La soma

La soma Angelo Litta lug-18 XX 1


Leggendo questi brevi racconti ci si sente sopraffare da tante sensazioni e sentimenti; a pensarci bene però, un sentimento mi pare che sintetizzi tutto, ed è un sentimento che nasce dal contrasto tra il mondo che Angelo Litta per una attimo fa riemergere dalle profondità di un passato che, pur non essendo poi così lontano per molti di noi, appare ormai definitivamente tramontato, e il nostro presente: la nostalgia, un sentimento strano, che solo chi ha vissuto certi momenti può provare.   Nostalgia di un tempo che oggi appare arcaico, perduto nelle foschie del passato, perfino primitivo. Immagino che agli occhi dei più giovani questi miei pensieri siano incomprensibili, un mondo primitivo, arcaico, come può suscitare nostalgia? Un mondo fatto di cose semplici, che detto così può anche sembrare una cosa positiva, ma “cose semplici” significa un mondo in cui i rapporti tra le persone non erano mediati dalla tecnologia, dagli strumenti, di comunicazione che per noi oggi sono diventati indispensabili, dalla rete globale, dai social, un mondo calato ancora nell’essenzialità, non consumistico, un mondo in cui le cose si sfruttavano fino in fondo, le scarpe si riparavano, il cibo non andava sprecato. A qualcuno potrebbe dispiacere l’amore per la caccia espresso in queste storie da Angelo Litta, eppure anche la caccia ha qui un aspetto umano, gentile, leale; non si spara per distruggere, si spara una sola volta, con cartucce, peraltro, fabbricate a casa, e qualche volta ci si pente anche, si riflette e si piange anche per colpa del “maledetto istinto” che ci trasforma in cacciatori, attoniti di fronte alla conseguenza delle nostre azioni, quando si sente che “nell’attimo in cui avevo premuto il grilletto avevo ammazzato anche qualcosa  in me stesso”. Sono pensieri grandi di una persona semplice, e la loro grandezza sta proprio nella loro semplicità. Gli affetti familiari, il lavoro manuale, la campagna, le tradizioni, gli amici, gli svaghi, la gentilezza, l’onestà, cose piccole sicuramente, alcune ormai superate e incomprensibili, tuttavia cose che parlano della vita dell’uomo, che parlano alla vita dell’uomo, gli ricordano ciò che è essenziale, ciò che lo rende libero e migliore. Ecco io credo che noi abbiamo oggi molto da imparare da queste memorie piene una forza ruvida e dolce allo stesso tempo, piene di un senso degli altri e della natura che stiamo purtroppo perdendo.

Paolo Antonini

  1. LE PRIME ESPERIENZE

Ogni giorno, prima di andare a scuola, andavo a mungere le mucche. Era necessario perché mio padre doveva andare a vendere le verdure ai Mercati Generali di Roma.

Mentre mi recavo in bicicletta da casa alla campagna scoppiò un temporale e… l’acqua la presi tutta io! Appena arrivato al casale – bagnato come un pulcino pensai di accendere il fuoco nel camino per asciugarmi.

Intorno non c’era neppure un pezzo di legna. Mi guardai intorno e vidi in un angolo un cumulo di torsoli di granturco, già puliti dei chicchi che insieme formano la pannocchia. Ne presi nelle braccia quanti potevo e li buttai nel camino.

Non avevo mai visto una cosa del genere: con un solo fiammifero avvamparono di fuoco come se vi avessi gettato la benzina.

Mentre ero li ad asciugami, sentivo che dal basso, dalla stalla, le mucche morghettavano, emettevano dei suoni strani, come se fossero agitate. Finii di asciugarmi e poi – incuriosito – scesi ad aprire la stalla e notai subito una certa agitazione. Stellina, una delle mucche, era sdraiata a terra e tutte le altre, legate alla mangiatoia, erano disposte tutte intorno, a spina di pesce, lasciando uno spazio libero intorno a lei.

Non riuscivo a spiegarmi la situazione, ma sentivo che qualcosa stava per accadere. Mi avvicinai a Stellina e dal suo respiro affannoso mi resi conto che stava soffrendo. La accarezzai mentre mi domandavo perché soffrisse, ma continuavo a non capire.

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