianta ha cominciato ad essere usata nei primi del ‘900 e oggi e ancora oggi viene impiegata per calmare i sintomi di varie condizioni quali: artrite, costipazione, dermatiti, e soprattutto vertigini, febbre e mal di testa nonché dolori mestruali. Trova anche impiego come nei problemi respiratori. I suoi principi attivi hanno un effetto farmacologico naturale di inibizione della sintesi delle prostaglandine infiammatorie. Allo stesso tempo sembrerebbero inibire anche la formazione piastrinica e per questo motivo non ne è consigliato l’uso in caso di contemporaneo impiego di similari (aspirina per esempio). Il partenio possiede una buona quantità di flavonoidi come luteolina, quercetina, apigenina ed axillarina, cui si deve parte della sua azione spasmolitica sulla muscolatura liscia viscerale. Possiede anche dei composti bi- o triciclici chiamati sesquiterpeni, come il partenolide, il costunolide, l’artemorina e la santamarina, che sono amari e modulano le funzioni del sistema della serotonina, da cui la loro proprietà di profilattici dell’evento emicranico. Da notare che le tisane di partenio sono efficaci solo come preventive dell’attacco; non hanno alcuna efficacia quando l’emicrania è in corso. Il Partenio, conosciuto come erba maresina, erba madre o erba ‘mara è largamente utilizzato nella preparazione di frittelle salate, torte e come aroma per il condimento di primi piatti. Questa pianta commestibile ha mille utilizzi possibili grazie a fiori e foglie eduli. Come suggerisce il suo nomignolo, il sapore delle foglie è piacevolmente amaro, adatto a insaporire le frittate di verdura per esempio. I fiori, che somigliano alle margherite, sono perfetti per tisane e infusi.

 

  • Camomilla comune (Matricaria chamomilla) è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Asteraceae e al genere Matricaria. La pianta ha radici a fittone e un portamento cespitoso, con più fusti che partono dalla base, più o meno ramificati nella porzione superiore. L’altezza non supera in genere i 50 cm nelle forme spontanee, mentre nelle varietà coltivate può arrivare agli 80 cm. La pianta è spiccatamente aromatica. Le foglie sono alterne e sessili, oblunghe. La lamina è bipennatosetta o tripennatosetta, con lacinie lineari molto strette. I fiori sono riuniti in piccoli capolini con ricettacolo conico e cavo. I fiori esterni hanno la ligula bianca, quelli interni sono tubulosi con corolla gialla. Di questa pianta vengono in genere raccolti i fiori, preferibilmente dopo aver perso i petali ma prima di essersi essiccati sulla pianta stessa. Una comune metodologia di raccolta consiste nel far passare fra le dita (o fra i denti di appositi pettinini) gli steli della pianta in maniera tale da raccogliere solamente i fiori, evitando una lunga fase di pulitura. I capolini si essiccano disponendoli in strati sottili all’ombra; si conservano poi in recipienti ermetici di vetro al riparo da fonti di luce e umidità. Da questi fiori si producono infusi che notoriamente vengono utilizzati per i loro effetti blandamente sedativi. Oltre che alla somministrazione orale, è possibile ricorrere all’uso di preparati di camomilla anche per nebulizzazioni, linimenti anti-stress, impacchi, colliri e collutori (questi ultimi anche assieme alla malva). La camomilla è dotata di buone proprietà antinfiammatorie, locali e interne, e costituisce un rimedio calmante tipico dei fenomeni nevralgici (sciatica, trigemino, lombaggine e torcicollo). Questo grazie a certi componenti dell’olio essenziale (alfa-bisabololo, guaiazulene, camazulene e farnesene), a una componente flavonoide (soprattutto apigenina, quercetina, apiina e luteolina) e ai lattoni matricina e des-acetil-matricarina. Il suo potere antiflogistico a parità di principio attivo (in peso) è stato comparato a quello del cortisone. Altri flavonoidi presenti (eupatuletina, quercimetrina) e le cumarine sono responsabili delle proprietà digestive e spasmolitiche. Queste combinazioni di principi attivi ne fanno un buon risolvente nella dismenorrea, nei crampi intestinali dei soggetti nervosi, negli spasmi muscolari e nei reumatismi. Le tisane ottenute con questa pianta inoltre provocano l’espulsione di gas intestinali in eccesso. Presenti anche proprietà nutrizionali della camomilla rispetto ai capelli e al cuoio capelluto. Nell’omeopatia, oltre alle indicazioni già elencate, la camomilla viene consigliata per i problemi associati alla dentizione, alla sindrome premestruale e a varie malattie infantili come otiti, coliche e a numerosi problemi comportamentali. La camomilla è usata in cucina per preparare degli ottimi infusi dall’effetto calmante. Con la Matricaria si ottiene un gusto più dolce e delicato, mentre l’Anthemis nobilis rimane più amarognola. Con la camomilla si possono aromatizzare confetture, caramelle e gelati e anche i liquori, come per esempio il vermouth e si possono preparare alcune ricette molto gustose come risotti, insalate di pesce, torte morbide per la colazione, creme dolci e biscotti. Inoltre i fiori freschi sono la decorazione perfetta per molti piatti sia dolci che salati perché piccoli e molto eleganti nella loro semplicità.

 

  • CRESCIONE D’ ACQUA o Laghi (Nasturtium officinale): Nasturtium, dal latino nasi tortium o “torcinaso” per l’aroma pepato-senapato che causa la contrazione delle narici nasali. Il Crescione d’acqua popola sorgenti, fontanili, ruscelli, acque ferme e prati umidi. Le sue radici si sviluppano nella parte inferiore del lungo fusto cavo e strisciante che può raggiungere anche i cinquanta centimetri d’ altezza. Le foglie, variano di colore dal verde scuro al bronzo, hanno forma ovale. Si alternano le foglie lungo il fusto, (clicca sulla foto per vederla ingrandita) sono indivise o tripartite nella parte inferiore dello stelo, mentre nella parte superiore si compongono di foglioline di forma ovale e di consistenza leggermente cerosa, opposte lungo una nervatura centrale e da una foglia terminale più grande e quasi rotonda. I margini delle foglie possono essere interi o dentati. Le foglioline lucide e di un bel verde scuro brillante insaporiscono insalate, formaggi, zuppe e omelette. Se nelle vicinanze di questa crucifera, ricchissima di vitamine e minerali, pascolano bovini e ovini, tra le sue foglie si potrebbero annidare parassiti e/o piccoli molluschi che devono assolutamente essere eliminati per evitare problemi a livello epatico. Quindi: lavare sempre molto bene il crescione da consumare crudo o nel dubbio cuocerlo a discapito però delle preziose sostanze contenute. I Greci lo ritenevano ottimo per rinforzare il sistema nervoso, i persiani invece lo somministravano ai bambini per migliorare il loro sviluppo in altezza e potenza. Il crescione ha un caratteristico e gradevole gusto piccante che lo rende particolarmente apprezzato nelle insalate e nelle preparazioni a crudo di tartine e antipasti. In Italia è stato riutilizzato da poco, proprio per il suo sapore particolare, mentre in Francia è da sempre stato un alimento utilizzato in cucina. Oltre che nelle minestre, si può utilizzare questa pianta per preparare ottime salse, o per accompagnare pesci e formaggi. Se viene cotta quest’erba perde quasi totalmente la sua efficacia medicinale, dunque è importante ricordarsi di consumarla cruda. Altri utilizzi La pianta viene utilizzata per le sue proprietà medicinali, in cosmesi erboristeria oltre che in cucina.Il crescione è ricco di Pro-vitamina A, vitamina C, luteina. In particolare si conoscono le sue virtù: toniche, depurative, diuretiche, antianemiche, detergenti, stimolanti, diuretiche, aperitive, rubefacenti, vitaminizzanti. Depurativo del sangue assai indicato nelle cure primaverili, nelle anemie, nella scrofola, negli eczemi. Per ottenere buoni effetti, la cura deve essere protratta a lungo. C’è la variante “forte” o cresciuta, che viene usata per l’acqua cotta. Buono ad insalata o nelle piadine. Un detto nepesino dice: “il laghetto di gennaro non è bono pe’ il villano”. Questo indica che è usato nei mesi da febbraio in poi. Modifica beneficamente le secrezioni bronchiali con espettorazioni muco-purulenti abbondanti. Sembra abbassare il tasso di zucchero nei diabetici. Viene utlizzato nei rimedi contro i disturbi del tabagismo. Giova contro la dermatosi. Si è rivelato efficace nell’acne sebacea, adiposità, anasarca, cellulite, clorosi, convalescenze, dermatosi pruriginose, foruncolosi, gravidanza, idropisia, ipertiroidismo, ipovitaminosi, scorbuto, stati di debolezza, turbe dell’apparato digestivo, Beriberi, febbri biliari, pirosi, ipotonia digestiva, insufficienza epatica, ipercrinia gastrointestinale, linfatismo, allattamento, impotenza sessuale. (Tratto dal Grande Erbario Medicinale di Tommaso Palamidessi). Contro lo scorbuto. La pianta, dall’elevato contenuto di vitamina C, era un tempo consumata per combattere lo scorbuto e per combattere il sanguinamento delle gengive. Rimedi della nonna Per attenuare le lentiggini, si può preparare una crema a base di succo di crescione e miele. Pare che frizionando il succo di crescione, posto in un uguale quantitativo di alcool a 90°, sul cuoio capelluto si arresti, o comunque rallenti, la caduta del capelli.

 

  • ALLIARIA (Alliaria Petiolata): La radice del suo nome potrebbe far pensare ad una pianta appartenente alla famiglia dell’aglio. L’alliaria invece con rape, cavoli, rucola e molte altre sue “cugine”, rientra in quella delle Crucifere o Brassicacee. Le sue foglie sono piacevolmente e lievemente profumate d’aglio, apprezzate anche da chi, non amando il forte aroma e le conseguenze dell’aglio tradizionale, le utilizza crude per insaporire insalate o salse. L’aroma aglino e leggermente piccante delle prime e piccole foglie basali vira verso l’amarognolo, tipico di cavoli e verze, delle foglie più grandi, tutte comunque ricche di vitamina A e C. L’infiorescenza ancora chiusa, può sostituire egregiamente quella delle più tradizionali cime di rapa o dei broccoletti. I piccoli fiori bianchi e cruciformi insaporiscono e ingentiliscono i piatti più vari. I minuscoli semi, racchiusi nelle silique e raccolti in estate, si utilizzano in sostituzione dei noti semi di senape per preparare salse dal sapore piccantino.

 

  • Topinambur: è simile ad una margherita un po’ cresciuta o ad un girasole in miniatura, suo parente stretto; non produce però semi oleosi, ma un gustosissimo rizoma “bitorzoluto”. Conosciuto anche come carciofo di Gerusalemme, rapa tedesca o patata del Canada, perché originario delle praterie Nord Americane, era molto utilizzato in passato prima che la patata acquisisse la popolarità. Pian piano il tubero si sta riappropriando della fama scemata grazie alle sue proprietà organolettiche e per il suo delicato aroma di carciofo e nocciola. L’inulina, un carboidrato simile all’amido che origina fruttosio anziché glucosio, è presente in abbondanza nel Topinambur tanto da renderlo un alimento perfetto per i diabetici e per chi sta seguendo diete ipocaloriche perché, se consumato crudo o cotto accompagnato da acqua a volontà, dona un’appagante sensazione di sazietà e ripulisce l’intestino. In cucina il tubero si utilizza crudo dopo averlo ben lavato e spazzolato, mantenendo la buccia, se piace, o pelandolo, mescolato ad insalate miste o intinto in salse di vario genere. Dal Topinambur si ottiene una farina che può sostituire in parte altri farinacei nella preparazione di pane e dolci.

 

  • AGLIO ORSINO (Allium Ursinum): L’Herba Salutaris del Medioevo, largamente utilizzato per le sue qualità officinali e per le proprietà terapeutiche. Pare che il suo consumo costante aiuti a depurare il sangue, a disintossicare l’organismo e a donare nuova vitalità grazie alla presenza di diverse vitamine e sali minerali. Non è difficile trovarne anche in abbondanti quantità in zone umide, spesso non lontano da sorgenti d’acqua, fiumi o laghi. Le foglie tenere e di un bel verde brillante, compaiono già agli inizi della primavera. ATTENZIONE le foglie dell’Aglio Orsino, lanceolate e con un picciolo più o meno lungo, non vanno confuse con quelle del Colchico (Colchicum Autunnale) tossico e potenzialmente mortale, dalle foglie più scure e carnose che escono dal terreno arrotolate attorno ad un solo asse. Entrambe le piante possono crescere nei prati ai margini del bosco, difficilmente il Colchico si trova addentrandosi nel bosco, luogo più sicuro per raccogliere l’Aglio Orsino. Un buon metodo per evitare pericolose confusioni, oltre a prestare la massima attenzione e documentarsi al meglio, è quello di strofinare le foglie per avvertirne il caratterisco aroma aglino. Quando l’Aglio Orsino comincia a presentare i boccioli dei suoi bellissimi fiori bianchi stellati, un’altra pianta tossica dalle foglie simili a quelle dell’Aglio orsino sbuca dal terreno. Si tratta del Mughetto (Convallaria majalis) dalle foglie più coriacee e opache, ma soprattutto inodori se strofinate. In cucina si può utilizzare l’intera pianta di questo aglio dalle molteplici proprietà, ma più delicato di quello comunemente usato (Allium Sativum). In primavera le foglie più tenere crude insaporiscono le insalate, si sposano benissimo con le patate cucinate in vari modi, si amalgamano con olio, parmigiano, noci o nocciole, per un profumatissimo pesto.

 

  • AGLIO DELLE VIGNE o Aglio selvatico (Allium Vineale): L’aglio selvatico è apprezzato per il suo aroma “trittico” che riassume quello di cipolla, porro e aglio comune. Molte altre specie di aglio selvatico potrebbero essere confuse con quello vineale, ma nessuna è tossica, tutte sono commestibili se, stropicciando le foglie filiformi, si sprigiona il caratteristico profumo. Cresce in colonie abbondanti simili a grossi ciuffi d’erba, lo si può cogliere tenero all’inizio della primavera, ma è abbastanza comune scovarlo tra la vegetazione rinsecchita anche in inverno. Lo si potrebbe avere a disposizione per tutto l’anno se dissotterrato e trapiantato in vasi da tenere sul balcone oppure interrato nell’orto o giardino di casa. I piccoli bulbi si utilizzano come l’aglio comune (sativum) e sono ottimi conservati sott’aceto, le foglie filiformi e cave sostituiscono egregiamente la più nota erba cipollina. Anche i bulbilli rossastri che, con i piccoli fiorellini, formano l’infiorescenza estiva possono essere utilizzati come croccanti aromatizzanti per insalate, verdure cotte e piccanti primi piatti. EQUISETO o Coda cavallina (Equisetum Arvense): È una pianta di origine antichissima, cugina delle felci, e come loro non presenta fiori o frutti, ma fusti fertili primaverili simili ad asparagi di colore pallido brunastro con una spiga gialliccia apicale (strobilo), che contiene le spore per la riproduzione. I fusti sterili verdi, cavi, quasi delle piccole conifere piramidali, somiglianti a code di cavallo (da cui il nome) spuntano quando quelli fertili seccano e scompaiono. L’ equiseto è conosciuto per l’alta concentrazione di minerali, tanto da essere chiamato dagli antichi Romani e dai Greci “argilla vegetale”. Fino a qualche decennio fa la polvere ottenuta dai fusti sterili essiccati, ricchissimi di silice, veniva utilizzata per pulire e lucidare legno, metallo e pentolame. In alternativa fasci di fusti sterili freschi possono essere utilizzati come teli abrasivi. Per l’utilizzo della “droga” ottenuta sempre dai fusti sterili, rimineralizzante e diuretica, meglio affidarsi ad esperti erboristi per rispettare il dosaggio ottimale. I fusti fertili primaverili, riconoscibili dalla guaina incisa da 6-8 “denti” che li riveste in prossimità degli internodi, possono essere consumati, dopo averli ben lavati, averne eliminato le guaine e la spiga apicale (strobilo), lasciati macerare per qualche ora in acqua e limone, poi lessati in acqua salata e lasciati scolare ben bene. Attenzione a non confondere l’Equisetum Arvense, che solitamente predilige terreni argillosi e asciutti in superficie, dall’Equisetum Palustre che popola acquitrini e zone percorse da corsi d’acqua, ma anche dal Pratense e dal Sylvaticum che sono tossici.

 

  • Coda di Cavallo o Equiseto dei campi (Equisetum arvense) è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia Equisetaceae. L’Equisetum arvense è una pianta molto antica; si pensa che sia comparsa circa 300 milioni di anni fa. I resti fossili di alcune specie dell’ordine delle Equisetales indicano che erano piante diffuse già alla fine dal Devoniano (395 – 345 milioni di anni fa). In certe zone è considerata pianta infestante. Ad oggi è una delle erbe medicinali più complete e consumate. Si tratta di una pianta perenne che si trova vicino ad aree acquose come paludi, ruscelli o fiumi, ma anche lungo le scarpate, ambienti ruderali, e terreni sabbiosi e argillosi. Il substrato preferito è sia calcareo che siliceo, con terreno a pH neutro, medi valori nutrizionali e medi valori di umidità. Le foglie sono situate in corrispondenza dei nodi del fusto. Sono erette e appressate al fusto stesso. Sono concresciute le une alle altre (formano una specie di collaretto lobato o guaina attorno al fusto) e non sono differenziate in picciolo e lamina fogliare; le loro dimensioni sono tali per cui ricoprono meno della metà dell’internodo. La forma è lanceolata, squamiforme con un unico nervo dorsale e apice acuminato di colore bruno. Sono presenti al massimo una dozzina di denti (8 – 12) e relative foglie saldate nella parte basale. L’equiseto è un’erba officinale e un’erba medicinale. Le parti usate a scopi omeopatici, sono il fusto sterile (raccolto in estate), che viene essiccato, triturato e polverizzato. Si trova in commercio anche la parte aerea essiccata e sminuzzata, per preparare infusi e decotti. L’equiseto può avere proprietà antiemorragiche, cicatrizzanti, emostatiche, diuretiche, astringenti, antitubercolari, ma soprattutto remineralizzanti: studi clinici hanno dimostrato che l’assunzione di equiseto in polvere abbrevia sensibilmente il tempo di guarigione delle fratture ossee. Sembra comunque che abbia anche una certa tossicità specialmente nel bestiame (probabilmente l’elevata quantità di membrane silicizzate possono causare lesioni e quindi infezioni nel tubo intestinale degli erbivori). In passato, presso le famiglie contadine, i germogli venivano occasionalmente impanati e fritti o conditi con aceto. Può essere aggiunto a zuppe o minestroni come integratore di sali minerali. Il sapore della pianta è simile a quello del fieno. L’acido silicico presente negli equiseti (“erba dello stagno”) veniva sfruttato nella lucidatura di oggetti in legno o metallo strofinandoli con i fusti. L’operazione risultava pratica anche per la forma e l’elasticità dei fusti stessi, sicché erano sovente adoperati anche per la pulizia dell’interno di vasi e bottiglie. Anticamente queste piante macerate si usavano come fertilizzante (sono abbastanza ricche di minerali), ma anche per combattere la ruggine. Gli antichi romani utilizzavano l’Equiseto come sostituto del sapone e anche oggi in cosmetica entra negli ingredienti delle creme antirughe, perché sembra che rallenti l’invecchiamento della pelle. Ha inoltre proprietà anticellulitiche.Non sono molti gli studi condotti sugli effetti dell’equiseto su gli esseri umani. La Coda di cavallo è stata tradizionalmente usata come diuretico, per aiutare a liberare il corpo del liquido in eccesso aumentando la produzione di urina. Uno studio ha esaminato l’uso di equiseto da persone che avevano una storia di calcoli renali di acido urico. Le persone che hanno preso equiseto hanno riscontrato un aumento della diuresi, la produzione di urina. Altri studi suggeriscono che l’equiseto abbia delle proprietà antiossidanti, che possono inibire la crescita delle cellule tumorali. Uno studio ha suggerito l’Equiseto, come trattamento per l’osteoporosi (assottigliamento osseo). La coda di cavallo non è raccomandata per i bambini perché contiene tracce di nicotina. Gli adulti possono assumere la dose standard di 300 mg, 3 volte al giorno. Le persone con disturbi cardiaci o renali, diabete, o gotta non dovrebbero usare la coda di cavallo e non è consigliato bere alcolici regolarmente. La coda di cavallo può diminuire il potassio nel corpo, quindi le persone che sono soggette a bassi livelli di potassio non devono assumere Equiseto. Le donne che sono incinte o che allattano non devono assumere coda di cavallo.

 

  • PIATTELLO O COSTOLINA (Hypochaeris radicata): Erba perenne facile da riconoscere perché cresce raso terra, espandendosi a macchia d’olio. Le rosette sono formate da foglie “carnosette”, talvolta macchiate di bruno o ricoperte di peli; recise alla base emettono un lattice biancastro e si “arrotolano” su se stesse rendendo lunga e paziente l’operazione di lavaggio e asportazione della parte terrosa che rimane spesso appiccicata alla foglie. Il periodo di raccolta del Piattello va da inizio primavera, quando si possono gustare le giovani e tenere foglie centrali anche crude in insalata, per continuare in estate con lo sviluppo di lunghi steli che terminano in capolini formati da fiori gialli simili a quelli del più noto Tarassaco anche se di dimensioni inferiori. Gli steli teneri e ancora privi di fiori si possono consumare lessati o cotti al vapore come fossero asparagi; il fiore in boccio si conserva sott’aceto o sotto sale al pari dei capperi, le ligule gialle possono essere utilizzate per decorare i piatti più diversi. Quando ormai l’inverno è alle porte le foglie centrali della rosetta si possono ancora consumare cotte al vapore o brevemente sbollentate e ripassate in padella con aglio, cipolla, pomodoro, acciughe o altri ingredienti al gusto. Naturalmente le stesse possono arricchire minestre, frittate e ripieni per torte salate.

 

  • VIOLA MAMMOLA (Viola Odorata): La viola mammola, anche detta viola odorata, dal dolcissimo profumo inconfondibile. Questo fiore gentile, tra i primi ad annunciare la primavera dopo il sonno invernale e a diffondere pian piano nell’aria un profumo d’altri tempi. Con i suoi fiori potrete fare un ottimo sciroppo dissetante se diluito in acqua, potrete candirli per decorare i dolci, oppure aggiunti nelle insalate primaverili. Della Viola Mammola si utilizzano: le giovani foglie ancora socchiuse per arricchire insalate ed addensare minestre, zuppe e salse; i fiori profumati, che sbocciano tra marzo e aprile, da candire con zucchero fuso caramellato e poi essiccati in forno a bassissima temperatura oppure per preparare sciroppi aromatici, dal bel colore viola tendente al fucsia. Aggiunti freschi alle insalate donano un tocco di colore gentile così come utilizzati per rifinire e guarnire piatti di ogni genere.

 

  • CRITMO o Finocchio di mare (Crithmum Maritimum): Cresce tra gli anfratti rocciosi. Le sue foglie sono “carnose” e il profumo ricorda quello del finocchio. Utilizzato per la concentrazione di vitamina C. Può essere utilizzato crudo per insaporire insalate o piatti a base di pesce, cotto per farne gustose zuppe, ma l’utilizzo più apprezzato è la conservazione in salamoia o sott’aceto.

 

  • BILLERI O CRESCIONE PRIMATICCIO (Cardamine Hirsuta): Le piccole foglioline tondeggianti e l’ultima, posta in cima, asimmetrica sono ricoperte da minuscoli peli difficilmente percepibili al tatto o al gusto ma ben visibili con una lente d’ingrandimento o se riprese con una macchina fotografica in funzione Macro. Può essere consumato crudo, non appena la rosetta colonizza terreni fertili, oppure cotto quando non più tenerissimo. I piccoli fiori danno un tocco gentile e decorativo a insalate, creme di verdura, tartine per aperitivi. Cotto e mescolato con altre erbe il Billeri arricchisce ripieni per pasta fresca, per torte salate o per involtini di carne; crudo invece aromatizza egregiamente minestre, formaggi, patate lessate o può essere utilizzato come ingrediente principale di un “pesto” dal gusto piccantino. Per la sua ricchezza in vitamina A e C, in calcio, fosforo e magnesio, è sempre stato utilizzato dalla medicina popolare come pianta diuretica e ricostituente.

 

  • ELLERA TERRESTRE (Glechoma hederacea): Ellera o Edera terrestre, appartiene alla famiglia delle mente (labiate) Il suo fusto striscia lungo il terreno e da origine a due tipi di rami: quelli eretti che portano piccoli fiori violacei ad imbuto e labiati con macchie color malva sul labbro inferiore; sugli altri rami, invece, (detti stoloni), striscianti e radicati ai nodi, si sviluppano altre piantine che si possono utilizzare per riprodurne in gran quantità così come si fa per le fragole. Cresce solitamente in zone ombrose, lungo i muri delle case, ma non disdegna anche luoghi più assolati. In tempi passati veniva considerata in grado di sconfiggere la pazzia, per questo un po’ strega, ma anche utilizzata in certe notti particolari per aiutare a visualizzare le streghe! I monaci invece ne coltivavano in gran quantità per curare qualsiasi tipo di ulcerazione delle pelle, soprattutto quelle causate dalla peste. Ancora oggi è preziosa per curare le affezioni bronchiali, mal di gola e tosse di vario genere, sinusiti e ronzii alle orecchie, sottoforma di decotti da acquistare ed utilizzare dietro consiglio di esperti, così come noto ingrediente del rinomato tè svizzero. Tutti possiamo utilizzarla per questo suo aroma tenue, che si può definire mentolato-speziato, per insaporire formaggi freschi (ottima con la ricotta), patate, insalate (bella e buona con le carote grattugiate) o per aggiungere aroma e colore a risotti e paste fresche.

 

  • FALSA ORTICA (Dolcimele): Il Lamium purpureum, così come gli altri Lamium, appartiene alla famiglia delle mente e, pur non avendo lo stesso aroma rinfrescante, è un ottimo ingrediente per ripieni, frittate, minestre. Non temete il profumo poco gradevole che emana quando lo si coglie e durante la cottura. Il colore dei suoi fiori, simili a piccole bocche aperte, che vira dal rosa-viola chiaro al fucsia, attira api mellifere ed insetti e può essere utilizzato per creare cromie in piatti semplici o più raffinati oppure per avvolgere “biglie” di formaggi freschi per un insolito aperitivo. Succhiando la parte terminale del piccolo fiore, assaporerete una micro gocciolina di nettare dolce, ecco perché è conosciuta anche con il nome di Dolcimele. Dall’inizio della primavera e per tutta l’estate, la si può trovare in luoghi ombreggiati, lungo le siepi, ma anche in campi coltivati che attendono di essere arati.

 

  • Maggiorana (Origanum majorana): La maggiorana è una specie che viene impiegata come aromatica in cucina e si distingue dall’Origanum vulgare per l’odore ed il gusto più delicato. Le foglie sono piccole, opposte, picciolate, dotate di leggera peluria, verdi su ambo facce, intere e a margine liscio. I fiori sono bianco rosati, odorosi, ascellate da brattee concave. La fioritura avviene nei mesi più caldi. La maggiorana è un’importante preservativo nella tradizione sessuale italiana e greca. Le foglie sono la parte commestibile della pianta. È anche un’erba molto ricca di vitamina C, di oli essenziali, tannini e acido rosmarinico pertanto è molto usata in erboristeria, in aromaterapia ed anche nell’industria cosmetica. È indicata nella cura dell’emicrania.

 

  • Romice (o Lapazio) (Rumex crispus): Il lapazio o romice è un genere di piante erbacee, per lo più perenni, della famiglia delle Polygonaceae. Si rinviene comunemente lungo le strade, nei luoghi incolti e nei prati umidi ed acquitrinosi, talvolta anche come infestante nei terreni coltivati. Vegeta sia in zone pianeggianti che montane. La pianta di romice è usata in erboristeria per le sue proprietà astringente, depurativa, rinfrescante, lassativa. E’ impiegata in caso di laringite, tosse secca e mal di gola. La sua radice, molto ricca di ferro, è utilizzata come antianemico, tonico-ricostituente, astringente. Le giovani foglie possono essere usate nelle minestre, oppure miste ad altre erbe cucinate lesse.

 

  • Erba cipollina (Allium schoenoprasum): E’ una pianta aromatica della famiglia delle Liliaceae. Ha una struttura elastica in lunghezza, ma “scrocchiano” sotto le dita se schiacciati e sprigionano il sottile aroma di cipolla che ha dato loro il nome comune. In cima agli steli si trovano le infiorescenze, composte da piccoli fiori compositi rosa-lilla a forma di giglio. L’erba cipollina si usa quasi esclusivamente fresca poiché ha un aroma lieve che si perde facilmente. Per proporla al meglio i cuochi la tengono come pianta e se ne servono solo al momento dell’effettivo utilizzo, sciacquandola velocemente e sminuzzandola con le forbici. Guarnisce e sottolinea il gusto di crêpes, salse, burri aromatizzati, insalate e zuppe, ma può accompagnare anche il pesce. Grazie alla sua elasticità viene anche usata per legare piccole preparazioni a forma di fagotto, come le crêpes, o mazzetti di verdure lessate e accompagnate da salse, come gli asparagi, o involtini di bresaola alle erbette. È tipica della cucina della Francia, ma è diffusa anche in Italia. È nota e usata in erboristeria come antiscorbutico, antisettico, callifugo, ipoglicemizzante, cardiotonico, cicatrizzante e vermifugo.

 

  • Cerfoglio (Anthriscus cerefolium): Il cerfoglio è una pianta annuale importata in Europa dai Romani dalla Russia meridionale, ormai naturalizzata nella flora europea, cresce infatti spontaneamente nei boschi e nei prati. La pianta può crescere dai 40 ai 70 cm. Ha foglie a lamina suddivisa che possono arricciarsi e piccoli fiori bianchi riuniti in una infiorescenza ad ombrella di circa 2,5 cm di diametro. I frutti sono diacheni oblunghi e ovali, di circa 1 cm di lunghezza. È indicato dovunque possa essere usato il prezzemolo, al quale spesso è preferito per il suo sapore più delicato. Particolarmente indicato con le uova. Il tonico è ottimo per pelli grasse. Il cerfoglio ha proprietà emolienti; perciò è utilizzato per curare contusioni, punture di insetto, occhi infiammati dal sole e dal vento, blefariti, geloni e nella preparazione di cataplasmi. Il decotto era usato anche per lavare le parti arrossate dei neonati. L’infuso è utilizzato per curare idropisia, coliche epatiche, reumatismi, gotta e dolori mestruali. È considerato un purificatore del sangue.

 

  • Dragoncello (Artemisia dracunculus): Il dragoncello o estragone è una pianta perenne, aromatica e amara, appartenente alla famiglia delle Asteracee. Il fusto forma dei cespugli che possono raggiungere l’altezza di circa un metro; ha fiori piccoli e di colore verde-giallastro, riuniti in infiorescenze a forma di pannocchia. Le foglie sono sottili, lucenti e di colore verde scuro. Il frutto è di colore scuro ed è grande 1-2 millimetri. I semi sono generalmente sterili. Foglie e fiori vengono raccolti nei mesi più caldi. È molto utilizzata nella cucina toscana e in quella francese per insaporire pesce, uova ed altre pietanze. È uno dei componenti principali della salsa bernese che si usa per insaporire la carne alla griglia. Ha proprietà antisettiche e digestive. Le foglie contengono sali minerali e le vitamine A e C. Masticare le foglie di dragoncello riduce le sensibilità delle papille gustative, favorendo l’assunzione di medicine amare. Solitamente le foglie si usano tramite un infuso. Le radici danno sollievo al mal di gola e l’infuso di foglie stimola l’appetito.

 

  • Artemisia comune (nome scientifico Artemisia vulgaris) è una pianta arbustiva della famiglia delle Asteracee. È una pianta la cui altezza può arrivare fino a 5–20 dm. La forma biologica è emicriptofita scaposa, ossia sono piante perenni, con gemme svernanti al livello del suolo e protette dalla lettiera o dalla neve, dotate di un asse fiorale eretto e spesso con poche foglie. Sono inoltre prive di lattice (come le altre Asteraceae), contengono però oli eterei lattoni sesquiterpenici ed hanno un odore aromatico di vermuth. Contiene vari oli essenziali e vari terpenoidi come l’eucaliptolo, il tujone e il cineolo; contiene anche flavonoidi e derivati della cumarina. L’Artemisia vulgaris è la pianta officinale ed è utilizzata nella medicina popolare cinese e giapponese per la preparazione della moxa (dal giapponese moe kusa = erba che brucia), una medicina ottenuta triturando in un mortaio la pianta fino a ricavare un impasto lanoso con cui si preparano delle palline o dei coni che, una volta appoggiati su punti specifici della pelle (corrispondenti ai punti dell’agopuntura), vengono fatti bruciare. Secondo la medicina popolarepuò essere usata come antisettica (proprietà di impedire o rallentare lo sviluppo dei microbi); antispasmodica (attenua gli spasmi muscolari, e rilassa anche il sistema nervoso); carminativa (favorisce la fuoriuscita dei gas intestinali); diaforetica (agevola la traspirazione cutanea); emmenagoga (regola il flusso mestruale); espettorante (favorisce l’espulsione delle secrezioni bronchiali); eupeptica (favorisce la digestione); amaro tonico (digestiva); antidiabetica (dalle radici). Questa piante qualche volta viene usata come vermifuga, e quindi a volte è confusa con Artemisia absinthium. In cucina le foglie cotte o crude, aggiunte alla dieta, per merito del loro aroma amaro, aiutano la digestione; per questo in molte zone sono preparate soprattutto come condimento a cibi grassi. Le foglie sono usate anche come tè, oppure per aromatizzare la birra.

 

  • Cicerchia (Lathyrus sativus): La cicerchia è una leguminose da granella originaria del bacino del Mediterraneo, di antichissima coltura, ma limitata a causa della cattiva qualità alimentare dei suoi semi, che producono una sindrome neurotossica (latirismo), con convulsioni e paralisi, se consumata in grande quantità dagli uomini o dagli animali. È una pianta annuale che assomiglia alla veccia e contiene nei suoi baccelli dei semi poco più grandi dei piselli ma più schiacciati.

 

  • Latticrepolo o Caccialepre (Rheicardia picroides): Il caccialepre o latticrepolo è una pianta di piccole dimensioni composta da foglie basali pennate. La fioritura avviene tutto l`anno, così come le foglie persistono in ogni stagione assumendo, però, un colore più scuro al sopraggiungere dell`estate. I frutti sono acheni di due tipi: gli esterni scuri, solcato-bernoccoluti, gli interni chiari e quasi lisci. Il Caccialepre è diffuso sui terreni sassosi, incolti aridi. Si raccoglie la rosetta basale quando è giovane e verde, prima che la pianta emetta lo scapo fiorale. La rosetta va troncata a livello del terreno con un coltello in modo da non ledere la radice. Il taglio provoca la fuoriuscita di una modesta quantità di latice bianco e dolciastro; questo per contatto annerisce la pelle, ma è innocuo e può essere facilmente rimosso con olio.

 

  • Rosolaccio o Papavero comune (Papaver rhoeas papaveraceae): Il rosolaccio o papavero comune è una pianta erbacea alta all’incirca 70 cm che presenta steli esili e pelosi con foglie variamente incise. I fiori, di colore rosso, sono composti da petali leggeri ed allargati che contornano una serie di stami neri e un grosso pistillo centrale. I petali del rosolaccio vanno raccolti tra maggio e luglio e, per i loro principi attivi e le benefiche proprietà, vengono utilizzati essiccati per la preparazione di infusi contro l’insonnia e per calmare la tosse. In cucina i germogli vengono utilizzati per la preparazione di insalate e i petali per dare colore alle bevande.

 

  • Luppolo selvatico (Humulus lupulus): Il luppolo è una pianta a fiore (Angiosperma) appartenente alla famiglia delle Cannabaceae. Il luppolo cresce spontaneamente sulle rive dei corsi d’acqua, lungo le siepi, ai margini dei boschi. Il luppolo viene usato soprattutto nel processo produttivo della birra, dove assume l’importantissimo ruolo di conferire la caratteristica più comune alla birra, ovvero il sapore amaro, oltre all’aroma. In cucina i getti apicali della pianta di luppolo selvatico (virtis), vengono raccolti in primavera (marzo-maggio) e utilizzati come il più comune asparago (a volte erroneamente chiamati “asparago selvatico”). Da notare come, a differenza della maggior parte dei germogli utilizzati per uso culinario, i getti di luppolo selvatico siano più gustosi quanto più sono grossi. Si possono anche raccogliere gli ultimi 20 cm di pianta e far lessare per 5-10 minuti, condire con olio, sale e limone; oppure farli saltare qualche minuto con cipolla e servirli con riso integrale. Gustosi anche in risotti, frittate e minestre.

 

  • Bardana: La bardana è apprezzata in cucina e anche in cosmesi, può essere usata per una serie di rimedi naturali. La bardana contiene tutta una serie di principi attivi che ne fanno una pianta attiva verso molte condizioni mediche. La pianta è molto usata in medicina per le sue varie proprietà tra le quali citiamo: antiflogistica, purificante del sangue, depurativa in generale, ipoglicemica, diaforetica, fungicida, antibatterica, stomachica, lassativa e diuretica. La medicina popolare fin dall’antichità la indica per i più svariati utilizzi dalla cura della sterilità per la “foeminam quae non posset infantare” (rassegna di vecchi erbari, vedi questa pagina) al contravveleno per i morsi dei serpenti, ma la proprietà più generalmente riconosciuta è quella depurativa e contro le malattie della pelle quali acne, sfoghi, infiammazioni cutanee; questo utilizzo è confermato anche dalla medicina cinese che ne fa largo consumo. Le parti usate sono le foglie fresche, raccolte in primavera da una pianta di un anno e ridotte in succo, e le radici raccolte durante il riposo autunnale. I semi invece sono usati nella medicina popolare americana: un decotto viene usato contro la gotta. Sembra che rinforzi il sistema immunitario grazie ai polisaccaridi che contiene, inoltre è un antibiotico naturale grazie ai poliacetileni e agli acidi fenolici. I principi amari ed il lignano arctigenina sono risultati citotossici in vitro verso alcune linee tumorali. Per utilizzi alimentari si usano (le parti eduli) foglie, le radici e i semi. L’Oriente (fino in Giappone dove è divenuto un ortaggio popolare col nome di gobo) ha una ricca tradizione di ricette alimentari con questa pianta. Possono essere mangiati anche i gambi crudi in insalata (ma prima vanno privati della corteccia esterna e comunque devono essere prelevati da una pianta giovane). La bardana è tra le erbe alimurgiche. Può essere utilizzata in uso interno contro l’acne e i foruncoli e in uso esterno per curare l’eczema. Oli essenziali, tannini, inulina, sali minerali, inulina (in particolare l’inulina si trova nella radice di bardana), lopprina (un polisaccaride), mucillagini. Le parti da utilizzare sono: Radice fresca, foglie secche, giovani radici. L’invenzione o scoperta del Velcro (scratch in inglese) da parte dell’ingegnere svizzero George de Mestral nel 1941 deriva da un’attenta osservazione della natura durante una passeggiata con il suo cane. In effetti, il suo pelo era coperto di piccole palline. Si trattava di semi o germi di bardana. Dopo un’osservazione al microscopio, ha notato che i semi avevano la forma di un gancio elastico cosa che consentiva loro di attaccarsi bene al pelo del cane. George de Mestral ha poi sviluppato il Velcro, utilizzato soprattutto nell’industria tessile.

 

  • Cardo mariano: Anche questa è tra le erbe spontanee commestibili più diffuse, impossibile non averla notata durante una passeggiata in un qualsiasi campo incolto e soleggiato d’Italia. Spesso è assediata da insetti impollinatori. Questa verdura è conosciuta anche come cascellore ed è la protagonista di diverse ricette. Il cascellore è formato da una rosetta data da foglie, dalla rosetta dipartono dei fusti che terminano con dei fiorellini gialli. I fiori sono formati da quattro petali e sono tipici della famiglia delle Crucifere. Il cardo mariano è una pianta officinale, usata per il trattamento delle affezioni a carico del fegato. Per le sue proprietà è usato anche come ingrediente nella preparazione di liquori d’erbe. Il fitocomplesso è stato usato con successo nel trattamento in pazienti affetti da epatite cronica sintomatica, con scomparsa completa dei sintomi clinici, quali astenia, inappetenza, grave meteorismo, dispepsia, subittero, e con normalizzazione delle transaminasi. Gli stessi risultati si possono ottenere nei pazienti sottoposti a pesanti cicli di chemioterapia con gravi alterazioni biumorali e cliniche riguardanti la funzione epatica. Dagli acheni del cardo mariano si estrae la silimarina, una miscela di flavonolignani (silibina, silidianina, isosilibina e silicristina) noti per le proprietà depurative e protettive sul fegato. Il cardo mariano viene utilizzato in tutte le epatopatie (alcoliche, tossico-metaboliche, iatrogene e croniche) in cui sia rilevato un danno anatomo-funzionale, dato che effettua un’azione rigeneratrice nei confronti della cellula epatica e rende più resistente la cellula nei confronti degli agenti epatotossici. Inoltre è un efficace antiossidante dato che cattura i radicali liberi. L’utilizzo a scopo terapeutico di questa pianta è noto fin dall’antichità ma l’isolamento e la caratterizzazione dei principi attivi sono stati completati negli anni settanta. Le radici hanno proprietà diuretiche e febbrifughe.

 

  • Malva (malva silvestris): cresce spontaneamente nei campi incolti e si può facilmente trovare ai margini di strade sassose. La pianta selvatica dell’antica medicina popolare per eccellenza, nonché della tradizione erboristica moderna, che ne ha confermato le proprietà benefiche in virtù delle sue mucillagini come emolliente, lenitiva delle mucose, blandamente lassativa. La potremo reperire lungo i tratturi, nei luoghi erbosi incolti, o fra i ruderi di vecchie costruzioni di campagna abbandonate. Apprezzata fin dall’antichità sia come medicamento che come verdura, si utilizzano le foglie nelle zuppe di verdure, anche miscelate ad altre erbe di campo, per frittate, risotti, mentre i teneri germogli e i fiori in boccio si mangiano crudi nelle insalate. I fiori si possono utilizzare, freschi, anche per guarnire torte e crostate, e nelle stesse insalatine costituiranno una piacevole e allegra nota di colore. Sono edibili, anche se privi di particolare sapidità, anche i piccoli frutti acerbi a forma di minuscola zucca (poliacheni circolari), che i bambini un tempo chiamavano “il pane di Gesù”, forse per la loro caratteristica forma di pagnottella.

 

  • Menta (Mentha species): La Menta, o per meglio dire le diverse varietà di menta, poiché molte sono le specie appartenenti al genere mentha, sono piante erbacee vigorose che possono incrociarsi in natura spontaneamente. Oltre alle sue proprietà medicinali, utili per favorire la digestione, la menta possiede un gradevole e inconfondibile aroma, che ne fa un ottimo condimento aromatico, allo stato fresco o essiccata, per insaporire e profumare piatti di verdura o di carne. Ottima per sciroppi, liquori e bevande rinfrescanti, soprattutto in estate; le foglie aromatizzano anche i dolci al cioccolato. Si può preparare anche un pesto di menta fresca, o rosolare le favette fresche, piccole e tenerissime con la loro buccia, aromatizzandole con la menta. E’ stata usata e viene ancora impiegata come rimedio per il mal di testa, spasmi, dolori dei denti, nausea e problemi gastrointestinali. Il mentolo è efficace nel ridurre il dolore emicranico e la nausea quando viene applicato sottoforma di soluzione al 10% sulla fronte e sulle tempie

 

  • Melissa (Melissa officinalis): La Melissa è una pianta erbacea perenne che cresce spontanea nei luoghi ombrosi, lungo siepi, sentieri e muretti in pianura e collina. La Melissa è chiamata anche Limoncina, Erba Limona, Cedronella (da non confondere con la Citronella, Cymbopodon nardus), per il suo profumo agrumato, che tuttavia si perde con l’essiccazione. Rilassante, spasmolitica, antidispeptica, la Melissa entra nella composizione di vari liquori, come i famosi Chartreuse e Benedictine, e l’Acqua di Melissa delle Carmelitane, tutti con proprietà digestive e corroboranti. In cucina, per il suo fresco aroma, è prevalente l’uso come aromatizzante, per pesci, insalate, macedonie di frutta, sciroppi, ma può essere aggiunta ad altre verdure o erbe spontanee per frittate, risotti, dolci, gelati, e per accompagnare formaggi a pasta molle.

 

  • Origano: Questa pianta aromatica, specialmente nei nostri paesi, è molto nota ed utilizzata come spezia per aromatizzare numerosissimi piatti: insalate, salse, pizze, carne, verdure. Inoltre è un toccasana per la salute, ha proprietà disinfettanti polmonari, serve come antireumatico, è cicatrizzante delle piaghe e delle scottature. Può essere utile in caso di debolezza generale, vertigini, disturbi nervosi, digestione difficile, bronchite e asma.

 

  • Centocchio: Centocchio, noto anche come “Paerina” o stellaria media, che è un’erbacea che possiamo trovare praticamente ovunque in Italia, definita come erba infestante, ma che può essere utilizzata contro il prurito e l’eczema e viene indicata anche per disturbi come la bronchite.  Il centocchio, in cucina, è molto apprezzato sia cotto, sia in insalate.

 

  • Erigero (Erigeon Canadensis): è un genere di piante spermatofitedicotiledoni appartenenti alla famiglia delle Asteraceae, dall’aspetto di piccole erbacee annuali o perenni i cui fiori sono molto simili alle margherite. Alcune proprietà di queste piante sono interessanti per la medicina popolare. Ad esempio le radici di Erigeron affinis (una specie messicana non coltivata in Europa) è adoperata come il dentifricio per la pulizia dei denti o addirittura in caso di mal di denti.

 

  • VERONICA Lucida, Veronica polita o occhi della Madonna Veronica (Chamaedrys Scrophulariaceae): La corolla è pentamera ma apparentemente si presenta a 4 lobi in quanto i due petali superiori sono fusi insieme; gli stami sono 2 saldati alla corolla. Da non confondere con il Myosotis con 5 lobi. Il frutto è una capsula compressa lateralmente che contiene da 2 a 250 semi. Pianta comune, erbacea perenne, villosa, alta dai 10 ai 40 cm.; fusto eretto o ascendente con peli disposti su due linee; foglie inferiori brevemente picciolate, le superiore sessili (prive di picciolo) con lamina ovata, a margine grossamente dentato e ricco di peli; infiorescenza a grappolo (racemi) cilindrici allungati, da 2 opposti a 3-5, posti all’ascella delle foglie superiori, brattee setolose, calice con lacinie lanceolate, pelose; corolla blu-celeste intenso di diametro 1-1,5 cm, concava con 4 lobi diseguali, con venature scure, brevi, due stami. Il suo periodo di fioritura è compreso tra i mesi di Aprile-Giugno. La pianta possiede delle proprietà medicinali e può essere utilizzata come purificante del sangue, vulneraria. Sono chiamatiOcchi della Madonna perchè secondo una leggenda: ❝Una dolce mattina, nel Malcantone, discese la Madonna col bambino, per godersi la nostra primavera. La Madonna passeggiava lungo un sentierino pianeggiante, invigilando il figlioletto, che correva felice tra l’erba e i fiori. Dopo un po’, il piccolo Gesù ebbe sete e domandò da bere. La madre si guardò attorno, tese l’orecchio, ma non scorreva un filo d’acqua. Già stava per prendersi in braccio la sua creaturina e risalire ai cieli, quando le si offerse allo sguardo un bianco fiorellino che, all’ombra d’un blocco erratico, quasi non osava mostrarsi. La Madonna s’avvicinò all’intirizzito fiore, lo colse e vide dentro quel pallore una gocciola di rugiada, che sprizzò una luce di diamante. Accostò la corolla a mo’ di minuscola coppa alle labbrucce del piccolo, perché sorbissero quella stilla.Gesù bambino s’ebbe spenta la sete e riprese le sue corserelle nei prati. La Vergine confortò d’uno sguardo il povero fiore, che abbandonava il capino sullo stelo. Lo riportò all’ombra del masso, riattaccandolo miracolosamente al gambo. Tosto la corolla si drizzò e divenne azzurrina come l’iride della Madonna, cui aveva per un istante fissato. E tutti i fiori di quella specie, tinsero i bianchi petali di delicato azzurro. Da allora, nel Malcantone, le veroniche sono chiamate “occhietti della Madonna”; guardano a primavera dalle siepi, dai margini dei ruscelli, dalle prode, fiori sacri all’alma madre dei cieli❞.

 

  • Myosotis (nontiscordardimé o non ti scordar di me): è un genere di piante della famiglia delle Borraginacee, comprendente circa 150 specie erbacee annuali o perenni. Da non confondere con la Veronica con 4 petali. I fiori disposti in cime di solito appaiate sono generalmente senza brattee o qualche volta portano brattee nella parte inferiore. Il lembo regolarmente diviso in cinque lobi, piano o leggermente concavo, di solito blu (a volte può essere bianco, giallo, rosa e blu). Secondo la tradizione la denominazione di “non ti scordar di me” sarebbe legata a una leggenda secondo la quale Dio stava dando il nome alle piante quando una piantina, ancora senza nome, gridò: “Non ti scordar di me, Dio!” e Dio replicò: “Quello sarà il tuo nome!”. Secondo una più recente leggenda sarebbe invece legata ad un avvenimento occorso lungo il Danubio, in Austria: si narra che un giorno due innamorati stessero passeggiando lungo il Danubio, scambiandosi tenerezze e promesse d’amore. Rimasero affascinati dai piccoli fiori azzurri trasportati dalla corrente del fiume: il ragazzo si chinò per raccoglierne uno e donarlo alla sua amata ma scivolò e cadde in acqua, gridandole “Non ti scordar di me!” come saluto estremo prima di essere inghiottito. Dagli antichi era chiamato erba sacra ed era usata nella preparazione di medicamenti per gli occhi. Plinio il Vecchio dice che il fiore era considerato un simbolo di salvezza dal dolore e da ciò che potesse incupire la vita. Nel XV secolo, chi indossava il fiore non sarebbe stato dimenticato dalla propria amata; mentre le donne lo indossavano come segno di fedeltà. Infatti questo fiore è spesso ritenuto il simbolo per eccellenza della fedeltà e dell’amore eterno.Il “non ti scordar di me” è stato adottato a livello internazionale come fiore ufficiale della Festa dei nonni.

 

  • Primula comune (Primula vulgaris): è una pianta della famiglia delle Primulaceae, che fiorisce agli inizi della primavera. Viene chiamata anche coi nomi primavera e occhio di civetta. Le radici contengono zuccheri. Le proprietà curative antispasmodiche (attenua gli spasmi muscolari, e rilassa anche il sistema nervoso), calmanti (agisce sul sistema nervoso diminuendo l’irritabilità e favorendo il sonno), diuretiche (facilita il rilascio dell’urina), lassative (ha proprietà purgative), pettorali e sudorifere (agevola la traspirazione e favorisce la sudorazione). Nel passato veniva usata più largamente contro l’emicrania e i reumatismi. Ma un uso indiscriminato può causare irritazioni cutanee. Le parti usate sono i fiori, le foglie e il rizoma. In cucina le foglie e i fiori trattate come il tè possono essere usate per bevande, mentre da giovani (prima della fioritura) si mangiano in insalata o lessate come gli spinaci o in minestra con altre verdure. In alcune zone con i fiori si usa fare della marmellata, mentre il rizoma può servire per aromatizzare la birra.

 

  • RADICCHIO SELVATICO (Hyoseris radiata Asteraceae): Pianta perenne con rizoma ingrossato che prosegue verso il basso con una radice affusolata e fittonante. Il fusto che può raggiungere anche il metro di altezza si presenza ruvido, flessuoso, cavo, solcato e ramoso alla sommità, con rami rigidi divaricati. Le foglie si presentano di solito glabre e talvolta, nei luoghi asciutti, pelose. Le foglie basali spuntano in autunno e sono raggruppate in rosetta; passato l’inverno seccano. Sui rami del fusto si sviluppano foglie essili lanceolate e un pò incise alla base. Alla sommità si formano i capolini abbastanza grandi con fiori ligulati azzurri che al mattino si schiudono. Si utilizzano le rosette basali raccolte in autunno-inverno. In cucina le rosette basali vengono mangiate anche crude in insalata ma è più usuale la cottura da sola o con altre erbe condite poi con olio e limone. Compare nelle zuppe, più raramente nelle torte salate. Ha proprietà amaricanti digestive, depurative, leggermente sedative; utilizzata in decotti, tinture, infusi.Curiosità: le radici seccate tostate e macinate, costituiscono un surrogato del caffè detto di “cicoria”, che è stato usato molto nei momenti di crisi economica. I cataplasmi di foglie sono impiegati per la medicazione delle superfici cutanee erisi-pelatose od ulcerate.

 

  • TRIFOGLIO: Anche di trifoglio ne esistono diverse varietà, le più conosciute sono il Trifoglio bianco (Trifolium repens), il Trifoglio pratense (Trifolium pratense) ed il Trifoglino selvatico (Medicago lupulina) Fabaceae. I suoi fiori bianchi o viola. Trifoglino selvatico. Sono molto interessanti le proprietà medicamentose della pianta: dal trifoglio si estraggono ormoni vegetali (fitormoni), in particolare estrogeni, validi per rallentare l’invecchiamento di cute e mucose. Tali estrogeni inoltre sono efficaci per disturbi caratteristici delle donne in menopausa, quali vampate, depressione, osteoporosi, malattie cardiovascolari. In anni recenti gli ormoni estratti dal trifoglio si sono rivelati utili anche nell’impiego contro l’ipertrofia prostatica. Data la sua proprietà di antagonista dell’Ambrosia, pianta infestante della famiglia delle Compositae in rapida diffusione in molte zone del nord Italia, la semenza di trifoglio viene usata in aggiunta alle granaglie per il controllo della diffusione dell’Ambrosia nelle zone agricole.

 

  • Galium aparine è una pianta appartenente alla famiglia delle Rubiaceae, inconfondibile al tatto a causa dei peli ruvidi (simili a del velcro) che la rivestono in tutte le parti. Per questo viene chiamata anche “attaccamani” o “attaccaveste”. Ha il fusto quadrangolare. Ha foglie lineari od oblunghe disposte in verticilli. I fiori, minuscoli, hanno la corolla bianca formata da 4 petali e sono riuniti in infiorescenze ascellari. Il frutto, grande come un chicco di riso, è anch’esso coperto di spine uncinate che, rimanendo attaccate al pelo degli animali favoriscono, la propagazione e diffusione della pianta. Veniva usata per le sue proprietà contro alcune malattie cutanee. È anche commestibile ma solo i germogli primaverili lessati. Il nome galium ricorda che in passato probabilmente era usata come caglio. In antichità si attribuivano proprietà diuretiche e calmanti nel mal di orecchie. Inoltre, suggeriva l’uso dei frutti e delle foglie contro il morso di vipere e scorpioni. Date le sue proprietà emostatiche della pianta, si utilizzava per arrestare il sanguinamento delle ferite, attraverso un cataplasma di foglie fresche.

 

  • Parietaria officinalis (anche detta erba vetriola, erba vento, erba di muro, gamba rossa o muraiola) è una pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Urticaceae e quindi parente stretta dell’ortica. È una specie fortemente allergenica. Pianta erbacea perenne, alta fino a 70 cm. Il fusto è eretto, rosso-bruno, cilindrico, peloso. Le foglie sono ovali, lanceolate a margine intero, alterne, picciolate, di sotto munite di microscopici peli uncinati. A differenza dell’ortica non sono urticanti. I fiori sono minuscoli, unisessuali, verdi e raggruppati in glomeruli all’ascella delle foglie. Presentano un perigonio diviso in quattro tepali ovali. Nell’infiorescenza sono presenti tre tipi di fiori: quelli maschili, quelli femminili e quelli ermafroditi. Fiorisce da maggio a ottobre. Anche nel periodo della fioritura questa pianta è praticamente inodore. Il frutto è un achenio ovale. Fino a pochi anni fa, questa pianta veniva comunemente usata per pulire l’interno delle bottiglie e dei fiaschi grazie ai microscopici peli delle sue foglie (da qui il nome comune erba vetriola). Un altro utilizzo popolare di questa pianta è quello di lenire il prurito dovuto al contatto con la sostanza urticante dell’ortica, strofinandola senza troppo vigore sulla parte lesa. Nell’uso popolare e alimurgia, le giovani foglie primaverili private del gambo e dei fiori ascellari e lessate (10 minuti) vengono impiegate come gli spinaci. Sono altresì ottime per ripieni, frittate, minestre o come contorno insieme ad altre erbe di campo. La pianta contiene tannino, flavonoidi e nitrato di potassio. Ha proprietà diuretiche, emollienti, sudorifere, depurative ed espettoranti. Nella medicina popolare viene raccomandata per sgretolare ed espellere i calcoli renali. Causa una delle più comuni forme di allergia ai suoi pollini in particolare nell’area mediterranea.

 

  • GALINSOGA (Galinsoga parviflora Asteraceae): Sono piante basse, la cui altezza arriva al massimo a 1 – 5 dm. La forma biologica della specie è terofita scaposa (T scap); ossia sono piante erbacee che differiscono dalle altre forme biologiche poiché, essendo annuali, superano la stagione avversa sotto forma di seme; sono inoltre munite di asse fiorale eretto, spesso con poche foglie. Queste Asteraceae sono senza latice. Secondo la medicina popolare questa pianta ha le seguenti proprietà medicamentose: astringente (limita la secrezione dei liquidi); anticoagulante; cicatrizzante (accelera la guarigione di ferite). Inoltre è utile per il trattamento delle punture d’ortica. Le parti giovani della pianta (fusti e foglie) possono essere usati come verdure come insalata se crude o per minestre se cotte, oppure essiccate e quindi macinate per produrre una polvere da condimento (tipo spezia). Ad esempio in Colombia con questa spezia si prepara una minestra chiamata “Ajiaco”.

 

  • GRESPINO (Sonchus Asteraceae): Esistono diverse varietà di sonchus tutti comunque validissimi come alimento in quanto contengono molto calcio ed il rapporto con il fosforo è ottimale. Grespino comune e Grespino spinoso. Plinio il Vecchio ci tramanda che Teseo, prima di inoltrarsi nel labirinto per uccidere il Minotauro, si nutrì con un bel piatto di grespino comune. Questa ottima pianta commestibile la si può raccogliere nei capi di tutta Italia propri adesso: le sue foglie, in questo momento di sviluppo, sono tenere e non troppo fibrose. Questa pianta veniva impiegata in erboristeria per le sue proprietà depurative, diuretiche, epatodetossicanti e soprattutto per la sua azione coleretica (stimola la bile), ma oggi quasi completamente trascurata. La radice si usava, una volta tostata, quale miscellanea per il caffè. È buona cruda in insalata, mista ad altre erbe di campo, lessata, usata quale contorno, condita con olio e limone o passata in padella con qualche spicchio di aglio.

 

  • BORSAPASTORE (Capsella bursa-pastoris Brassicacee): E’ un’erba commestibile appartenente alla famiglia delle brassicaceae. Le foglie basali sono identiche a quelle di un’altra brassicacea, la calepina irregularis che si distingue solo per gli apici floreali. Proprietà curative: antiemorragiche, emostatiche, astringenti. In modo particolare agisce come astringente sull’apparato genitale femminile e viene usato in caso di flusso troppo abbondante o doloroso. In medicina popolare viene inoltre usata nella cura delle diarree, delle varici e delle emorroidi. Il fusto (opportunamente trattato) è usato contro le infezioni della pelle. Parti usate: parti aeree. È una pianta commestibile dal sapore simile al cavolo. Le giovani foglie possono essere mangiate come “insalata dei campi” e dicono abbia proprietà contro l’ipertensione, oppure la rosetta basale può servire nelle “minestre primaverili” o come “erbette per la minestra”. In Cina e America Settentrionale, sui mercati alimentari, è considerata pianta commerciale. Dai semi si può estrarre un olio commestibile.

 

  • FORBICINA o Forbicina bipennata (Bidens bipinnata): la Forbicina peduncolata (Bidens frondosa) Asteraceae. Si può dare in grande quantità, ha un ottimo rapporto di calcio/fosforo e generalmente è molto gradita alle tartarughe. Secondo la medicina popolare Bidens tripartita possiede le seguenti proprietà medicinali: antisettica (proprietà di impedire o rallentare lo sviluppo dei microbi); astringente (limita la secrezione dei liquidi); diuretica (facilita il rilascio dell’urina); emmenagoga (regola il flusso mestruale); emostatica (blocca la fuoriuscita del sangue in caso di emorragia); febbrifuga (abbassa la temperatura corporea); lassativa (ha proprietà purgative); sedativa (calma stati nervosi o dolorosi in eccesso); stupefacente (sono in grado di alterare lo stato di coscienza). Da alcune parti della pianta si può ottenere sia un colorante nero che giallo; l’incenso prodotto con Bidens tripartita respinge gli insetti e le mosche.

 

  • ERBA MEDICA (Medicago sativa o Fabaceae – Leguminosae): Ha un buon rapporto calcio/fosforo ma contiene anche molte proteine. L’erba medica (Medicago sativa) detta anche erba Spagna, o anche alfalfa, è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Fabaceae (o Leguminose). Pianta foraggera per eccellenza, è utilizzata soprattutto come coltura da fieno o per produrre farine zootecniche attraverso disidratazione. Meno frequentemente è impiegata con il pascolamento e raramente per l’insilamento, pratica ormai desueta. L’utilizzo del foraggio fresco sfalciato o pascolato richiede accorgimenti particolari per prevenire l’insorgenza del meteorismo nei ruminanti: in generale si procede ad un preappassimento dell’erba sfalciata o alla presomministrazione di concentrati o foraggi agli animali mandati al pascolo. Tali accorgimenti non sono invece necessari se la medica è coltivata in consociazione con una graminacea.Come foraggio rappresenta la specie più usata tra le leguminose in quanto presenta un alto tenore proteico e vitaminico (caroteni) e la possibilità di essere conservata, in genere, sotto forma di fieno o farina (sebbene quest’ultima abbia elevati costi energetici per la sua produzione). La farina di medica è classificata a tutti gli effetti tra i concentrati, per il discreto valore proteico, dell’ordine del 20%. Relativamente basso è invece il valore energetico. L’insilamento della medica, poco frequente, necessita di alcuni accorgimenti a causa del basso tenore in glucidi fermentescibili: il preappassimento, tecnica adottata per la produzione del fieno-silo, l’aggiunta di lactobacilli e, soprattutto la consociazione con una graminacea. Contiene 8 enzimi digestivi, fitoestrogeni, 40 diversi bioflavonoidi (con azione antiossidante, antinfiammatoria, rinforzante dei vasi sanguigni), flavoni (rinforzanti dei capillari fragili), glucosidi, alcaloidi (sostegno all’attività antibiotica, antinfiammatori, favoriscono la formazione proteica), aminoacidi, vitamina A, vitamina C, vitamina D, vitamina E, vitamina K, sali minerali, oligoelementi, elevate quantità di clorofilla (ottima per il trattamento delle anemie). È dotata di proprietà deodoranti (clorofilla), antimicrobiche (clorofilla, vitamina A). Disintossicante del fegato. Eccellente ricostituente. Buona quantità di fibre (nel germoglio consumato in insalata). Il suo contenuto in vitamina K la rende adatta per rinforzare il sistema vascolare. La vitamina U ostacola la formazione di ulcere. Assunta prima dei pasti aumenta l’attività gastro-intestinale. Assunta dopo i pasti migliora l’assorbimento dei nutrienti. Migliora la qualità e la quantità del latte materno durante l’allattamento. Regola la produzione di estrogeni (isoflavoni). Contiene fluoruri naturali (rinforza i denti).

 

  • Raperonzolo selvatico o Raponzolo (Campanula rapunculus): è una pianta della famiglia delle campanulacee. Il raperonzolo o raponzolo cresce spontaneamente in molte parti della penisola, si può trovare nei terreni incolti, nei boschi, nei prati. In alcune zone d’Italia però è vietato raccoglierlo. Si mangia la foglia di marzo, ma si trova nei campi tenerissimo anche in febbraio: la radice assomiglia a una carota, è leggermente amarognola ma con retrogusto di nocciola. Le foglie hanno, invece, un gusto leggermente amarognolo e un leggero profumo di bosco. Il raperonzolo ha proprietà disinfettanti e antinfiammatorie, è una verdura molto indicata per i diabetici, è ricco di vitamina C, fibre, proteine e sali minerali. Come si usa: le foglie e le radici tagliate sottilmente si gustano in insalata. In alternativa è possibile attendere l’ingrossamento delle radici, che possono diventare lunghe fino a 10 cm, e consumarle.

 

  • Valerianella selvatica: Una piccola insalatina a ciuffi facilmente riconoscibile chiamata anche songino, gallinella di campo, lattughino, molesino e dolcetta. È ottima gustata fresca in insalata ed ha proprietà depurative, emollienti, lassative e rimineralizzanti.

 

  • Plantago major rossa o piantaggine maggiore (major purpurea): è una pianta erbacea che cresce spontanea ed è sia bella da vedere che ottima da gustare come insalata perenne, dal sapore leggermente amaro e di sottobosco.

 

  • Echium vulgare o erba viperina: Questa erba commestibile è edule in tutte le sue parti, dai fiori alle foglie, ma è anche ornamentale grazie alla sua stupenda fioritura di colore blu che potrà abbellire il terrazzo o il giardino durante l’estate.

 

  • Sanguisorba officinalis o Salvastrella: detta anche meloncello o erba pimpinella, soprattutto la specie minor. I suoi fiori sono estivi, stupendi e molto originali ma di questa pianta è meglio consumare le foglie commestibili che hanno un sapore che ricorda il cetriolo e potranno rinfrescare le ricette dei mesi più caldi.

 

  • Rosoline o rosolaccio o paparine: Le rosoline sono il nome che diamo alle giovani rosette basale della pianta del papavero (Papaver rhoeas). Queste rosette vanno raccolte quando sono giovani e tenere e si cuociono come si fa con gli spinaci. Il papavero è una pianta conosciuta da secoli, per le sue proprietà lenitive e calmanti, un blando sedativo, non tossico quanto il papavero da oppio suo “cugino”. L’infuso dei suoi petali è d’aiuto a chi soffre di insonnia per stati nervosi, calma tosse, catarri e raffreddori. Ad uso esterno, sempre l’infuso di petali, aiuta a lenire pelli arrossate, punture d’insetti ed un buon tonico estemporaneo antirughe.

 

  • Iperico o erba di San Giovanni (Hypericum perforatum), è una pianta officinale perenne semisempreverde appartenente alla famiglia delle Clusiaceae (Guttiferae) e al genere Hypericum. Fa parte della medicina tradizionale per via delle sue proprietà fitoterapeutiche, in particolare quelle antidepressive e antivirali. Le origini del suo uso come erba medicinale sono molto antiche e se ne trova traccia negli scritti di molti secoli fa. Preferisce boschi radi e luminosi, comunque all’aperto per tutto l’anno, poiché non teme il freddo. Originario dell’arcipelago britannico, è oggi diffuso in tutte le regioni d’Italia e nel resto del mondo. Predilige posizioni soleggiate o semiombreggiate e asciutte, come campi abbandonati ed ambienti ruderali. Numerosi studi ne hanno dimostrato l’efficacia antidepressiva, specie nel caso di depressione lieve e moderata, con un effetto paragonabile ad alcuni psicofarmaci antidepressivi. A volte è utilizzato, associato ad altri prodotti, anche per il trattamento fitoterapico di alcune forme d’ansia. Nella medicina tradizionale l’iperico è usato come antisettico. Tali usi sono in parte dovuti alle proprietà antibatteriche e antivirali dell’iperforina e interferire in vari stadi del ciclo vita dei virus incapsulati compreso quello dell’influenza, specie quando attivata dalla luce. Nella fitoterapia tradizionale, invece, dell’iperico sono state valorizzate principalmente le qualità astringenti, antinfiammatorie e antibatteriche, anche per uso interno ma soprattutto per uso esterno nel trattamento di scottature, emorroidi, ferite, piaghe.. A tal fine viene preparato sotto forma di olio di iperico, un oleolito dal caratteristico colore rosso, preparato macerando la pianta nell’olio di oliva al sole per 6-7 giorni. Nel trattamento delle ferite, la sua capacità sembra essere dovuta alla stimolazione della produzione di collagene; gli estratti di iperico sembrano possedere attività antinfiammatorie per inibizione di geni proinfiammatori. Tutti i più recenti trial clinici e revisione di studi concludono che gli estratti di iperico sono più tollerabili dei più comuni psicofarmaci, causando minori effetti collaterali e con tassi di miglioramento spesso simili al farmaco. Tuttavia sono possibili pericolose interazioni con diversi farmaci. La macerazione in olio utilizzata per la preparazione dell’olio di iperico, invece, fa degradare l’ipericina eliminando così buona parte delle controindicazioni ma anche l’attività antidepressiva.

 

  • Ruta comune (Ruta graveolens) è una pianta della famiglia delle Rutaceae. È comune in Italia, anche spontanea al disotto dei 1000 metri di altitudine. Ha un aroma piacevole, non eccessivamente spiccato e viene utilizzata per aromatizzare la grappa. I semi insieme alle foglie di menta vengono usati per aromatizzare la carne di selvaggina. È una pianta perenne a fusti ramificati, di 80 cm di altezza, con foglie glauche, tripennatosette alla base, meno divise all’apice dal colore verde-azzurro. Presenta fiori gialli, con il fiore centrale pentamero e gli altri tetrameri. Il frutto è una capsula subglobosa. Predilige i terreni aridi e pietrosi. Gli estratti di ruta sono mutageni e epatotossici; a grandi dosi possono causare violento dolore gastrico, vomito, complicazioni sistemiche, fino alla morte. L’olio di ruta può causare danni ai reni e grave degenerazione epatica. L’esposizione agli estratti di ruta, o ai preparati vegetali derivati da esso, può causare grave fotodermatiti, che possono determinare vere e proprie ustioni cutanee. Gli estratti di ruta sono potenzialmente utili come un bloccante dei canali del potassio. Vengono utilizzati per trattare molti problemi neuromuscolari e per stimolare l’inizio delle mestruazioni, possiede inoltre un effetto emmenagogo ed effetti abortivi pertanto non può essere usato dalle donne in età fertile. Può essere utilizzata variamente dall’uomo, sia per il semplice consumo alimentare che in infusi. Tra le tante proprietà, spicca quella di rafforzare le pareti dei capillari, dovuta ad una sostanza antiossidante chiamata rutina. Recenti studi sembrano inoltre prospettare un possibile, futuro uso in contrasto al glioblastoma, un tipo di tumore al cervello. Una tisana di ruta può ridurre il gonfiore addominale ed ha proprietà antispasmodiche, antibatteriche e vermifughe e tradizionalmente veniva dunque considerata come una sorta di rimedio tuttofare dei mali dello stomaco. Inoltre, la ruta ha un effetto spasmolitico a dosi relativamente basse per questo motivo dovrebbe essere assunta con cautela, considerando il potenziale di gravi effetti collaterali; inoltre, gli studi clinici sono limitati. Una ricerca condotta da ricercatori italiani ha dimostrato che l’estratto acquoso di Ruta graveolens L., induce la morte in diverse linee cellulari di glioblastoma. Anche se si tratta di una pianta medicamentosa la Ruta graveolens rientra nella famiglia delle piante urticanti ovvero quelle piante che per semplice contatto a mani nude provocano dermatiti, gonfiore e vesciche. L’assunzione è sconsigliata a chi soffre di problemi all’apparato digerente, di nefrite, alle donne in gravidanza e a tutti coloro che soffrono di ipersensibilità accertata verso uno o più componenti. Inoltre la ruta è fotosensibile, pertanto durante il periodo di assunzione evitare di esporsi al sole.

 

  • Verbena officinalis è un’erba perenne appartenente alla famiglia delle Verbenaceae. Cresce fino a un metro di altezza, con un portamento eretto e preferisce suoli calcarei. La verbena è una pianta molto utilizzata in erboristeria in quanto ha molteplici proprietà medicinali: viene usata per curare i calcoli, è spasmolitica, drenante, antinfiammatoria, analgesica, diuretica, antidolorifica, tonica, vermifuga, febbrifuga, tranquillante, ecc. Non va usata in gravidanza. Viene usata tramite infuso, decotto, impacco. Se ne consiglia l’uso esterno, perlomeno come infusi e decotti. L’uso tradizionale è consigliato da secoli come pianta tonica amara, stomachica digestiva, deostruente splenico-biliare. La dose consigliata tradizionalmente è di una tazza di tisana con un cucchiaio di erba 2-3 volte al dì. Questa pianta è stata utilizzata in erboristeria per trattare problemi nervosi e insonnia. È stata anche considerata un’erba di ispirazione, quindi è stata a lungo ritenuta una potente alleata di poeti e scrittori.

 

  • Calta palustre (Caltha palustris) è una piccola pianta perenne, alta fino a 50 centimetri, glabra, dai fiori colorati di giallo intenso, appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae. Si trova quasi sempre vicino a sponde e alvei dei ruscelli o zone acquitrinose (stagni), ma anche luoghi erbosi e molto umidi. Questa pianta è considerata acre e corrosiva in ogni sua parte ed è considerata anche infestante in quanto è rifiutata dal bestiame. Si riferiscono diversi casi di conseguenze dannose a seguito sia di esperimenti medicinali che culinari. La manipolazione eccessiva della pianta può causare delle chiazze cutanee o semplicemente della dermatite. Contiene colina, flavonoide e altre; ma anche sostante velenose come le saponine che sono tossiche. Ha proprietà curative, come: antireumatiche, diuretiche, antispasmodiche, calmanti il dolore, diaforetiche, espettoranti.Le parti usate sono: le foglie essiccate si usano per fare cataplasmi. È anche usata in medicina omeopatica. In cucina nei tempi passati venivano usate le foglie e le radici o i giovani fiori messi sotto aceto. Attualmente questa pianta è stata bandita dalla cucina in quanto (come tutte le Ranunculaceae) contiene diverse sostante velenose. Nell’industria questa pianta viene usata per ricavare dei coloranti (tintura gialla dai fiori). Nel campo alimentare i boccioli chiusi sono usati dai sofisticatori per surrogare i capperi sotto salamoia.

 

  • Ranuncolo favagello (Ranunculus ficaria) è una pianta appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae, comune ai bordi dei ruscelli. Si tratta di piante con un’altezza variabile dai 6 ai 30 cm fondamentalmente glabre, lucenti e di aspetto un po’ cespitoso. Sono inoltre definite geofite bulbose, ossia sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione sotterranea. Queste piante contengono l’anemonina (oltre a saponine e tannini); sono sostanze particolarmente tossiche per animali e uomini. Infatti gli erbivori brucano le foglie di queste piante con molta difficoltà e solamente dopo una buona essiccazione (erba affienata) che fa evaporare le sostanze più pericolose. Anche le api evitano di bottinare il nettare dei “ranuncoli”. Sulla pelle umana queste piante possono creare delle vesciche (dermatite); mentre sulla bocca possono provocare intenso dolore e bruciore alle mucose. Queste piante possiedono proprietà rubefacenti (richiama il sangue in superficie, alleggerendo la pressione interna), vescicatorie (proprietà contenute nei bulbilli) e revulsive (decongestionamento di un organo interno attraverso delle applicazioni sulla pelle) molto pronunciate e responsabili di seri inconvenienti. Anticamente venivano usate nel trattamento delle emorroidi e ulcere ma anche come astringente (limita la secrezione dei liquidi – proprietà contenute soprattutto nei tuberi radicali), ma ora non più a causa dell’elevata tossicità di alcune sostanze contenute in queste piante. Le giovani foglie in primavera possono essere usate come insalata o in minestre con altre verdure. Inoltre i bulbilli e le giovani foglie, dopo opportuna lessatura, vengono consumate da alcune popolazioni come legumi. TUTTAVIA DATO IL GRADO DI TOSSICITÀ È CONSIGLIABILE NON USARE IN CUCINA NESSUNA PARTE DI QUESTA PIANTA.

 

 

  • Sedano (Apium graveolens) è una specie erbacea biennale appartenente alla famiglia delle Apiaceae ombrellifere, originaria della zona mediterranea e conosciuto come pianta medicinale fin dai tempi di Omero. Il ciclo della pianta è di 6-7 mesi. Il sedano è annoverato tra le piante officinali fin dal tempo degli antichi Egizi. I frutti contengono oli essenziali, in particolare il limonene, a cui vengono attribuite proprietà digestive (in forma d’infuso) e diuretiche, nonché emmenagoghe, cioè capaci di far affluire sangue nell’area pelvica. È ricco di minerali, ed è utile in caso di ipertensione arteriosa, reumatismi ed ernia iatale. Esistono numero specie di sedano; quello a coste bianche viene utilizzato in genere crudo, nelle insalate, mentre il sedano a coste verdi è adatto prevalentemente al brodo, alle salse e ai bolliti. È un ortaggio, ma è anche un erba aromatica; conferisce infatti sapore a molte preparazioni culinarie. Ha pochissime calorie e può offrire quindi un ottimo espediente per dare sapore a salse e sughi senza aumentarne quasi per niente il potere calorico. Dal sedano si ricava un prezioso olio essenziale con spiccate proprietà antiossidanti. Contiene potassio, fosforo, magnesio e calcio, vitamina C, vitamina K e, in minore quantità, alcune vitamine del gruppo B e vitamina E. Il sedano è composto per circa il 90% da acqua; per questo motivo è diuretico e depurativo. Contiene luteina,un antiossidante protettivo nei confronti del cervello. Il consumo regolare di sedano è utile in chi soffre di ipertensione arteriosa, in quanto può aiutare a ridurne i valori. Il succo di sedano, sempre se assunto regolarmente, può essere un aiuto contro i reumatismi. Per la presenza di alcune proteine allergizzanti (Api g 1, Api g 4, Api g 5), può essere causa di allergia alimentare anche grave. Il sedano è la principale fonte alimentare dell’androsterone, precursore del testosterone. Contiene apigenina. Attenzione a non confondere con la Cicuta, velenosa mortale.

 

  • Sedano, sedanina d’acqua, appio palustre, accia, erba sedanina, sèllero e in nepesino Laghi (Helosciadium nodiflorum), questa specie è diffusa in tutta Italia fino ai 1200 metri di altitudine, sempre in prossimità di fonti di acqua come fossi e acquitrini, nei pressi dei fontanili di campagna, sulle rive di laghi. Appartiene alla famiglia delle Umbelliferae e tutte le parti della pianta sono aromatiche, anche se meno intensamente del comune sedano (Apium graveolens) coltivato. Il consumo, soprattutto di foglie e steli, è frequente in diverse regioni italiane. Le foglie, piccole e dentellate, hanno un intenso colore verde scuro. I fiori, riuniti in ombrelle, sono giallognoli o biancastri. La fioritura avviene in estate, tra luglio e settembre. L’odore è molto intenso e gradevole. Il sapore è aromatico. I principi attivi del sedano selvatico sono zuccheri, cumarina, sostanze azotate e vitamina B. Nelle pratiche fitoterapiche vengono abitualmente utilizzati le radici, le foglie e i frutti. Il sedano selvatico ha proprietà drenanti, emmenagoghe, stomachiche, afrodisiache, carminative, stimolanti, diuretiche, febbrifughe, toniche e sedative. In virtù di tali qualità, la pianta viene diffusamente adoperata come rimedio naturale nei casi di meteorismo, flatulenza, tosse, contusioni, artrite, astenia, disturbi del ciclo, esaurimento da stress, emorragie delle vie urinarie, vitiligine, gotta e impotenza sessuale. Il sedano selvatico viene altresì impiegato per ottimizzare il funzionamento del sistema urinario. È a questo scopo che la medicina popolare propone un celebre sciroppo composto da cinque erbe, tra le quali vi è anche il sedano. Le informazioni fornite da anziani abitanti del luogo riportano una lunga tradizione nell’uso in cucina di questa pianta spontanea sia cruda sia in insalate ma soprattutto cotta come minestra.

 

  • Robinia (ROBINIA PSEUDOACACIA): In primavera ci delizia di uno spettacolo senza pari: dai suoi rami iniziano a pendere grappoli di fiori bianchi candidi e profumatissimi, amati follemente dalle api che ci regalano il miele squisito di acacia. Ma i fiori di acacia o robinia non piacciono soltanto alle api: provateli crudi in insalata o pastellati e fritti, sbattuti con l’uovo e mangiati in frittata. ATTENZIONE Semi, corteccia e radici sono tossici.

 

  • Germogli di Rovo (RUBUS ULMIFOLLIUS): Gli eccellenti frutti del rovo, pianta spontanea e perenne che cresce nei terreni incolti e boschi: il rovo dona vita alle dolci more, frutto che si raccoglie tra agosto e settembre. I giovani germogli si raccolgono in maggio e sono buonissimi anche crudi in insalata.

 

  • Rosmarino (Salvia rosmarinus) è una pianta perenne aromatica appartenente alla famiglia delle Lamiaceae. Originario dell’area mediterranea dove cresce nelle zone litoranee, garighe, macchia mediterranea, dirupi sassosi e assolati dell’entroterra, dal livello del mare fino alla zona collinare, ma si è acclimatato anche nella zona dei laghi prealpini e nella Pianura Padana nei luoghi sassosi e collinari. Pianta arbustiva sempreverde che raggiunge altezze di 50–300 cm, con radici profonde, fibrose e resistenti, ancoranti; ha fusti legnosi di colore marrone chiaro, prostrati ascendenti o eretti, molto ramificati, i giovani rami pelosi di colore grigio-verde sono a sezione quadrangolare. Le foglie, persistenti e coriacee, sono lunghe 2–3 cm e larghe 1–3 mm, sessili, opposte, lineari-lanceolate addensate numerosissime sui rametti; di colore verde cupo lucente sulla pagina superiore e biancastre su quella inferiore per la presenza di peluria bianca; hanno i margini leggermente revoluti; ricche di ghiandole oleifere. I fiori ermafroditi sono sessili e piccoli, riuniti in brevi grappoli all’ascella di foglie fiorifere sovrapposte, formanti lunghi spicastri allungati, bratteati e fogliosi, con fioritura da marzo ad ottobre, nelle posizioni più riparate ad intermittenza tutto l’anno. I rametti e le foglie raccolti da maggio a luglio e fatti seccare all’ombra hanno proprietà aromatiche, stimolanti l’appetito e le funzioni digestive, stomachici, carminativi, utili nelle dispepsie atoniche e gastralgie, tonici e stimolanti per il sistema nervoso, il fegato e la cistifellea. Da alcuni autori viene inoltre consigliato per affezioni generiche come tosse o asma. Per uso esterno il macerato in vino applicato localmente è antireumatico; mentre il macerato in alcool, revulsivo, viene usato per frizioni anche del cuoio capelluto; possiede qualità analgesiche e quindi viene applicato per dolori reumatici, artriti. Per uso esterno se ne usa l’infuso per gargarismi, lavaggi e irrigazioni cicatrizzanti; o per cataplasmi antinevralgici e antireumatici; aggiunto all’acqua da bagno serve come corroborante, purificante e per tonificare la pelle. I fiori raccolti da maggio ad agosto, hanno proprietà simili alle foglie; in infuso per uso esterno sono vulnerari, stimolanti, curativi della leucorrea e per la lotta ai pidocchi pubici. Farmacologicamente, si prepara un’essenza e un’acqua contro l’alopecia o pomate per gli eczemi. Dalle foglie, in corrente di vapore, si estrae l’olio essenziale di rosmarino, per un 1% in peso, liquido incolore o giallognolo, contenente pinene, canfene, cineolo, eucaliptolo, canfora e borneolo. A seconda del chemotipo della pianta vengono ottenuti diversi oli essenziali: un chemiotipo produce un olio ricco in eucaliptolo, che stimola la secrezione delle ghiandole gastriche dell’apparato digerente e respiratorio, responsabile degli effetti sulla digestione e dell’attività mucolitica. Un chemiotipo produce un olio ricco in canfora, un chetone che può essere invece utilizzabile come antireumatico per uso locale, ma responsabile di effetti tossici sul SNC, quando usato per via orale. Un chemiotipo, invece, produce olio ricco in borneoloe derivati, come previsto dalla farmacopea, meglio indicato nella patologia spastica delle vie biliari. ed infine uno in cui abbondano il borneolo ed i suoi derivati. Nell’uso farmacologico comune l’olio viene usato come eupeptico, eccitante, antisettico sedativo, ed i suoi preparati contro gli stati depressivi, restituendo vigore intellettuale e fisico alle persone indebolite. Controindicazioni: Ipersensibilità o allergie verso uno o più componenti. Gravidanza o allattamento (fitoterapici) poiché nell’animale riduce l’impianto dello zigote. Periodo pre-operatorio. L’olio essenziale a canfora è controindicato in persone che soffrono di epilessia. Causa infatti, specialmente in casi di sovradosaggio, irritazioni, convulsioni, vomito e principi di paralisi respiratorie.

 

  • Sanguisorba minor (Salvastrella minore – Pimpinella – Erba noce) è una officinale erbacea annuale, che appartiene alla famiglia delle Ombrellifere ed è originaria di Europa e Asia. Possiede foglie aromatiche, ovali e dentellate sul margine, dal sapore intercambiabile con le foglie di menta. Le sue tenere e fresche foglioline conferiscono all’insalata un tocco di freschezza particolarmente piacevole, grazie al loro sapore che ricorda vagamente il gheriglio fresco della noce, infatti era è anche detta “Pane e Noci” e un retrogusto delicato che ricorda il cetriolo o meglio la scorza esterna del cocomero.

 

  • Salvia selvatica o salvia dei prati (nome scientifico Salvia pratensis) è una pianta perenne aromatica spontanea dai fiori labiati appartenente alla famiglia delle Lamiaceae. e al genere salvia. L’altezza di queste piante varia da 3 a 5 dm (massimo 60 cm) con foglie e fiori sono eduli. La forma biologica è emicriptofita scaposa (H scap), ossia in generale sono piante erbacee a ciclo biologico perenne e latifoglie, con gemme svernanti al livello del suolo e protette dalla lettiera o dalla neve e sono dotate di un asse fiorale eretto e spesso privo di foglie. I fiori sono molto bottinati dalle api, che ne raccolgono il nettare: la produzione di miele si ha come millefiori essendo erbetta piccola e non ampiamente diffusa. Le foglie e i fiori sono commestibili e possono essere usati in cucina.

 

  • Crocus (famiglia delle iridacee): Il croco e lo zafferano, una spezia derivato dal suo fiore, sono usati nella medicina tradizionale. Usi tradizionali: Rimedio per indigestione, bassa libido, dolore, scarsa concentrazione, depressione, asma e reumatismi. Usi moderni: Lo zafferano è in fase di test per il mal di denti e la degenerazione maculare relativa all’età. Quando si tratta di occhi, lo zafferano influenza la quantità di grasso immagazzinato dall’occhio, rendendo le cellule visive più dure e resistenti. In esperimenti separati, i malati di Alzheimer trattati con lo zafferano hanno mostrato miglioramenti nel funzionamento mentale paragonabile a pazienti che hanno avuto il farmaco donepezil. Lo zafferano e gli estratti di petali di crocus hanno anche ridotto la depressione lieve negli studi clinici. La crocina, il composto che dà allo zafferano il suo colore vivace, ha dimostrato di aumentare la memoria e migliorare il funzionamento mentale. Nel frattempo, uno studio iraniano ha scoperto che lo zafferano può aumentare la libido. Gli estratti del crocus autunnale (lo zafferano di prato) contengono un composto chiamato colchicina che funziona come anti-infiammatorio e potrebbe essere usato per prevenire o trattare gli attacchi di gotta. Si ritiene che abbia anche effetti anti-cancro e che può attaccare un certo numero di tumori.

 

  • Lavanda: Originaria del Mediterraneo occidentale, la parola lavanda deriva dal latino Lavare. Potrebbe aver acquisito il nome perché era usata nei bagni per purificare il corpo e la mente. Usi tradizionali: usato già in epoca romana come sedativo, rilassante e antidepressivo. Gli oli di piante fresche dimostrano di aiutare per insonnia, alopecia, stress, ansiolitico, sedativo, spasmolitico, antipertensivo, antimicrobico, e analgesico nonché rigenerativo cutaneo per le ferite e dolore post-operatorio. Esperimenti hanno dimostrato che l’olio di lavanda migliora l’umore, ed è un possibile antidepressivo, il che potrebbe aiutare a spiegare i suoi effetti analgesici. Quando somministrato ad adulti con disturbo d’ansia, è risultato efficace quanto il farmaco lorazepam, secondo uno studio tedesco in Phytomedicine. Si pensa che agisca sul prodotto chimico acido gamma-aminobutirrico (GABA) del cervello. Le frizioni con olio di lavanda hanno dimostrato di migliorare il benessere e il sonno, di aumentare la vigilanza e di ridurre l’aggressività e l’ansia nei pazienti con demenza negli studi dell’Università di Oodate in Giappone. Viene anche studiato per le proprietà antibatteriche e antivirali. Oggi è impiegato in vari modi dai detersivi ai cosmetici. Nell’antico Egitto era usata per i processi di mummificazione. Per le sue proprietà antimicrobiche e l’odore di pulito si diffuse poi in Grecia e Persia. I suoi olii son stati sempre usati per trattare numerose problematiche tra cui le principali: mal di testa, insonnia, stress e fatica. Uno studio nel 2012 sulla rivista European Journal of Neurology ha trovato che l’inalazione di olio di lavanda (15 minuti) può aiutare a calmare l’attacco emicranico e ridurre i sintomi velocemente nelle successive 2h.

 

  • Poligala (Poligala vulgaris): Pianta con fiori di rosa e viola, in latino il nome Poligala significa ‘molto latte’. Il folklore vuole che le vacche da latte che mangiano la pianta producono molto latte. Usi tradizionali: Ampiamente usato nel Medioevo come infusione per aumentare il latte di una madre che allatta. Altri usi includono rimedi per l’ansia, la dimenticanza, insonnia e irrequietezza. Usi moderni: ricerche di psichiatri a Seoul hanno scoperto che ha un effetto protettivo sulle cellule cerebrali. Uomini e donne che hanno preso un estratto vegetale tre volte al giorno per quattro settimane hanno evidenziato aumenti più significativi nel richiamo dei ricordi e fatto meno errori rispetto a quelli che hanno ricevuto un placebo. Gli estratti di radice hanno anche mostrato effetti promettenti sulla memoria negli esseri umani in due esperimenti. Non si sa ancora come funziona.

 

  • Narcisi (Narcissus): Usi tradizionali: i narcisi sono utilizzati per indurre il vomito, e come cataplasma per ustioni e ferite. Usi moderni: Come per i crocus, i bulbi sono una fonte di galantamina, utilizzata per trattare l’Alzheimer. I narcisi contengono composti che possono attraversare la barriera ematoencefalica (barriera semipermeabile che impedisce a molti farmaci di entrare nel cervello). Questi sono in fase di studio come trattamenti per la depressione all’Università di Copenhagen. I composti dei narcisi vengono utilizzati per portare gli antidepressivi al cervello rendendo più efficaci i farmaci. Uno studio cinese suggerisce anche che i composti con narcisi sono in grado di uccidere le cellule tumorali (come la leucemia).

 

  • Vitis o uva: è un genere di piante arbustive della famiglia Vitaceae, anticamente chiamata Ampelidaceae. La specie più nota del genere è la Vitis vinifera L. (detta comunemente vite europea), il cui frutto è l’uva. La scienza che studia e descrive le varietà di viti esistenti si chiama ampelografia, il cui nome deriva da quello del giovane satiro Ampelo amato dal dio Dioniso. La vite è una pianta arborea rampicante che per crescere si attacca a dei sostegni (tutori) mediante i viticci; se la pianta non viene potata può raggiungere larghezze ed altezze notevoli attaccandosi agli alberi, su pareti rocciose, o coprendo il suolo. I frutti sono delle bacche (acini) di forma e colore variabile: gialli, viola o bluastri, raggruppati in grappoli. Presentano un esocarpo spesso pruinoso (buccia), un mesocarpo con cellule piene di succo da cui si ricava il mosto (polpa) ed un endocarpo formato da uno strato di cellule che delimita le logge contenenti i semi (vinaccioli). L’infuso di foglie giovani raccolte da maggio ad agosto, ed essiccate al sole, ha proprietà astringenti per la presenza di tannino. Le foglie fresche per uso esterno sono curative delle malattie cutanee. L’infuso di foglie per uso esterno serve per irrigazioni, impacchi e lavaggi. I frutti raccolti quasi a maturazione hanno proprietà rinfrescante, disintossicante, diuretica, depurativa del sangue, idratante, vitaminica, energetica, contro l’acidosi, stimolante la digestione, lassativa e antireumatica. Il succo degli acini d’uva filtrato, serve per uso esterno per curare pelli grinzose e come maschera di bellezza. Il decotto di uva passa secca (uva sultanina, zibibbo, malaga, uva di Corinto) ha proprietà emollienti, bechiche ed espettoranti. Il vino d’uva bevuto con moderazione ai pasti, ha un’azione diuretica, tonica, digestiva, antianemica. L’uva ben matura consumata come frutta da mensa, viene utilizzata per la cura dell’uva o ampeloterapia, nelle persone defedate, anziani e bambini, colpiti da varie malattie.

 

  • Felce o Pteridofite (Pteridophyta), secondo alcuni criteri di classificazione, sono una divisione di piante crittogame vascolari a cui appartengono specie usualmente note come felci, licopodi, equiseti. Dire Felce è come dire tutto, perché ne esistono oggi 11.000 specie, forse un tempo erano addirittura di più, ma per saperlo dovremmo tornare a tempi molto antichi. Queste piante sono cormofite: sono costituite da un fusto, vere radici e foglie, e posseggono un sistema vascolare. Sono difatti le prime piante terrestri che hanno cominciato a differenziare un sistema di trasporto dei fluidi, permettendo così un ulteriore accrescimento in altezza a differenza delle Briofite (muschi) che non sono riuscite ad affrancarsi totalmente dalla vita acquatica.

 

  • Bocca di leone comune (Antirrhinum majus) è una pianta dai vistosi fiori colorati appartenente alla famiglia delle Plantaginaceae. Dioscoride, medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell’imperatore Nerone, cita questa pianta affermando che il seme dell’Antirrino mescolato con olio di giglio rende più bella la faccia e la pelle. La fioritura va da maggio a settembre. L’habitat tipico sono i luoghi sassosi e aridi (pietraie e macerie), ma anche i vecchi muri soleggiati e i margini dei sentieri. Il substrato preferito è calcareo ma anche siliceo con pH neutro, medi valori nutrizionali del terreno che deve essere mediamente umido. Secondo la medicina popolare questa pianta ha le seguenti proprietà medicamentose: antiflogistica (guarisce dagli stati infiammatori); antinfiammatoria (attenua uno stato infiammatorio). Viene usata in tutte le infiammazioni (ulcere del cavo orale). Esternamente è efficace sugli eritemi. Può lenire le scottature. In medicina si usano le foglie (da raccogliere in Primavera prima della fioritura) e i fiori appena schiusi (ma non si deve raccogliere il calice). Questi prodotti vanno essiccati e quindi si usano come infusi. Ne esistono moltissime varietà che possono dividersi in due categorie: la varietà (cultivar) “nanum” con una quarantina di sfumature diverse di colori e la varietà (cultivar) “pumila” con una ventina di sottotipi diversi. Anticamente questa pianta aveva anche delle proprietà cosmetiche; mentre per l’industria è utile per ricavare coloranti (verde scuro e oro). I semi delle bocche di leone hanno una particolare forma che ricorda quella di un teschio umano se visti da vicino.

 

  • Muschio (Bryophyta) sono piccole piante prive di tessuto vascolare appartenenti alla divisione Bryophyta, che conta circa 10.000 specie diffuse in tutto il mondo, principalmente nelle aree boschive e lungo i corsi d’acqua, dove prevalgono l’ombra (sciafilia) e l’umidità. Caratterizzati da fusti poco sviluppati e strutture fogliformi, si presentano come i membri più evoluti e voluminosi della ex divisione Briophyta potendo raggiungere estensioni di 20 cm (fino a 50 per il muschio tropicale Dawsonia superba). Alcune specie (Sphagnum spp.) non contengono clorofilla ma possono accumulare nei loro tessuti grandi quantità di liquidi per osmosi. Il muschio viene considerato un prodotto stimolante, capace di riequilibrare il sistema nervoso, nutrendo il fisico e rafforzando l’energia positiva di mente e corpo. A livello cosmetico, cioè per uso esterno ed epidermico, il muschio conferisce a qualsiasi preparato alcune proprietà benefiche di prim’ordine. Si tratta, infatti, di un principio attivo estremamente lenitivo, antisettico e capace di curare l’acne. Non solo, con il muschio vengono realizzati ottimi detergenti purificanti anche intimi, disinfettanti leggeri per ferite e piaghe di piccole entità, creme, dentifrici e saponi. È ricco di polisaccaridi, acidi lichenici, acido folico e molte vitamine del gruppo B.

 

  • Muschio di Quercia, o Muschio Quercitino (Evernia prunastri), è un lichene che cresce principalmente sul tronco e sui rami delle querce, ma che può ricoprire anche conifere come il pino e l’abete. È corto e cespuglioso e, crescendo, forma masse di forma simile ai coralli o alle corna del cervo. Il suo colore spazia nelle tonalità del verde, verde oliva o giallo verde quando è fresco, verdastro-bianco quando è secco. I talli del muschio di quercia sono corti (3-4 cm di lunghezza) e cespugliosi, e crescono insieme sulla corteccia per formare grandi cespi. Il tallo di muschio di quercia è piatto e simile a una cinghia. Sono anche molto ramificati, simili alla forma delle corna di cervo. La consistenza del talli è ruvida quando è asciutta e gommosa quando è bagnata. È ampiamente utilizzato nella profumeria moderna. Nei secoli, il Muschio Quercitino è stato utilizzato in vari ambiti. Ad esempio veniva usato per il trattamento di disturbi respiratori e ferite, mentre gli antichi egizi lo usavano per far lievitare la pasta del pane, usanza conservata anche da arabi e copti. Verso la metà dell’800 veniva impiegato specialmente per il trattamento delle patologie polmonari e per la sua azione febbrifuga. Nella Farmacopea del 1846 viene indicato come tonico contro la debolezza intestinale. Oggigiorno, nella Farmacopea Erboristica viene consigliato specialmente per il trattamento di asma, bronchite e tosse, in particolare nei bambini. Le principali azioni del Muschio di Quercia sono, difatti, quella emolliente, espettorante e antisettica. Ma ha anche rilevanti proprietà antibiotiche, antivirali, allergeniche e, secondo recenti studi, antitumorali. Per il suo intenso e complesso aroma, viene largamente utilizzato in aromaterapia, sfruttando le sue proprietà rilassanti, toniche e antistress, e in profumeria, come fissativo e per dare maggiore sensualità e profondità alle fragranze. Il suo aroma è al tempo stesso acre e un po’ dolce, erbaceo, terroso e salmastro. Ricorda molto i feromoni, nelle giuste proporzioni ricorda l’odore della pelle, e perciò è in gradi di stimolare la parte più primitiva del nostro essere, risultando un ottimo afrodisiaco e ricostituente.

 

  • Licheni sono organismi simbionti derivanti dall’associazione di due individui: un organismo autotrofo, un cianobatterio o un’alga (per lo più una clorofita), e un fungo, in genere un ascomicete o un basidiomicete. Sono caratterizzati da un tallo e vengono classificati basandosi sulla tassonomia della specie fungina (nelle classificazioni precedenti facevano parte delle crittogame). I due simbionti convivono traendo reciproco vantaggio: il fungo, eterotrofo, sopravvive grazie ai composti organici prodotti dalla fotosintesi del cianobatterio o dell’alga, mentre quest’ultima riceve in cambio protezione, sali minerali ed acqua. I licheni vennero utilizzati da quasi tutte le popolazioni dell’antichità soprattutto come risorsa d’emergenza in caso di carestia (es. succedanei della farina di cereali). I licheni vengono anche impiegati come additivi nell’industria profumiera e cosmetica.

 

Fiori commestibili elenco

Prima di iniziare a dare una occhiata ai fiori commestibili a disposizione della nostra creatività culinaria meglio chiarire alcune essenziali indicazioni. Innanzitutto prima di spadellare con petali vari, appuriamo di non soffrire di qualche allergia ad essi legata, e ricordiamoci che la parte edibile sono solo i petali quindi pistilli e gambi, seppur a volte coreografici, vanno rimossi. I fiori commestibili pungenti e pepati sono ottimi per dare carattere a piatti che altrimenti potrebbero intristire o annoiare. La calendula è ottima per vivacizzare ricette di pasta, risotti, zuppe e minestroni, il crisantemo è ancora più piccante e pungente ma offre anche decorazioni stupende. Il lilla è più indicato per arrotondare il sapore di creme, yogurt, gelati e crostate, con un tocco agrumato, dolciastro è invece il nasturzio. Per aromatizzare è molto usata la begonia tra i vari fiori commestibili: ha un sapore acidulo, richiama quello del limone, trasforma gelati, sorbetti e anche macedonie. Se desideriamo un fiore bello ma amaro, tra i fiori commestibili possiamo scegliere la cicoria i cui petali e boccioli possono essere messi in salamoia, il dente di leone assieme al tarassaco può essere protagonista di una originale salsa per la pasta. Per insalate, zuppe, paste e risotti tra i consigliati troviamo l’aneto: i suoi fiori verde-giallo sanno di anice. Oppure se non vogliamo rischiare, con i fiori di basilico otteniamo un sapore simile alle sue foglie ma più delicato, la borragine ricorda il cetriolo ma solo di sapore: ha fiori colore blu acceso. I fiori di zucca: la nostra tradizione culinaria fornisce dossier di ricette con questo ingrediente, meno ce ne sono son il gustoso girasole ma il suo germoglio può essere cotto a vapore, come un carciofo ed è molto gustoso. Non meno di quella di assaggiare una pratolina e scoprire che è simile ai capperi come gusto, amarognolo anche il tarassaco spesso usato in insalate e risotti. L’impatiens ha fiori violetti molto abbondanti che mettono certamente allegria affianco ad un già soddisfacente dolce, la malvarosa è perfetta se si desidera una decorazione vaporosa e dai colori vivaci. Completamente diverso è l’effetto che fa la margherita, elegante e semplice, mentre il rosmarino è bello e di carattere. Tra i fiori commestibili da dolce il più particolare è la Bella di notte che si può usare anche crudo nell’insalata. Se abbiamo bisogno di un gusto simile alla liquirizia, ci sono il Finocchio leggero, il Trifoglio e l’Angelica tra cui scegliere a seconda dell’estetica e della sfumatura che le nostre papille gustative percepiscono: non sono sapori identici. Il gelsomino come anche l’Ibisco e la Camomilla sono già fiori commestibili molto noti per il loro uso aromatizzante in té, tisane e infusi. Il geranio, invece è molto apprezzato nella preparazione di semifreddi, sorbetti, vini, liquori, oltre che in accompagnamento a ricotta e crescenza, anche sotto forma di marmellata. Molto profumati, da usare con parsimonia, i fiori commestibili di Citrus, agrumati, lo stesso criterio vale per la menta che rischia di coprire tutti gli altri sapori. Il Garofano tra i fiori commestibili è uno dei più usati nei liquori come per guarnire biscotti, cromaticamente superbi, e come condimento per ottimi risotti e per guarnire biscotti e pasticcini. La Rosa e Viola, entrambe sono molto usate in dolci e marmellate, sciroppi, liquori e cocktail, gelati, gelatine e confetture. E spuntano anche nelle ricette salate. La frittata di fiori di tarassaco. I fiori di acacia. I Fiori di Rosa. La troviamo presente in marmellate, sciroppi, liquori e cocktail, ma anche tra gli ingredienti di insalate. E nel riso, per un buon risotto, ecco il segreto: i petali del nostro bel fiore da mangiare vanno lavati lessati per cinque minuti nel brodo, scolati e aggiunti al riso al momento di servire. L’ultima rimescolata, direttamente in tavola. Al gusto un po’ acidulo sono i petali di un altro fiore da mangiare che la begonia. Questa sua caratteristica la rende ottima nei sorbetti, nelle macedonie e nei gelati. All’opposto c’è la bella di giorno che, dolce fiore da mangiare come si svela commestibile anche cruda, le sue radici a tubero, invece, una volta bollite diventano simili a patate. A dare sapore a pasta, risotti, minestroni, ma anche a frittate e insalate finiscono, ci sono fiori da mangiare come la calendula, in petali e anche con foglie. Questa specialità, famosa anche per essere ingrediente di creme per viso e corpo, regala anche una nota cromatica affatto sgradevole ai piatti in cui si inserisce. I fiori da mangiare più profumati sono i lillà che si meritano un posto d’onore tra le ricette di pasticceria andando ad arricchire in modo sublime creme, yogurt, gelati e crostate. Anche le viole sono fiori da mangiare nei dolci e con dolcezza, tra cucchiaiate di gelati, o in gelatine e confetture. Oppure, ancora con la viola, usandone i petali, canditi o freschi, possiamo dare un tocco originale a macedonie ed insalate. Abbiamo parlato di fiori spontanei, ecco la spontanea margherita che è uno di quei fiori da mangiare nella zuppa. Questi fiori vanno tritati, bolliti una decina di minuti nel brodo, aggiunti a del porro stufato in poco olio e purea di patate. Poi si mescola per un’altra decina di minuti e si ottiene un liquido a cui aggiungere dadini tostati di pane casareccio, olio, sale e pepe. Restando sul fluido ma passando ad una salsa, ottima è quella con il gelsomino. Anche lui è tra i fiori da mangiare, accompagnando le carni lesse con una salsa da preparare con gelsomino unito a pistacchi pestati, aceto balsamico, fecola di patate e cannella. Chi non è vegetariano può pensare anche a fiori da mangiare nel ragù. E’ il caso di girasole, rosa e garofano: i loro petali possono essere aggiunti una decina di minuti prima che la cottura sia ultimata ottenendo un ragù di carne e fiori da associare a pasta o riso.

Piante Velenose o Tossiche

  • Aconito napello (Aconitum napellus): è una pianta velenosa erbacea, perenne, appartenente alla famiglia delle Rancunculaceae. E’ alta dai 50 cm ai 2 metri ed è una pianta geofita rizomatosa, ossia che porta le proprie gemme in posizione sotterranea. Nella parte aerea ha forma eretta, con un fusto robusto, di colore verde e poco ramificato. Ha due tipi di foglie. Quelle basali dotate di picciolo, di colore verde scuro nella pagina superiore e biancastre nella pagina inferiore. Queste hanno la lamina fogliare glabra, con forma generalmente lanceolata e dimensioni di circa 8 cm di larghezza e 12 di lunghezza. E poi ci sono le foglie cauline, di dimensioni più piccole, con lamina incisa e lobi più stretti. L’infiorescenza è costituita da un racemo terminale a forma di spiga, con fiori viola. Questa pianta è altamente velenosa, in antichità veniva usata per scopi omicidi. In caso d’ingestione provoca entro 30 minuti parestesia, associata a formicolio del cavo orale. Poi i sintomi si evolvono provocando un effetto anestetizzante, debolezza muscolare, insufficienza respiratoria, fibrillazione cardiaca. Contiene diversi alcaloidi tossici, tra cui l’aconitina, uno dei più potenti veleni vegetali. Questo alcaloide agisce sui canali del sodio, mantenendoli aperti, e quindi provocando arresto cardiaco, in quanto il cuore ha bisogno di ritmiche aperture e chiusure di questi canali. Bastano pochi grammi della pianta per rischiare la morte. I suoi principi attivi vengono assorbiti molto facilmente dalla pelle, dunque anche il semplice contatto può provocare gravi disturbi. Non esistono antidoti specifici, quindi, se la riconoscete tenetevene alla larga.

 

  • Agrifoglio (Ilex aquifolium): Un’altra specie tossica per l’uomo è il noto agrifoglio, noto anche come aquifoglio, alloro spinoso, pungitopo maggiore. Si tratta di una pianta velenosa arbustiva appartenente alla famiglia delle Aquifoliaceae. Può raggiungere un’altezza anche di 10 metri e ha la chioma a forma di piramide. E’ dotata di una corteccia liscia, di colore grigio, con rami verdastri. Le foglie sono verdi, scure e lucenti, con i tipici margini spinosi. I fiori sono bianchi o rosati, riuniti in piccoli fascetti ascellari. I frutti, che maturano nei mesi invernali, sono delle bacche di color rosso vivo. Con l’agrifoglio sono molto a rischio i bambini, attratti in maniera naturale dalle colorate bacche rosse. La sua tossicità è dovuta alla presenza di saponine nelle bacche, ma ha anche tracce di teobromina, ilicina e ilixantina. In caso d’ingestione delle bacche i sintomi sono gastrointestinali: nausea, vomito e diarrea. Iniziano a comparire dopo aver mangiato almeno 2-3 bacche. Non è una specie mortale.

 

  • Belladonna (Atropa belladonna): è una pianta da fiore, appartenente alla famiglia delle Solanaceae. Di questa stessa famiglia fanno parte altre più conosciute come pomodori, melanzana, peperoni, patate. La belladonna fa parte di quell’insieme di piante velenose di tipo perenne. Ha un grosso rizoma da cui diparte un fusto robusto e ramificato, che può arrivare fino a 1,5 metri di altezza. Le foglie sono semplici, dotate di picciolo, di forma ovale-lanceolata. Ha un odore sgradevole, causato da peli ghiandolari presenti sia nel fusto che sulle foglie. Questa pianta velenosa fiorisce durante l’estate. I fiori sono a forma di campana di colore viola scuro. I frutti sono delle bacche nere e lucide di piccole dimensioni e rappresentano il maggiore rischio di avvelenamento per l’uomo. Hanno infatti un aspetto invitante e addirittura un sapore gradevole. Provoca una grave sintomatologia, che inizia con la diminuzione della sensibilità. A questa si associano forme di delirio psicotico e sete fortissima seguita da vomito. Nei casi di avvelenamento più grave possono esserci convulsioni, disturbi cardiocircolatori, paralisi respiratoria e quindi morte. Questi effetti sono dovuti alla presenza di alcaloidi come l’atropina, la scopolamina e l’iosciamina, che la pianta sintetizza nelle radici e poi trasloca nel resto della pianta, specie nei frutti. I soggetti maggiormente a rischio sono i bambini, che facilmente possono confondere le bacche di belladonna con quelle del mirtillo. Per via della sintomatologia che provoca, la belladonna è conosciuta anche come erba delle streghe e il suo utilizzo è associato a riti satanici. L’intossicazione da belladonna deve essere trattata con un’immediata lavanda gastrica e carbone attivo, che servono per eliminare velocemente il veleno. Per rallentarne quantomeno l’assorbimento è opportuno somministrare sedativi o effettuare bagni freddi, che mitighino l’ipertermia a cui si va incontro. La belladonna, pur essendo annoverata tra le piante velenose, se adeguatamente trattata, viene utilizzata in fitoterapia. Le foglie, infatti, hanno diverse proprietà terapeutiche, quali antiemorroidari lenitive ed antimuscariniche.

 

  • Cicuta maggiore (Conium maculatum): Tra le piante velenose la peggiore in assoluto è la cicuta maggiore (Conium maculatum, erbacea appartenente alla famiglia delle Apiaceae. Questa pianta, nota semplicemente come cicuta, ha una grossa radice carnosa di colore bianco. Si riconosce facilmente, anche per via del suo odore sgradevole, che ricorda l’urina del gatto o del topo, specie quando il fusto viene spezzato. Il fusto può raggiungere anche i due metri di altezza. Ha l’interno cavo, la superficie glabra ed è segnato per tutta la sua lunghezza da macchie color rosso vino.Le foglie sono di grandi dimensioni, in media 50 cm di lunghezza e 40 di larghezza. La loro forma è triangolare, e sono suddivise al loro interno in tante piccole foglioline. I fiori fanno la loro presenza sulla pianta a partire dal secondo anno. Sono bianchi e hanno l’infiorescenza a ombrella. Il periodo di fioritura è compreso tra i mesi di aprile e agosto. E’ una pianta velenosa molto comune nelle nostre campagne. Predilige i luoghi più freschi, ad esempio i bordi delle siepi o dei boschi, e nei pressi dei fiumi. La popolarità della cicuta rispetto alle altre piante velenose è dovuta alla sua introduzione nella Grecia antica. Qui veniva infatti usata per somministrare la pena di morte tramite avvelenamento. La più illustre vittima da avvelenamento da cicuta fu il filosofo Socrate. L’elevata velenosità della pianta è dovuta alla presenza di ben 5 alcaloidi, ossia: la coniina, la conidrina, la pseudoconidrina, la metilconicina e la coniceina. Questi alcaloidi tossici provocano dei sintomi d’avvelenamento tipici di questa classe di neurotossine. Questi consistono in: forte salivazione, intenso tremore muscolare, spasmi diffusi, morte per collasso respiratorio. Se l’avvelenamento diretto è un’ipotesi piuttosto rara, anche per via dell’odore nauseabondo che ha la pianta, molto più frequenti sono i casi di avvelenamento indiretto. Ad esempio un uccello come la quaglia può mangiare la cicuta ed accumularne i principi tossici nella propria carne. Un altro dei rischi legati alla cicuta è che questa, così come altre specie simili, può essere pericolosamente confusa con piante comuni assolutamente non velenose. Un esempio sono il prezzemolo selvatico (da cui il nome comune di falso prezzemolo) o il cerfoglio.

 

  • Dafne (Daphne mezereum): è una pianta velenosa appartenente alla famiglia botanica delle Thymelaeaceae. Questa pianta, dal portamento cespuglioso è alta non più di 70 cm. Viene chiamata anche fior di stecco, per la sua capacità di generare fiori e frutti su rami all’apparenza nudi e secchi. Ha un fusto legnoso, con una corteccia di colore tra il grigio e il rosa. Le ramificazioni laterali sono consistenti e presentano delle piccole protuberanze rimaste dalle foglie cadute nella stagione precedente. L’infiorescenza di questa pianta velenosa è composta da diversi fiori, di colore violaceo, riuniti in gruppi di 3 all’ascella delle foglie. I frutti sono delle bacche velenose di colore rosso, del diametro di 9-10 mm. Il dafne è una delle piante velenose più pericolose della nostra flora spontanea. Il solo contatto con i frutti è sufficiente a provocare in poche ore la formazione di bolle e vesciche, con forte arrossamento. Per questa sua capacità veniva utilizzata dai mendicanti, per simulare lesioni cutanee, impietosire la gente e chiedere l’elemosina. Per un soggetto adulto basta l’ingestione di una decina di frutti per causare la morte, mentre per un bambino il numero scende a 2-3 bacche. La sintomatologia dell’avvelenamento prevede problemi gastrointestinali assimilabili a quelli di un’appendicite acuta: forte diarrea, salivazione massiva, sintomi neurologici gravi. Per questo tipo di pianta non esistono antidoti specifici.

 

  • Morella rampicante (Solanum dulcamara): è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae. Pur non essendo tra le piante più velenose presenti nella nostra flora spontanea, la sua trattazione merita attenzione. Questo perché è una delle piante con le quali i bambini si avvelenano più facilmente. Questa pianta produce infatti dei frutti rossi, molto simili a quelli del ribes, con un sapore dolce-amaro, da qui il nome latino. E’ una pianta rampicante con portamento fruticoso, cioè cespuglioso con foglie cadenti che per sorreggersi si appoggia ad altre piante. E’ una specie molto comune nel nostro Paese, ed è presente dalla pianura fino ai 1500 metri, prediligendo le zone di macchia mediterranea e i boschi. Le bacche della dulcamara contengono alcaloidi, la cui concentrazione diminuisce se i frutti sono maturi. Oltre gli alcaloidi, i frutti contengono in forti dosi saponine e ossalato di calcio, elementi che possono dar luogo a disturbi intestinali. La sintomatologia dell’avvelenamento da morella rampicante si evolve partendo da dolori addominali, vomito, ipotermia. In caso di ingestione di grosse quantità, si aggiunge la difficoltà respiratoria. I sintomi sono un po’ subdoli, in quanto possono apparire dopo diverse ore, generando possibili confusioni sulla causa originaria. Ad ogni modo, i casi di avvelenamento letale sono molto rari.

 

  • Erba morella (Solanum nigrum): è tra le piante velenose spontanee più comuni. Anch’essa, come la belladonna, è appartenente alla famiglia delle Solanaceae. E’ comunemente conosciuta come erba infestante degli orti. Come suggerisce il nome, ha un’elevatissima capacità di riprodursi, specie se i frutti neri vengono schiacciati e il seme disperso. Come struttura morfologica si tratta di una pianta molto simile alla melanzana. Il suo fusto è molto ramificato, legnoso nella parte basale, con superficie liscia e odore muschiato. Le foglie sono disposte lungo il fusto in maniera alternata, con forma variabile da ovale a lanceolata. i fiori sono bianchi e da questi nascono i frutti, delle tipiche bacche dapprima verdi e poi di color nero lucido. Le bacche dell’erba morella sono di piccole dimensioni e riunite in piccoli, ma numerosi grappoli. Il pericolo di avvelenamento di questa specie è dovuto all’assunzione delle bacche immature, che contengono un elevata quantità di alcaloidi steroidei, tipo la solasodina. Tuttavia questo tipo di alcaloidi oggi vengono utilizzati nella farmacologia sperimentale per curare alcuni tumori della cute. Una quantità potenzialmente pericolosa per l’uomo è quella di 10 bacche.

 

  • Lattuga velenosa (Lactuca virosa): è una pianta erbacea appartenente alla famiglia botanica delle Asteraceae. Possiamo considerarla come una parente selvatica e non commestibile della Lactuca sativa, la classica lattuga, di cui vi abbiamo parlato approfonditamente in passato. L’aspetto è simile a quello della lattuga commestibile, anche se è molto più ispida e può arrivare fino ad 1,5 metro di altezza. E’ una pianta velenosa molto diffusa nei terreni incolti. La si trova anche lungo i vecchi muri e ai margini delle strade, dalla pianura fino agli 800 metri di quota. La tossicità è dovuta al lattice bianco molto amaro, contenuto nelle parti aeree della pianta. Questo lattice è composto da lattoni sesquiterpenici, ossia lactucina e lactucopicrina, che sono tossici per l’uomo. Anticamente questo lattice veniva essiccato e usato in medicina come sedativo, sostituto dell’oppio.

 

  • Oleandro (Nerium oleander): è una specie arbustiva appartenente alla famiglia delle Apocinaceae. Si tratta di un arbusto sempreverde, con elevato sviluppo vegetativo, tipico del Mediterraneo. Lo ritroviamo infatti come pianta ornamentale in tutte le regioni Italiane. Per riconoscerlo basta guardare le sue tipiche foglie lanceolate di consistenza coriacea e colore verde scuro. Inconfondibile è inoltre l’evidente e splendida fioritura, con fiori di colorazione variabile, bianchi, rosa o rossi. La sua tossicità, che lo fa rientrare tra le piante velenose, deriva dal contenuto di un’elevata quantità di glicosidi cardiaci, sostanze molto velenose. Il principio attivo tossico si chiama oleandrina, che tra l’altro riesce a conservare un’ottima stabilità nel terreno, essendo rilevabile anche 300 giorni dopo la caduta delle foglie. Non avendo bacche, il rischio d’avvelenamento da oleandro è piuttosto basso. Anche perché la pianta contiene saponine, che in caso d’ingestione favoriscono il vomito e quindi l’eliminazione delle parti ingerite. Oltretutto, il suo sapore molto amaro non invita all’ingestione. Attenzione in ogni caso ai bambini, che sono sempre a rischio per la loro abitudine di ingerire qualsiasi cosa.

 

  • Tasso (Taxus baccata): albero appartenente all’ordine delle Conifere, famiglia delle Taxaceae. Quest’albero è conosciuto anche come albero della morte, ed è infatti una delle piante velenose per eccellenza. Basti pensare che il suo nome deriva dal greco toxon, da cui il termine tossicologia. Nel nostro Paese è presente in diverse zone, prediligendo luoghi umidi e freschi, con terreno calcareo. l tasso è un albero sempreverde. E’ caratterizzato da una crescita molto lenta, che però a piena maturazione può arrivare anche a 20 metri di altezza. Ha rami molto bassi e assume una forma globosa. Le foglie sono la parte più velenosa della pianta. Hanno una forma lineare, anche se leggermente arcuata, sono lunghe circa 3 cm, di colore verde scuro nella pagina superiore, più chiare in quella inferiore. Sono disposte sui rami con andamento a spirale, su due file opposte. E’ una pianta che non produce frutti, ma arilli, cioè involucri di color rosso chiaro che avvolgono il seme. Quest’ultimo è molto velenoso, mentre l’arillo non lo è, anzi in teoria è commestibile (meglio non provare!). Il tasso è una pianta zoofila, ossia si serve degli animali per riprodursi. Ad esempio gli uccelli mangiano gli arilli, li digeriscono senza avvelenarsi, e disperdono il seme con le feci, dando vita a nuovi alberi. Per altri animali i semi del tasso sono invece letali. Il cavallo, ad esempio, è una delle specie più a rischio. Altra specie animale immune, invece, sono le capre. Il principio attivo tossico della pianta è la tassina, una miscela di alcaloidi terpenici altamente tossici per il cuore. Poche foglie della pianta sono letali per l’uomo, non essendovi nemmeno antidoti specifici. Tuttavia, c’è da dire che questa pianta ha un valore molto alto nella farmacologia moderna. La sua corteccia, infatti, contiene il tassolo, un diterpene che viene utilizzato da molto tempo per la produzione di farmaci efficaci per il trattamento del tumore al seno.

 

  • Mancinella (Hippomane mancinella): è una pianta considerata tossica. Le sostanze contenute nei suoi rami, quando vengono spezzati, possono irritare gli occhi e la pelle. I suoi frutti sono velenosi e la loro ingestione può causare un forte gonfiore della gola, problemi respiratori e gastrointestinali. La tossina responsabile degli effetti negativi è denominata hippomane ed è presente in ogni parte della pianta, che è originaria della Florida, dei Caraibi e delle Bahamas, dell’America Centrale e Meridionale.

 

  • Stramonio comune (Datura stramonium): conosciuto anche come erba del diavolo, è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae. Si tratta di una pianta molto velenosa a causa dell’elevata concentrazione di alcaloidi presente soprattutto nei semi. Ha proprietà allucinogene. Se ingerita può provocare grave nausea, crampi, dolori addominali e portare alla morte.

 

  • Eupatorium rugosum: è una pianta originaria degli Stati Uniti. Fiorisce verso la fine dell’estate e può raggiungere un’altezza pari a un metro e mezzo. Contiene una quantità elevata di tremetolo, una sostanza altamente tossica, presente soprattutto nelle foglie e negli steli. Provoca tremori, crisi cardiaca e può causare la morte. Se ingerita dalle mucche al pascolo, può contaminare il loro latte. È velenoso sia per gli umani che per gli animali.

 

  • Ricino (Ricinus communis): è famoso per l’olio da esso ricavato, considerato una panacea per tutti i mali. L’olio di ricino non è pericoloso, ma lo sono i suoi semi. Essi infatti, quando vengono masticati, rilasciano una sostanza molto tossica, considerata uno dei più potenti veleni presenti in natura, e possono provocare la morte. I semi di ricino possono avere conseguenze letali per i bambini, ma l’olio di ricino, privato della sostanza tossica chiamata ricina, è commestibile.

 

  • Abro (Abrus precatorius): è distinguibile per la presenza di bacche di colore rosso, aventi una delle estremità di colore scuro. La sua ingestione può provocare la morte. Sono sufficienti 3 microgrammi di abrina, la sostanza tossica in esso contenuta, nell’organismo per causare il decesso. L’abrina impedisce la sintesi delle proteine, uno dei più importanti compiti svolti dalle nostre cellule. Provoca disidratazione, nausea, malfunzionamento dei reni e del fegato, fino alla morte.

 

  • Azalea: Le sue foglie possono determinare irritazione alla gola. Altri sintomi specifici, specialmente nel caso di ingestione accidentale da parte dei bambini, sono costituiti dal vomito e dalla diarrea. Si possono manifestare convulsioni e rallentamento del battito cardiaco.

 

  • Gelsomino: La tossicità è invece dovuta alle bacche, che provocano disturbi gastrointestinali e, in particolare, diarrea.

 

  • Calla: Tossica al contatto si possono avvertire bruciori locali. Se questa pianta viene ingerita può determinare dolori addominali, nausea, vomito e diarrea.

 

  • Iris: Tossica, se questa pianta viene ingerita può determinare dolori addominali, nausea, vomito e diarrea.

 

  • Erica: Tossica, provoca bruciori alla gola, dovuti alle tossine presenti nei fiori. In caso di ingerimento compaiono vomito e diarrea e problemi più gravi come disturbi al cuore e convulsioni.

 

  • Ginestra: tutti i suoi componenti sono tossici e l’intossicazione avviene non per contatto, ma per ingestione. La ginestra contiene una sostanza molto pericolosa per il nostro organismo, un elemento molto simile alla nicotina.

 

  • Fico: che ha nelle foglie le furocumarine, sostanze fotodinamiche, e al suo interno un lattice che può risultare molto irritante se a contatto con la pelle. I frutti sono commestebili e molto buoni se maturi (morbidi) e possono essere di colore verde o scuri.

 

  • Ficus elastica: tipica pianta ornamentale molto diffusa in Europa. Sono molti gli effetti nocivi: irritazioni cutanee, alla gola e, nei casi più gravi, anche ustioni.

 

  • Clivia: invece, oltre a provocare problemi gastroenterici, può determinare alterazioni al fegato e disturbi che riguardano la pressione.

 

  • Stella di Natale: Tossica, contiene il lattice, che a contatto con la pelle, può provocare prurito, bruciore, rossore e comparsa di un eritema. Se la pianta viene ingerita si verifica un’irritazione alla bocca e alla gola, accompagnata da vomito e diarrea.

 

  • L’oleandro, l’edera e perfino l’alloro vengono considerati apportatori di effetti negativi, anche se spesso, in riferimento a queste piante, anche da parte degli esperti si nutrono perplessità.

 

  • Le bacche gialle o bianche risultano velenose, e possono esserlo anche piante che hanno linfa lattiginosa o liquido biancastro all’interno. Le sostanze pericolose possono nascondersi anche nelle piante di pomodori e di patate, che in genere sono commestibili, ma hanno delle parti verdi che sono tossiche e possono causare addirittura la morte. Lo stesso si può dire delle patate che presentano una colorazione verde, che devono essere assolutamente evitate. In generale, teniamo in considerazione il fatto che, se una parte di una pianta si può mangiare, questo non vuol dire che tutto il resto è commestibile. Tra le altre piante commestibili che possono essere pericolose c’è ad esempio anche il prezzemolo, che contiene l’apiolo. Si tratta di un principio attivo che in basse quantità eccita le fibre uterine. Se assunto in grandi quantità può causare ittero, paresi muscolari o aborti. In alcuni casi può determinare anche la morte del soggetto.

Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico.

CONSIGLI:

  • Non raccogliete in posti vicino a strade trafficate o ad altre fonti di inquinamento come per esempio canali di scolo, allevamenti animali, discariche, ecc.

  •  Non raccogliete in campi trattati con pesticidi ed erbicidi: se non conoscete il campo meglio evitare

  • Poiché non tutte le erbe sono commestibili, non raccogliete erbe che non siete sicuri di aver riconosciuto

  • Non raccogliete tutto lasciando il deserto dietro di voi: consentite alle piante di riprodursi. A meno che non sia un’erbaccia del proprio orto da estirpare, raccogliete solo un terzo delle piante e lasciate il resto al ciclo naturale

  • Poiché sono un concentrato di elementi nutritivi, inizialmente mangiatene piccole quantità

  • Iniziate con poche varietà ben riconoscibili e abbastanza diffuse e a poco a poco aggiungete altre varietà.

 

Calendario di raccolta:

Vi elenchiamo mese per mese quali sono le principali erbe che potete trovare fresche:

  • Gennaio – Bergamotto.
  • Febbraio – Abete bianco, Abete rosso, Cipresso.
  • Marzo – Asparago, Barba di becco, Bosso, Cappero, Faggio, Genziana, Nocciolo, Olivo, Olmo, Pesco, Pino silvestre, Pioppo, Pratolina, Prugno, Quercia, Rusco (Pungitopo), Salice rosso, Viola mammola.
  • Aprile – Acero, Agrifoglio, Betulla, Biancospino, Borragine (Sommità), Calendula, Carciofo, Castagno, Crescione, Fico d’India, Fragola, Gramigna rossa, Noce, Ortica, Rovo, Salice bianco, Tamerici, Tarassaco, Tiglio, Valeriana, Viola del pensiero.
  • Maggio – Aglio orsino, Altea, Arancio amaro, Bocca di Lupo, Camomilla, Ciliegio, Cineraria, Edera terrestre, Fico, Finocchio marino, Fiordaliso, Malvone, Prezzemolo, Rosa canina, Rosa rossa, Sambuco.
  • Giugno – Amarena, Avena, Bocca di leone, Dragoncello, Erisimo, Eucalipto, Fico d’India, Fragola, Giglio bianco, Ginestrino, Lampone, Malva, Margherita, Mirtillo, Mirto, Pesco, Rosmarino, Salvia, Timo.
  • Luglio – Achillea, Alloro, Arancio dolce, Artemisia, Assenzio, Basilico, Carciofo, Cardo mariano, Carota, Cetriolo, Cicoria, Corbezzolo, Edera, Eufrasia, Genepi, Genzianella, Granoturco, Iperico, Lavanda, Melissa, Menta acquatica, Menta piperita, Mugo, Origano, Pastinaca, Pimpinella, Ribes nero, Ribes rosso, Tiglio, Verbena.
  • Agosto – Aglio, Alchechengi, Anice verde, Cipolla, Coriandolo, Fagiolo, Finocchio, Girasole, Lampone, Luppolo, Maggiorana, Melanzana, Mirtillo, Nocciolo, Noce, Peperoncino, Prezzemolo, Prugno, Santoreggia, Sedano.
  • Settembre – Aneto, Angelica, Calendula, Cappero, Cedrina, Cicoria, Giglio bianco, Ginepro rosso, Ortica, Quercia, Rosa canina, Rovo, Rusco (Pungitopo), Sorbo rosso, Tamerici, Tarassaco, Valeriana, Zucca.
  • Ottobre – Asparago, Carota, Corniolo, Genziana, Ginepro, Giuggiolo, Limone, Liquirizia, Malva silvestre, Pioppo, Zafferano.
  • Novembre – Agrifoglio, Alloro, Finocchio, Nespolo, Olmo.
  • Dicembre – Arancio amaro, Arancio dolce.

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