L’anima romanica della cattedrale di Nepi

L’anima romanica della cattedrale di Nepi Laura Giovagnoli apr-00 III

L’anima Romanica della
Cattedrale di Nepi

A cura della Dott.sa Laura Giovagnoli
Anno III Numero 1 Aprile 2000

Introduzione

Con questa pubblicazione l’Associazione Culturale Antiquaviva vuole promuovere e far conoscere il lavoro di ricerca svolto dalla dottoressa Laura Giovagnoli sulle origini romaniche della nostra chiesa cattedrale e sui restauri effettuati dopo la distruzione avvenuta per opera delle truppe francesi nel 1798.
E proprio per questo, inizialmente, il suo lavoro ha destato il nostro interesse, perché il passaggio delle truppe napoleoniche è stato nostro campo di ricerca, ricerca che poi ha prodotto in passato una mostra ed un convegno sul tema.
Questo lavoro ci ha colpito per l’ampiezza e la serietà con la quale è stato effettuato dalla dott.ssa Giovagnoli, che è riuscita a dar nuova luce alla storia artistica del periodo romanico e agli interventi di restauro della chiesa cattedrale avvenuti nella prima metà del XIX secolo.
Tale ricerca, che è alla base della tesi di laurea della dott.ssa Giovagnoli conferita presso l’Università degli Studi della Tuscia sotto la guida del prof. Francesco Gandolfo, ha richiesto un’attenta analisi della documentazione archivistica superstite, l’analisi visiva degli elementi scultorei romanici, delle strutture murarie e la comparazione con le opere coeve dislocate nell’Alto Lazio. Con la pubblicazione di un ampio estratto di questa tesi l’associazione Antiquaviva risponde a quello che è forse il suo scopo primario, cioè portare tutti a conoscenza anche del più piccolo tassello di storia che ci possa aiutare a comprendere le nostre radici, affinchè il “passato non resti un cumulo di macerie sepolto sotto la coltre del tempo”.

L’anima Romanica della Cattedrale di Nepi

Questo miserabile Paese, che mostra ancora nelle sue rovine tutti gli orrori della guerra, e dei sofferti saccheggi non altrimenti può sperare di essere ristorato da passati danni, che col mantenersi della Comunità, e ai cittadini quei diritti coi quali sono sempre vissuti, e sotto quei tollerabili pesi, oltre i quali la loro esistenza non può sostenersi. (1)
Poche righe estrapolate da una lettera del 1802, indirizzata alla Congregazione del Buon Governo, sono sufficienti per comprendere lo stato d’animo di una cittadina barbaramente segnata da un invasione militare.
Nell’anno 1798 Nepi fu attaccata e saccheggiata dall’esercito francese che si dirigeva su Napoli (2). Tale evento determinò danni morali e materiali alla cittadina.
Una descrizione puntuale dell’assedio francese ci viene fornita da Carlo Soldatelli ,canonico curato del Duomo (3) di Nepi, che registrando i decessi durante l’invasione francese premette un racconto dei fatti. Illustra le vicende accadute in Francia e in vari stati dell’Europa. Un’attenzione particolare la rivolge alle vicende dello Stato Pontificio, fino alla deportazione a Firenze del Papa Pio VI, giungendo poi a narrare l’invasione di Nepi.
Interessante è la parte dedicata al saccheggio della chiesa cattedrale di Nepi (4): […] Finalmente si dirigono verso il Duomo. Durante la battaglia vi si erano rifugiati in preghiera molti sacerdoti e molti del popolo: chiuse le porte non si erano resi conto dello sviluppo della battaglia. Giunti i soldati francesi davanti all’ingresso sbarrato, lo abbattono con un colpo di cannone; entrano in massa e cominciano il saccheggio degli arredi sacri, delle suppellettili preziose, degli addobbi solenni […] per l’incendio appiccato dopo il saccheggio, andò distrutto l’artistico soffitto in legno (5)
, ma anche la stabilità dei muri fu compromessa.
Dalla lettura dei documenti, relativi alle decisioni consiliari, si evince l’intenzione di riparare l’edificio cercando di ricostruire, in breve tempo, le parti danneggiate: vale a dire il soffitto bruciato e i muri laterali, non più in grado di sorreggere alcun peso. In altre parole il Capitolo voleva mantenere “quell’aspetto” della chiesa, non era affatto intenzionato a costruire un edificio nuovo. Il “rispettoso” restauro ottocentesco ha conservato, là dove era possibile, le spoglie dell’edificio medioevale, alterato in primo luogo dagli interventi di ampliamento avvenuti nel 1680 (6) per volere del Cardinale Spinola, e le sue trasformazioni. Osservando la chiesa non è stato perciò difficile leggere la sua storia raccontata in modo esplicito dalle lapidi e implicitamente dai numerosi elementi scultorei, collocati sia nel portico che nella cripta.
Per l’approfondimento dell’aspetto medioevale della cattedrale nepesina (TAV.I) si è rivelata utile la lettura dei documenti riguardanti i lavori di ristrutturazione svolti dopo l’avvento francese, e alcuni atti notarili nei quali si notificano dei cambiamenti della chiesa.

Tav. I

Pianta della Cattedrale odierna con indicazione della forma medievale

Le notizie recuperate, pur non descrivendo direttamente l’edificio, hanno apportato un prezioso aiuto alla comprensione dell’essenza storica ed estetica del monumento.
Preziosa, per l’inquadramento cronologico della chiesa, si è mostrata anche la lettura di tre lapidi, delle quali solo una è direttamente legata alle vicende della cattedrale romanica.
L’epigrafe è situata all’interno dell’edificio e testimonia la consacrazione della chiesa avvenuta nel 1266 ad opera del Vescovo di Nepi, Lorenzo (7). Le altre due lapidi ci informano indirettamente dell’esistenza dell’edificio sacro. Di una abbiamo solo la trascrizione che il Ranghiasci riporta nel suo libro (8) dove si leggeva di un claustrum iniziato da Francone sotto il papato di Eugenio III (1145-1153); forse si trattava di un chiostro, se così fosse possiamo credere che in quegli anni la cattedrale già esisteva o era in costruzione; in molti casi, infatti, il chiostro era coevo alla chiesa.
La terza epigrafe, conservata nel portico della cattedrale, fa riferimento a un non meglio identificato munus offerto dal Vescovo Martino alla Vergine, nel 1180 (9); il testo è troppo generico da permettere di leggervi la dedicazione della chiesa, potrebbe altresì trattarsi di qualche oggetto sacro. La cronologia della cattedrale romanica si sviluppa, perciò, in un arco di tempo tra il 1145 e il 1266. Tale dilatazione dei tempi, ovvero tra il periodo di costruzione e la consacrazione dell’edificio, è confermata in molte altre costruzioni della regione ove la consacrazione, quasi sempre papale, corrispondeva spesso alle visite del Pontefice (10).
Avendo inquadrato cronologicamente l’edificio è ora possibile analizzare le parti medioevali superstiti per concludere con la ricostruzione dello stesso.
Tra gli elementi superstiti si annoverano sia parti architettoniche che pezzi scultorei (11).
Suggestivo è il portico della chiesa, lungo le sue pareti infatti sono murati frammenti marmorei di ogni periodo storico; tra i quali degni di nota sono due capitelli figurati, risalenti al XII secolo, dalle esigue dimensioni e dalle tematiche corrispondenti a quelli conservati nella cripta della chiesa.
I temi della chiesa sotterranea sono riproposti anche nel frammento di una ghiera d’arco (circa 1145-1180) (fig.1), murato sulla destra guardando il portale, dove un forte gusto decorativo descrive con l’uso di linee incise dei racemi contenenti delle figure sia animali che vegetali.

Fig. 1

Frammento di un archivolto

Corrispondente alla consacrazione del 1266 è un frammento dell’originale pavimento cosmatesco (fig.2),

Fig. 2

Frammento dell’originale pavimento cosmatesco

oggi inserito nella parete sinistra del portico della chiesa. E’ scandito da due greche dalla diversa fantasia, quella più esterna si basa sulla replica di due triangoli isosceli dalle diverse dimensioni, la cui ripetizione e combinazione dà vita ad una geometrica sequenza di rombi. Motivi decorativi caratterizzati da uno schema simile li troviamo nel repertorio delle fantasie usate dalla famiglia di Paulus, attiva a Roma nella prima metà del XII secolo, e proposte dalla famiglia di Ranucius, attiva nel viterbese nella seconda metà del XII secolo e la prima metà del XIII ( TAV. II).

Tav. II
Paulus    Ranucius    Cattedrale di Nepi
Schema raffigurante i modelli dei pavimenti cosmateschi delle famiglie
di Paulus, di Ranucius, ed il disegno del pavimento di Nepi

Inoltre la greca che occupa la parte centrale del frammento di Nepi, decorata da una serie di fiori, a otto petali, tra loro collegati sempre da piccoli triangoli, corrisponde ad un motivo decorativo che orna il transetto della chiesa di S. Maria in Aracoeli, risalente alla fine del XIII secolo.
Avendo a disposizione solo un pannello dell’intero pavimento non possiamo avventurarci più di tanto nelle problematiche stilistiche dell’originario sistema decorativo pavimentale, tuttavia siamo in grado di indicare la cronologia intorno alla metà del ‘200, suggerita dal confronto dei due moduli decorativi, quello floreale e quello romboidale.
Sempre murato nelle pareti del portico della cattedrale si conserva un pluteo raffigurante un leone alato, acefalo, risalente anch’esso alla consacrazione del 1266 (fig.3).

Fig. 3

Frammento di pluteo marmoreo

Un pannello identico a questo è conservato nel portico del Comune della città (fig.4).

Fig. 4

Frammento di pluteo marmoreo proveniente dalla Cattedrale

Appartenevano probabilmente ad una recinzione presbiteriale, inoltre essendo scolpiti anche sul fianco, in questo punto infatti è ben descritto il petto dell’animale, è possibile supporre una loro collocazione in corrispondenza dell’ingresso di tale recinzione (12).
Ancora nel portico del Comune si notano due sculture, molto rovinate, raffiguranti una un leone (fig.5) l’altra un rapace (fig.6);

Fig. 5                                      Fig. 6
    
Framment marmorei provenienti dalla Cattedrale

interessanti sono le basi su cui poggiano i pezzi scultorei, queste infatti proseguono alzandosi di circa una trentina di centimetri dietro il dorso dell’animale.
Esempi di sculture di questo tipo non mancano, basti pensare al Duomo di Modena o alla Cattedrale di Ferrara dove animali stilofori sorreggono un protiro. Con ciò non dobbiamo immaginare la cattedrale nepesina preceduta da un protiro, in quanto la tipologia dei due animali si differenzia dalle sculture emiliane, nelle quali la colonna si innesta nel dorso. Inoltre i frammenti nepesini si appoggiano su una base a forma di “L”, che corre sotto l’animale e prosegue verticalmente dietro il dorso. Quest’ultimo elemento ci suggerisce una appartenenza diretta delle sculture alla decorazione del portale, al quale erano addossate.
Entrando nella chiesa sulla navata sud è collocato l’ingresso del campanile (fig.7), il quale nonostante il pessimo stato conservativo in cui è riversato testimonia le sue fasi costruttive.

Fig. 7

Sotto nuove stesure di malta è ancora possibile, infatti, leggere la tessitura muraria composta da tre distinte lavorazioni. Una zona in laterizio arriva fino all’altezza delle navate laterali, in questo punto si inserisce una zona lavorata a pietrisco che si estende per due livelli. Nella parte terminale del campanile ritorna una lavorazione a mattoni, ma con una tessitura diversa.
Il primo livello in mattoni presenta una somiglianza con le forme e la tecnica edilizia di derivazione romana, ma essa si distingue dalle murature di età classica per l’esecuzione meno precisa e rigorosa.
Il modulo 5 oscilla tra 27 e 34 cm, la misura del singolo mattone va dai 21 ai 28 cm per la lunghezza e dai 4,4 ai 4 cm per l’altezza, con un letto di malta di 2,5 cm. Per quanto riguarda il colore di quest’ultima e del mattone esso varia in base alla percentuale dei componenti dell’impasto per la malta e al tipo di argilla per il laterizio.
Attraverso un esame empirico, poiché non accompagnato da analisi di laboratorio, è possibile mettere in relazione questo primo livello del campanile con il saggio aperto nella parte bassa del portico, in quanto presentano la stessa tipologia (13).
Tali elementi si possono perciò considerare come testimonianze della cattedrale edificata per volere del vescovo Innocenzo Pegatesco ( 824-826) nel IX secolo. I frammenti murati nelle pareti del portico, insieme alla lapide del vescovo Celsius, sono la prova di questa primitiva fabbrica.
Il secondo livello della torre campanaria, come già detto è caratterizzato da una tessitura a pietrisco interna, all’esterno è invece rivestito da uno strato di laterizio dalla trama regolare. In tutti e tre i lati visibili del campanile, a questo livello, sono situate di due monofore tamponate.
La tessitura del rivestimento esterno è divisa in due fasce orizzontali da una cornice, caratterizzata da una doppia risega: la prima, a denti di sega, la seconda a mensole marmoree.
Il suo stato conservativo è precario, nonostante ciò non è impossibile riconoscerla come la decorazione dei marcapiani laziali. Il rivestimento esterno formato da corsi di soli mattoni legati da strati di malta, definito opus testaceum, è caratteristico del XII secolo.
La qualità della tessitura muraria registra nell’arco del secolo variazioni notevoli; la maggiore o minore regolarità della struttura non segue un ordine di svolgimento cronologico che permetta di parlare di un progressivo raffinamento o decadimento della tecnica. Verificare i moduli dei mattoni del rivestimento murario, con pareti coeve, è impossibile, perciò per confermare la cronologia ci si può avvalere dei confronti tra la cornice marcapiano del campanile e la cornice marcapiano delle finestre romaniche della facciata.
Servendosi della somiglianza delle due decorazioni come prova chiave per una cronologia del XII secolo si deve anche affermare che la tessitura muraria della facciata, all’altezza delle finestre, è, di conseguenza, coeva e uguale a quella del campanile. Inoltre la misurazione dei mattoni della facciata superiore ha rivelato un valore medio del modulo 5 di 32 cm, misure che rientrano perfettamente nei valori dell’opus testaceum del XII secolo.
L’ultimo livello della torre come riferisce un documento conservato all’Archivio di Stato di Viterbo risale al 1511 (14).
Il campanile perciò risulterà essere una struttura palinsesto avente una base risalente al IX secolo, un primo livello del XII secolo e infine un ultimo livello di epoca rinascimentale.
Tramite un corridoio di raccordo si accede dal campanile ad un ambiente soprastante il portico, del quale ripete la forma e le dimensioni; è possibile qui ammirare l’antica facciata romanica. La tessitura muraria è completamente in laterizio, su di essa si aprono tre finestre (fig.8), oggi tamponate, collegate tra loro da una cornice a denti di sega che corre lungo tutta la facciata.

Fig. 8

Esemplare delle tre finestre visibili nell’ambiente sovrastante il portico

E’ bene sottolineare la somiglianza del tema decorativo del suddetto marcapiano con quello del campanile elemento che testimonia il rapporto che intercorre tra le due parti architettoniche. Continuando l’esplorazione della zona soprastante le volte si incontra in corrispondenza della prima navata sud una bifora murata (fig.9); una colonnina sorregge un capitello dalla decorazione a rete incisa a maglie romboidali, il collarino, invece, presenta una greca di triangoli.

Fig. 9

Bifora murata nell’intercapedine della prima navata sud

Lo schema e la lavorazione non corrisponde con i numerosi capitelli presenti nella cripta, la sua fattura sembra suggerire una cronologia vicina al precedente edificio del IX secolo.
In fine in corrispondenza della volta della navata centrale si trova una finestra dalla forma rettangolare, inserita in una parete di tufo e rivestita, come l’intera parete, di mattoni nella parte inferiore; è facile perciò concludere che l’originario edificio presentasse dei laterali in tufo rivestiti dopo l’avvento francese (15), in mattoni.
L’ambiente più suggestivo, superstite, di epoca romanica è la chiesa sotterranea (fig.10).

Fig. 10

Cripta

Da sempre apprezzata per il suo valore storico, artistico e religioso la cripta è stata “parzialmente risparmiata” dai rimaneggiamenti delle epoche successive, ancora oggi infatti regna in questo ambiente un’atmosfera medioevale, scaturita dai cinquantadue capitelli che ornano l’ambiente; nonostante l’apparente aspetto romanico questo ambiente è stato arbitrariamente modificato.
Si legge infatti in una Nepesina di pretesto di contratto e credito (16), conservata all’Archivio di Stato di Roma, che il capo mastro muratore Antonio Valenti per irragionevole capriccio distrusse l’antica volta assai forte della cripta, la quale si sollevava con maestà per molti gradini sopra il piano della navata di mezzo, per erigerne una più bassa (17).
Per compiere tale operazione tutte le colonne vennero gettate a terra (18) e non è specificato se la loro ricollocazione insieme ai capitelli rispettò l’originaria posizione. Il Valenti inoltre modificò l’accesso della cripta: chiuse le due entrate laterali, di cui rimangono ancora le tracce, in favore di un accesso centrale unico; inserì lungo le pareti anche dei piloni di cemento, che coprirono alcune colonne rinvenute durante un operazione di restauro, avvenuta nel 1951 su richiesta del Mons. Giuseppe Gori (19).
Per una migliore comprensione della storia dell’edificio è stato utile affiancare ad un’analisi archeologica la ricerca d’archivio, l’azione del Valenti può valere come esempio, ma altrettanto importanti e significativi sono stati due documenti conservati all’Archivio di Stato di Viterbo; nei quali si parla di un innalzamento, a livello della navata centrale, della volta della navata che si affacciava sul lato dell’episcopio (20) e la chiusura dell’occhio della facciata della chiesa, per inserirvi una vetrata (21).
L’unione delle informazioni ricavate da uno studio sia storico che archeologico ha portato alla luce l’antico aspetto della chiesa romanica.
La cattedrale, di tipo basilicale, era in origine ripartita in tre navate, divise da file di pilastri. La presenza dei pilastri al posto delle colonne è dichiarata indirettamente nei documenti relativi ai lavori della ristrutturazione ottocentesca (22).
Il presbiterio, rialzato, dalla forma triabsidata ricalcava, come di consuetudine (23), il disegno della cripta (fig.11) sottostante alla quale si accedeva tramite due ingressi.

Fig. 11

Pianta della Cripta

La cripta ad oratorium era abbellita dalla presenza di cinquantadue capitelli, le cui fantasie erano messe in risalto dalla luce che si diffondeva attraverso nove feritoie, oggi tamponate.
Molto interessante doveva essere la facciata della chiesa caratterizzata dalla tipica struttura a capanna spezzata, sbilanciata però dalla presenza del campanile, palinsesto, addossato alla navata sud.
Il portale centrale abbellito da marmoree sculture raffiguranti un’aquila e un leone, oggi conservate nel portico del Comune di Nepi, si stagliava su un fondo in laterizio; era affiancato da un secondo ingresso, decorato da un bassorilievo marmoreo a racemi, nel quale si distinguevano animali e elementi vegetali. Sopra al portale principale si ammiravano tre finestre a doppia ghiera, collegate tra loro da un marcapiano a dente di sega. Il tutto era sormontato da un oculo.
Lungo le navate laterali si aprivano delle bifore, fonti di luce, composte da esili colonne sovrastate da piccoli capitelli di varie forme.
Il cleristorio era caratterizzato da una serie di finestre dalla semplice forma rettangolare, inserite nella parete di tufo.
E’ importante sottolineare il fatto che finestre di forma rettangolare o bifore come fonti di luce, per una navata di età romanica, non hanno riscontri nel Lazio, inoltre delle due tipologie è conservato solo un esemplare per tipo, perciò possiamo solo “ipotizzare” un’illuminazione consentita da una serie di analoghe finestre, salvo pensare a una ulteriore trasformazione.
Per quanto riguarda gli arredi interni si può citare una recinzione presbiteriale, composta da plutei marmorei decorati, quelli corrispondenti all’ingresso del recinto, da figure di leoni alati; il tutto si doveva inserire su un pavimento cosmatesco.
Conclusa la ricostruzione architettonica l’attenzione viene rivolta agli elementi scultorei superstiti, per lo studio dei quali, non avendo a disposizione nessun tipo di fonte scritta, è stata sfruttata la semplice analisi visiva.
Attraverso un’attenta osservazione è stato possibile individuare nei capitelli della cripta di Nepi la ripetizione di particolari schemi, realizzati sempre con la stessa tecnica e la stessa qualità artistica, prova innegabile del lavoro di una specifica personalità.
Il metodo di studio adottato, basato sulla semplice analisi visiva, ha rivelato la presenza di cinque mani esecutrici, attive a Nepi tra il 1145 e il 1266 (24), alle quali sono stati attribuiti dei nomi di comodo suggeriti dalle specifiche caratteristiche di ogni maestro. Si avrà così: il maestro animalista, il maestro delle foglie d’acqua, il maestro delle volute, il maestro delle foglie d’acanto e infine il maestro dei capitelli cubici.
Raggiunto questo traguardo diventava interessante scoprire se esistevano delle relazioni tra i prodotti scultorei di Nepi con le coeve opere dislocate nell’alto Lazio.
Confrontando le sculture solo dal punto di vista tipologico è stata più volte verificata la ripetizione di alcuni schemi, si è perciò supposta l’esistenza di una circolazione di modelli.
E’ stata notata, in modo particolare, la ripetizione di uno schema di capitello, proposto più volte nelle cripte dell’alto Lazio tra la fine del XII e i primi del XIII secolo.
La forma del capitello, molto semplice, scompone il pezzo in tre punti fondamentali: il primo registro è occupato da una fila di foglie dall’ordine gigante oppure da due file di foglie sovrapposte; il secondo registro è caratterizzato da volute angolari, infine il terzo e ultimo elemento, situato tra le volute, può variare da una rappresentazione di tipo vegetale a una di tipo animale o ancora può riprodurre una testa umana molto stilizzata.
E’ opportuno sottolineare l’unicità di questo modello; capitelli romanici dai temi vegetali ne esistono innumerevoli esemplari, nonostante ciò lo schema del capitello “viterbese” non trova riscontri se non nell’area laziale. E’ utile rimarcare inoltre le corrispondenze architettoniche tra i vari edifici religiosi laziali, tra i quali ben pochi sono sfuggiti alle manipolazioni delle epoche successive, ma nei quali non è impossibile ricostruire l’aspetto medioevale, dall’impostazione di tipo basilicale a tre navate, dal presbiterio rialzato, dalla cripta ad oratorium, etc.
In ultimo è bene richiamare l’attenzione sull’importanza delle vie di comunicazione durante il medioevo, specialmente le vie consolari, attraverso le quali varie città e comuni entravano in contatto, allacciando relazioni commerciali e religiose. Non è impensabile che nella stessa maniera si diffondessero delle mode architettoniche, scaturite anche da particolari esigenze di culto, sviluppando, con il forte contributo del genio locale, dei modelli caratteristici solo di alcune zone.
Dovremmo immaginare una ricca attività di scambi, commerciali e culturali, tra i vari centri dell’alto Lazio, tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo: essa diede origine a un gusto, architettonico e scultoreo, regionale.
Questo fenomeno laziale non rappresenta un’eccezione nell’epoca romanica, infatti, un esempio simile, anzi più eclatante, è individuabile nel Massiccio Centrale francese, in un gruppo di circa una dozzina di chiese, ovvero il gruppo architettonico dell’Alvernia, sviluppato intorno al XII e al XIII secolo. Tra le più suggestive ricordiamo: Notre-Dame-du-Port a Clermont Ferrand, Orcival, Issoire, Riom, Saint- Nectaire, Saint-Saturnin, Ennezat e Brioude.
Tutti questi edifici rispondono a uno stesso tipo architettonico, ad una stessa tipologia di modelli scultorei e di elementi decorativi delle quali viene rispettata anche la collocazione all’interno della chiesa, infatti, i temi profani e vegetali sono inseriti nelle navate, gli argomenti vetero e neo testamentari sono invece riservati al deambulatorio.
Tali osservazioni inducono a rivalutare lo sviluppo delle scuole regionali, le quali potevano avvalersi dei modelli artistici in circolazione o eccezionalmente potevano entrare in contatto con un maestro forestiero che, ricco di un diverso bagaglio culturale, contribuiva allo sviluppo del fare artistico locale.
Senza inoltrarsi in più vaste problematiche è comunque soddisfacente avere colto la testimonianza di un monumento, la cattedrale di Nepi, le cui spoglie romaniche pur vivendo sotto nuove sembianze, imposte dalle epoche successive, ancora raccontano il loro vivo legame con le coeve chiese laziali.

Note

(1) Archivio di Stato di Roma, Infelici, e desolati Cittadini, e Possidenti della Comunità di Nepi si presentano all’Eminenza Vostra Illustrissima per umilmente implorare della loro giustizia quel più pronto soccorso, che meritano le deplorabili circostanze degli umilissimi oratori., fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.

(2) Antonio Marini, Nepi, Terni 1964, p46. Ferdinando IV di Napoli approfittando dell’assenza di Napoleone, impegnato in una campagna in Egitto, era intenzionato a conquistare la Repubblica Romana, ma l’esercito francese proveniente dalla cisalpina lo costrinse alla fuga. In tale occasione Nepi appoggiando i napoletani fece un tentativo di resistenza ai francesi, pagandone duramente le conseguenze.

(3) Archivio Capitolare di Nepi, liber mortuorum, foll.17-18

(4) ibidem.

(5) Archivio di Stato di Viterbo, Notaio Enea Sansoni, fol 216, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888). Nel 1608 nella navata centrale fu costruito un soffitto in legno dai maestri falegnami, i fratelli Silvestro e Francesco Sensi da Visso e Sensio figlio di Silvestro.

(6) Archivio di Stato di Viterbo, die 31 januarii 1801, indictione IV. Sedente SS.D.N. Pio papa VII annoI., fol 140, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888).

(7) “In Nomine Domini Anno Domini millesimo ducentesimo sexagesimo sexto, inditione decima, mense septembri die vigesima, Pontificatus domini Clementis IV pape. Ad honorem omnipotentis Dei et Sancte Dei Genitricis Virginis Marie et beatorum martirum ac pontificum Tholomei et Romani, venerabilis pater et dominus Laurentius episcopus nepesinus consecravit hanc ecclesiam et altare beati Iohannis et sancti Angeli; et altare maius consecrari fecit per dominum Stephanum prenest inum episcopum et aliis pluribus episcopis presentibus. In quo altari requiescunt reliquie beatorum Tholomei et Romani et velum beatae Marie Virginis, de sanguine et planeta sancti Thome cantauriensis archiepiscopi inctinto in corporali, de lana agni resuscitati et de lapide Monti Sinai et de reliquiis sancti Bartholomei et dens sancte Lucie et de ligno Crucis Christi et de Purpura beate virginis Marie et de reliquiis beatorum Petri et Pauli et sancti Clementis pape et de reliquiis sancti Blasii et Calixti et sancti secundi et aliorum sanctorum. In qua dedicatione concessa est indulgentia trium annorum et de tribus quarantenis perpetuo in die dedicationis.”
Nel Nome del Signore. L’anno 1266, indizione decima il 20 di Settembre, durante il pontificato di papa Clemente IV. Ad onore di Dio Onnipotente e della santa Madre di Dio, la Vergine Maria, e dei beati martiri e vescovi Tolomeo e Romano, il venerabile padre e signore Lorenzo vescovo di Nepi consacrò questa chiesa e l’altare di San Giovanni e di Sant’Angelo. Fece consacrare l’altare maggiore dal signor Stefano vescovo di Palestrina, alla presenza di molti altri vescovi. Nello stesso altare (maggiore) sono state poste le reliquie dei beati Tolomeo e Romano e il velo ella beata Vergine Maria; parte del sangue e della pianeta (veste sacra) di San Tommaso arcivescovo di Canterbury, sangue che era spruzzato nel corporale; parte di lana dell’agnello risorto; un frammento di pietra dal Monte Sinai; reliquie di san Bartolomeo, un dente di Santa Lucia; un frammento del legno della Croce e del mantello di porpora della beata vergine Maria; reliquie dei santi Pietro e paolo e di san Clemente papa; reliquie dei santi Biagio e Calisto, di san Secondo e di altri santi. In occasione di questa dedicazione fu concessa l’indulgenza di tre anni per il futuro, nell’anniversario di questa dedicazione, l’indulgenza di tre quarantene.

(8) Giuseppe Ranghiasci Brancaleoni, Memorie o siano relazioni istoriche sull’antichissima città di Nepi, Todi, 1845. “Franco sub Eugenio Papa fieri nepesinus hoc claustrum fecit Virgo Maria – Tibi filius ergo tuus semper custodiat illum – qui tibi sic servit dicito lector, Amen, Anno milleno centeno terque viceno bis decimo Christi templum fieri meruisti” Francone Nepesino, sotto il pontificato di Eugenio fece costruire questo complesso a te Vergine Maria – Il tuo Figlio custodisca sempre colui che ti serve in tal modo – chi legge: dica Amen. Nel 1180 dell’incarnazione.

(9) Martino fu Vescovo di Nepi dal 1170 al 1186. “Obtulit hoc munus tibi vere Virgo Maria – praesul Martinus- coeli – terraeque regina – anno milleno centeno – terque viceno – bis decimo Christi cum termino computo – vero” Il Vescovo Martino ha offerto questo dono a Te Vergine Maria, Regina del cielo e della terra nell’anno di Cristo 1180.

(10) Eugenio Battisti, op. cit., p 78, n 8.

(11) Laura Giovagnoli, La chiesa cattedrale di Nepi: storia e restauri, Viterbo, 1999, cap. I-3.

(12) Ibidem, pag. 80.

(13) Le misure si riferiscono ad un saggio, aperto sulla parete del portico, che mostra solo venti filari di mattoni; pertanto abbiamo quattro diverse misure del modulo 5 ( 35-27-38-32 cm) e siamo impossibilitati a verificare la ripetizione di quelle riscontrate. Possiamo solo riferirci alla misura del singolo mattone che varia da 21a 29 cm di larghezza, e da 4,5 a 5,5 cm di altezza, con un letto di malta dello spessore di 2,5 cm.

(14) Archivio di Stato di Viterbo, Deputatio muratoris ad fabricandum, Notaio Giuliano Mancini, fol 19, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888).

(15) Archivio di Stato di Roma, Sommario, Die 5 Februarii 1801, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie. L aura Giovagnoli, Op.cit., p.46

(16) Archivio di Stato di Roma, Nepesina di pretesto di contratto e credito, dub.II, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.

(17) Ibidem.

(18) Ibidem.

(19) Laura Giovagnoli, Op.cit., pp. 34-37.

(20) Archivio di Stato di Viterbo, Notaio Tullio Floridi, fo153, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888). “…Quod magister Iohannes se obligavit murare et inaltiare et in altum trahere murum parietis parvae navis dictae Ecclesiae Sanctae Mariae versus episcopatum nepesinum…”

(21) Archivio di Stato di Viterbo, Notaio Tullio Della Valle, fol 118, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888). “…Magister Laurentius quondam Simonis Citerarii de Viterbio (…) facere, condere et construere (…), invitriatasoculo magno dictae ecclesiae existenti supra portam mediae navis dictae ecclesiae…”

(22) Archivio di Stato di Roma, Sommario, Die 5 Februarii 1801, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.

(23) Si può fare un confronto con le coeve chiese laziali di S. Pietro a Tuscania, a S.Pietro a Norchia etc.

(24) La conferma di queste date ci proviene da due epigrafi conservare all’interno della chiesa, vedi pagg.3;4;5.

FONTI DI ARCHIVIO

ARCHIVIO DI STATO DI VITERBO :
· Die 31 januarii 1801, indictione IV. Sedente SS.D.N. Pio papa VII anno I., fol. 140, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888).
· Die quinta mensj Februarii millesimo octingantasimo primo, indizione IV, Sedente SS.D.N Pio papa VII, anno I, fol 142. · Offerta dei Prezzi ad uso di Muratura detta dal Matteo Lovatti. La riedificazione della Chiesa Cattedrale dellla città di Nepi, fol 145, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888).
· Progetto formato dall’Architetto Ferdinando Folcari, e Capo Mastro Matteo Lovatti per la riedificazione della Chiesa Cattedrale della città di Nepi Incendiata e Presentata all’Illustrissimi Signori Reggenti della medesima Città, fol 147, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888).
· A dì 30 Marzo 1800, Descrizione e Scandaglio della Chiesa Cattedrale della Città di Nepi incendiata, in cui si comprendano tanto quelli delle murature, che di Falegname, Scalpellino, Ferraro, Vetraro, Stagnaro, e imbiancatore a tenore dei disegni a tale effetto presentati alla Commissione della Città suddetta., fol 148, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888).
· Notaio Giuliano Mancini, fol 19, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888). · Notaio Tullio Della Valle, fol 118, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888).
· Notaio Tullio Floridi, fo153, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888). · Notaio Enea Sansoni, fol 216, fondo Archivio Notarile di Nepi (1384-1888).

ARCHIVIO DI STATO DI ROMA :
· Infelici, e desolati Cittadini, e Possidenti della Comunità di Nepi si presentano all’Eminenza Vostra Illustrissima per umilmente implorare della loro giustizia quel più pronto soccorso, che meritano le deplorabili circostanze degli umilissimi oratori., fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.
· Sommario, Die 5 Februarii 1801, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.
· Contrato fatto con il Prada per la riedificazione della Chiesa e patti per il medesimo convenuti, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.
· Nepesina di pretesto di contratto e credito, dub.II, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.
· Nepesina di Pretesto contratto Eminentissimi, e Reverendissimi Signori, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.
· C-1803- Descrizione distinta, ed esatto scandaglio della spesa ,a cui all’incirca potranno ascendere li lavori tanto ad uso di murature,e stuccature, falegname, ferraro, vetraro, scalpellino, che di verniciaro ed imbiancatore, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.
· Relazione dell’architetto Paccagnini riguardante i Restauri, e Perizia Valenti dei lavori eseguiti nella Chiesa Cattedrale di Nepi, 20 Settembre 1819, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.
· Dubbi da discutersi nella causa della Chiesa Cattedrale di Nepi contro gli eredi Valenti, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.
· E n8 La costruzione della nuova volta innalzata nella venerabile Chiesa Cattedrale della città di Nepi, fondo Sacra Congregazione del Buon Governo II serie.

SOPRINTENDENZA PER I BENI ARTISTICI E STRORICI DI ROMA E DEL LAZIO:
Schede relative alla cattedrale di Nepi, Santa Maria Assunta

BIBLIOGRAFIA

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