Siti archeologici a Nepi:


Nepi, una città ricca di storia situata nella regione del Lazio, in Italia, ospita numerosi siti archeologici che testimoniano la sua lunga e complessa storia, dalle origini etrusche, attraverso il periodo romano, fino al Medioevo e oltre. Questi siti offrono uno sguardo unico sul passato della città e sulla varietà delle culture che l’hanno abitata e influenzata nel corso dei secoli. Nepi è nota anche per le sue catacombe e tombe etrusche, che si trovano nelle vicinanze della città. Queste sepolture, scavate nella roccia, offrono preziose informazioni sui rituali funerari, sulle pratiche sociali e religiose degli Etruschi, popolo noto per il suo misterioso legame con l’aldilà e per le sofisticate pratiche di sepoltura. Vanta di numerosi strutture di origine etrusca poi modificata dai Romani, come i ponti che rappresentano un altro esempio dell’ingegneria antica. Questi, attraversavano profonde gole nei dintorni di Nepi, dimostrando l’abilità degli antichi costruttori nel superare ostacoli naturali e nel creare infrastrutture durature. Nei dintorni di Nepi si possono trovare anche i resti di varie necropoli, che ospitano tombe di diversi periodi storici, dalle epoche etrusca e romana fino al Medioevo. Queste necropoli offrono una visione complessiva delle pratiche funerarie e delle credenze religiose delle popolazioni che hanno abitato questo territorio. I siti archeologici di Nepi sono oggetto di studi e ricerche che mirano a conservare e valorizzare il patrimonio storico e culturale della città. Questi sforzi contribuiscono non solo alla comprensione della storia locale ma offrono anche spunti per riflettere sulla vita quotidiana, le credenze e le tecnologie delle civiltà passate. Questi siti rappresentano una risorsa importante per il turismo culturale a Nepi, attirando visitatori interessati alla storia antica e alla archeologia. La valorizzazione di questi siti, attraverso percorsi di visita guidata, musei e attività educative, rappresenta un’opportunità per diffondere la conoscenza della ricca eredità storica di Nepi e per stimolare lo sviluppo sostenibile basato sulla cultura e sul turismo.

La Via Amerina

Il territorio dell’Etruria Meridionale è attraversato da alcune delle più antiche e famose vie consolari, tra cui la Cassia e la Flaminia, solo per citarne alcune che interessano direttamente la zona in esame. All’interno di questi assi principali, una rete viaria minore creava un fitto sistema di comunicazione che collegava molti centri antichi alle vie principali. In epoca romana, l’intera manutenzione stradale ricadeva sotto la diretta responsabilità di un magistrato noto come curator viarum, di cui abbiamo testimonianze soprattutto nelle molte epigrafi che parlano della manutenzione e del rifacimento dei tratti stradali. In alcune di queste epigrafi, rinvenute nei pressi dell’odierna Civita Castellana, si fa riferimento a un curator della via Amerina, identificando così il tratto stradale che conduceva dall’antica Falerii fino ad Ameria, parte di un percorso più lungo che collegava il Lazio all’Umbria. Questa strada è descritta anche nella Tabula Peutingeriana, uno dei più famosi itinerari antichi, che indica una deviazione dalla Cassia nella località di Vaccanae (odierna Valle del Baccano) per poi dirigere verso Nepet, passare per Falerium e continuare fino ad Ameria, proseguendo poi per Tuder e Vettona fino a Perusia. Secondo alcuni studiosi, il primo tratto che collegava Vacanas a Falerii è identificabile come via Annia, anch’essa nota da ritrovamenti epigrafici, mentre il nome e il percorso preciso della strada che proseguiva in Umbria dopo Amelia rimangono sconosciuti. Molti tratti della via Amerina, soprattutto nella prima parte che va dalla mansio di Baccano fino a Civita Castellana, sono ben conservati e presentano una notevole uniformità tecnica costruttiva, con grandi blocchi di basalto che creavano una carreggiata larga circa 2,40 metri. Le lievi differenze di larghezza del lastricato sono probabilmente dovute alla diversità delle maestranze impiegate contemporaneamente lungo il percorso. La sistemazione di questo primo tratto è da attribuirsi, con ogni probabilità, al periodo della fondazione di Faleri Novi nel 241 a.C., dopo la distruzione dell’antica Falerii. Complessivamente, la via aveva una lunghezza di 56 miglia e rappresentava il percorso più veloce per raggiungere l’Umbria da Roma. La via Amerina ha mantenuto queste caratteristiche di collegamento rapido fino all’epoca tardo-antica ed alto-medievale, ritrovando una nuova importanza strategica come unico collegamento sempre aperto tra il Ducato Romano e l’Esarcato di Ravenna. Attraversando il nostro territorio da sud a nord, la via Amerina ha caratterizzato il paesaggio con la sua impronta storica, diventandone un segno distintivo. Per un lungo periodo, dal III secolo a.C. fino al VI secolo d.C., è stata la principale arteria stradale utilizzata sia dall’Impero Romano che dalla Roma papale per i collegamenti con il centro Italia e l’Adriatico. Bellissimi tratti del lastricato, accanto alla strada attuale, sono visibili dopo pochi chilometri dalla diramazione dalla SS Cassia; nel tratto cittadino, l’antico basolato può essere ammirato presso Porta Nica, sul lato sud delle fortificazioni sangallesche. Oltrepassando il centro, evidenti tracce della via sono visibili presso Torre dell’Isola (Isola Conversina), con una suggestiva tagliata corredata di tombe. Per orientarsi facilmente nella fitta rete di percorsi stradali dell’epoca romana, venivano create vere e proprie mappe stradali con l’indicazione delle città, delle stazioni di cambio cavalli e delle distanze espresse in miglia. La Tabula Peutingeriana, sulla quale compare la via Amerina e la città di Nepi, è la copia di una mappa dell’età imperiale redatta circa nel XII secolo, quando le vie romane erano ancora in pieno uso. La città, indicata come NEPE, si trova subito dopo il bivio sulla Cassia a Baccano (Vacanas) e prima di Faleri Novi (Faleros). Curiosamente, Peutinger è il nome del cancelliere austriaco che la ottenne nel 1508.

Le Necropoli

La morfologia stessa del territorio con la consistenza del tufo locale, ha favorito sin dalle epoche più remote la creazione di insediamenti rupestri e di numerose necropoli. Delle antiche civiltà spesso ci restano solo reperti legati al culto dei defunti. I ritrovamenti nel territorio di Nepi, studiati fin dall’800, rispecchiano le sensibilità culturali delle diverse epoche. Si trovano esempi di conservazione delle ceneri in olle globulari risalenti all’età del ferro, seguiti da rituali di inumazione a partire dal VII secolo a.C., inizialmente in fosse semplici e successivamente in caverne sempre più complesse con caratteristici corridoi d’accesso (dromoi). Nepi non solo offre importanti testimonianze legate all’età romana, ma possiede anche un vasto patrimonio archeologico risalente all’età più antica. Nel corso degli anni sono state scoperte estese necropoli etrusche attorno all’attuale centro abitato: San Paolo a nord, Contrada Gilastro a ovest, La Massa a sud e il Cerro a est. Questi ritrovamenti forniscono dati concreti su una forte presenza demografica concentrata nel territorio, dimostrando anche una ricchezza inaspettata, considerando il carattere prevalentemente rurale della zona. Dal VIII secolo a.C., il rito dell’incinerazione venne sostituito da quello dell’inumazione. Le sepolture inizialmente erano piccole e semplici fosse, ma col tempo divennero sempre più estese, assumendo la forma di camere. Era comune la presenza di loculi parietali anche ad ordini sovrapposti chiusi da tegoloni. Gli importanti corredi funerari rinvenuti testimoniano l’influenza della cultura etrusca in questo territorio, che fungeva da frontiera tra l’Agro Falisco e l’Etruria. Questa tipologia di tombe si riscontra almeno fino al III secolo a.C., durante l’età romana, con sepolture a rito misto (inumazione-incinerazione). Di particolare interesse è il prolungato utilizzo del sito, con una riutilizzazione probabilmente all’interno della stessa famiglia, indicando l’importanza attribuita a questa componente sociale. Il vasellame e l’oggettistica rinvenuti sono di notevole pregio e arricchiscono le collezioni del Museo Nazionale dell’Agro Falisco a Civita Castellana, del Museo Nazionale di Villa Giulia a Roma e del Museo Civico di Nepi.

• La necropoli di “Tre Ponti” presso il “Cavo degli Zucchi” è una delle numerose vie cave percorse dal tracciato della via Amerina. Situata nel tratto compreso tra la statale n. 311 e il Fosso Maggiore, l’antica via, corre in gran parte entro una serie di tagliate che hanno favorito lo sviluppo di una estesa necropoli falisco-romana,  particolarmente interessante sia per la varietà dei tipi (tombe a camera con vestibolo e caditoia, loculi semplici e ad arcosolio, colombari), sia per la presenza di lacunosi ma  significativi esempi di decorazione pittorica funeraria. All’interno del sito archeologico possiamo trovare anche una piazzola sacra, dove si concentrano gli imponenti resti di alcuni mausolei. La necropoli si è sviluppata ai lati della strada tra la seconda metà del III secolo a.C. e il III d.C., ma la frequentazione prosegue fino agli inizi del VI secolo d.C.. All’interno della necropoli si possono osservare diversi reperti: un monumento funebre a colombario, progettato per ospitare dodici urne cinerarie contenenti le ceneri dei defunti dell’età giulio-claudia; i resti di un sepolcro con fregio dorico, scolpito nel peperino, risalente all’età augustea, unico esemplare presente nell’intero agro falisco; e monumenti a dado con rovine di sepolture. Oltrepassato il Fosso Maggiore, attraverso i ruderi di un grande ponte crollato, si entra nel Cavo degli Zucchi, procedendo lungo un tratto ben conservato della strada romana originale. Qui si susseguono mausolei, tombe a camera e tombe con atrio, tutte scavate nel tufo, alcune delle quali presentano tracce di affreschi. È interessante notare la coesistenza dei riti di inumazione e incinerazione in queste sepolture. Oltre i campi e le basse alture, a meno di due chilometri di distanza, la via Amerina conduce alla città romana di Faleri Novi.

• Il Ponte sul Fosso dei Tre Ponti è l’unico ad essere rimasto integro sulla via Amerina, è perfettamente conservato, con i suoi blocchi che sorreggono il caratteristico basolato romano. Come tutte le strade romane, anche la via Amerina supera le asperità del territorio nepesino, solcato dai corsi d’acqua, mediante l’utilizzo di tagliate e ponti, rendendo così meno difficoltoso il viaggio. Il materiale della costruzione è “il tufo litoide a scorie nere”, un’ignimbrite prodotta da una colata del distretto vulcanico sabatino, cavato sul posto. La tecnica costruttiva adottata è quella dell’opus quadratum. Ogni blocco presenta i fori per l’alloggiamento delle tenaglie di sollevamento (ferrei forfices). Ogni filare è allettato  con un filo di malta composta da calce e sabbia con inerti di cocciopesto e pozzolana. Per quanto riguarda la datazione il sistema costruttivo della volta ci indica un’epoca a cavallo tra la seconda metà del I sec. a.C. e l’inizio del I sec. d. C..

Altre Necropoli. Numerose sono inoltre le necropoli nel territorio nepesino, tra cui la necropoli del Cerro sulla stessa via, la necropoli di Sante Grotte in via del cimitero, Fosso del Cardinale in località cardinale, località la massa, San Paolo del VIII e VII secolo a camera, vicino alla maggior parte di via Mons. Giuseppe Gori, Vigna Penteriani sempre in località San Paolo, località Piani del Pavone sulla strada provinciale 37 e via campo dell’olmo. La necropoli della Tenuta Franca compresa tra il fosso di Tre Ponti e il fosso dell’Isola Conversina, la necropoli di via Fontana Cupola, la necropoli di Ponte Nepesino, la necropoli di Santa Croce all’inizio delle forra dietro la chiesa di Santa Croce ecc.

Necropoli di Gilastro

Significativi sono stati anche i rinvenimenti avvenuti in Contrada Gilastro, nelle vicinanze del cimitero. Nel 1988, durante i lavori di consolidamento della strada che porta alle catacombe di Santa Savinilla, è stata scoperta una vasta sepoltura appartenente a un’ampia necropoli già conosciuta sin dai primi anni del ‘900. Si trattava di una “camera” a pianta quadrata preceduta da un “dromos”, elemento tipico di accesso alle tombe. L’importanza di questa sepoltura è evidente dalla presenza di due sarcofagi in tufo con timpani, chiusi da “tegoloni” a doppio spiovente, il che testimonia la presenza di una famiglia evidentemente benestante e di spicco. Lo studio di questa sepoltura suggerisce che sia stata utilizzata a lungo nel corso del tempo, dall’inizio del VII secolo fino alla prima metà del V secolo a.C. Anche il repertorio di oggetti ritrovati è vasto, soprattutto ceramico: bucchero (coppette e Kautharos), piattelli in argilla, piatti e vasellame a becco.

Necropoli della Massa e il Pizzo

La monumentalità del sito deriva dall’uso continuo attraverso i millenni. Un’ulteriore prova della rilevanza del passato remoto della nostra città è la presenza umana registrata nello sperone tufaceo noto come Il Pizzo. Questo luogo, situato accanto alla città attuale e separato da essa solo da una piccola forra, conserva la sua storia, in gran parte avvolta nel mistero. Nelle epoche più remote, Nepi sembrava essere una sorta di città gemella, con un gran numero di abitanti urbanizzati. I frammenti emersi dalle ricerche sul pianoro suggeriscono l’esistenza di un secondo nucleo distinto, unito all’altro da risorse naturali ed economiche in una sorta di simbiosi. Entrambi i nuclei sono stati frequentati dall’uomo fin dalla preistoria (sono stati trovati utensili e selci dell’Età del bronzo Medio anche sul Pizzo) e si sono evoluti con proprie opere difensive, strade, abitazioni e tombe, fino a un graduale abbandono, completato nel XVI secolo, a favore del nucleo più grande che è giunto fino a noi. Oggi, Il Pizzo è una terrazza panoramica facilmente accessibile, che permette di immergersi in un ambiente naturale e di abbracciare con uno sguardo il panorama urbano della moderna Nepi.

Necropoli del Cerro
Necropoli Santa Croce
Necropoli Tenuta Franca
Necropoli San Paolo

Vigna Penteriani, situata nella necropoli di San Paolo, può essere considerata uno dei siti più rilevanti, come testimonia il pregio del materiale rinvenuto, esposto presso il Museo Nazionale di Villa Giulia, indubbiamente il più importante museo dedicato alla cultura etrusca.

Ponte Nepesino è un insediamento fortificato di epoca bizantina (sec. VI sec.). Situato sulla via amerina in corrispondenza del fosso del Cerreto. Le prime notizie risalgono al 1293 con l’acquisto della proprieta della famiglia Di Stinco da parte dei Vico. Il Castello beneficiò di autonomia sino al XIII secolo, quando papa Bonifacio VIII lo confisca ai Colonna e ne ridusse le prerogative militari. Nel 1335 passò agli Orsini. Ridotto a ruderi nel 1363 viene dato in pegno come dote  a Cecca Muti. Nel 1455 Callisto III, diede i privilegi ai nepesini di utilizzare i luoghi come pascolo. Nel 1457 viene diviso tra la chiesa e Paolo di Petruccio di Nepi. Infine nel 1535 la Camera Apostolica cede le località in totale abbandono e rovina ad Antonio Petroselli di Nepi. Da notare il vecchio ponte romano sul fosso del Cerreto.

L’Isola Conversina  (detta anche Torre Stroppa). La scenografica Torre dell’Isola Conversina, presso Nepi, è sulla sommità del promontorio tra il fosso dell’Isola e il Fossitello, protetto da un profondo vallo; nei pressi, tratti della cinta muraria, con il borgo e la chiesa di S. Pancrazio. Il Castrum Insulae, a protezione della via Amerina, fu abitato sin dall’antichità, ma nel periodo romano il sito fu abbandonato, sino alla ripresa medievale, coincidente probabilmente con la fortificazione bizantina del distretto nepesino. L’ Insula Conversina, affidata al monastero dei SS. Cosma e Damiano (989) insieme al mulino annesso, si consolidò durante l’incastellamento; Alla fine del XIII secolo le milizie romane posero l’assedio al villaggio, molto probabilmente questo episodio è da collegare con il tentativo della dinastia dei Colonna di impossessarsi della vicina Nepi. Come scritto nel Registro romano-senese, agli inizi del XIV secolo risulta essere per tassato per 10 rubi di sale, segno che la popolazione era molto ridotta. Nella tassazione successiva, quella del 1416, il sito non viene menzionato. Su di un atto risalente al 1423, si riporta la donazione del suddetto centro medievale eseguita da Giovanni De Matteo de Insula nei confronti di Giacomo Orsini, signore della città di Nepi. Nel 1427, dopo essere stata feudo di Giacomo Orsini, il figlio Rinaldo, cede il castello a Antonio Colonna (signore di Salerno). Nel 1435 i feudi dei Colonna vengono confiscati dal papa Eugenio IV e dal cardinal Latino Orsini al conte Dolce di Anguillara come pegno. Solo nel 1449 il papa Niccolò V li riscatta. Sul finire del XV secolo viene definito inhabitatum, con gli edifici e le torri dirute e a causa dell’abbandono definitivo del sito medievale, gli abitanti si trasferirono a Nepi. Attualmente, dell’originario insediamento, sono ben visibili i resti della Torre, con modanature in terracotta, che si staglia con forte evidenza nel paesaggio circostante: la vegetazione spontanea, alla base del pianoro, fornisce adeguata cornice all’antica struttura, memoria emblematica degli insediamenti castellani del comprensorio.

Filissano o Filacciano Il sito archeologico di epoca compresa tra il IX e il X secolo, è situato a controllo della vallata attraversata dal fosso di Capo di Rio. Oltre ai resti della torre del castello, all’interno possiamo trovare numerosi ruderi abitativi di epoca medievale. Viene citato in a partire dal 24 marzo del 1177, in una bolla di Alessandro III, che lo dichiarava di proprietà dell’Abbazia di S.Elia. Il 28 ottobre 1427 Rainaldo di Giacomo Orsini vende ad Antonio Colonna la città di Nepi, il castello deserto di Monte Rosi e il castello di Filacciano orma dirupo. Nel 1431 dopo che l’abitato aveva avuto il suo massimo splendore, andò pian piano decadendo fino alla fine del XV secolo.

Castel d’Ischia Il sito archeologico di epoca compresa tra il IX e il X secolo, è situato su una antico pagus etrusco-falisco, all’incrocio del Fosso Cerreto e il Fosso di Capo di Rio, su uno sperone tufaceo con pareti a strapiombo molto alte di circa 80 metri. La parte frontale era protetta da un doppio fossato, uno esterno largo circa 10 metri e l’altro interno largo circa 5 metri, dove si possono notare cavità artificiali forse più antiche. Da notare la cinta muraria, la torre quadrangolare e le numerose abitazioni scavate nel tufo interne all’abitato. Nel medioevo dipese dalla città di Nepi (1348) e nella meta del XV secolo, in documenti riguardanti gli Anguillara, viene citato come diruto.

 

Castel Porciano, Il sito archeologico di epoca compresa tra il IX e il X secolo, è situato a controllo della vallata attraversata dal fosso del Cerreto e il fosso del Castello. Numerosi sono i resti delle mura e della torre del castello. All’interno possiamo trovare ruderi abitativi di epoca medievale, ma poche tracce del periodo antecedente. Tra il 1000 e il 1200 inizia l’occupazione del tumulo centrale da parte di un gruppo di abitanti della disgregazione domusculta di Capracorum e la costruzione della piccola torre e del fosso a difesa parziale del promontorio. Gli abitanti avrebbero vissuto nelle caverne intorno al tumulo e forse in capanne di legno e canniccio in cima. Tra il 1200 e il 1275, l’insediamento si fortifica, vengono realizzate le attuali mura e scavati pozzi di stoccaggio e costruiti alcuni rozzi edifici in pietra. Tra il 1275 e il 1350 avviene un periodo di espansione più organizzata, che probabilmente coincide con l’apparizione dell’ospedale di Santo Spirito come signore e l’instaurazione di un legame definitivo con Roma. In questo periodo viene riorganizzato l’insediamento, gli edifici primitivi vengono in gran parte demoliti, viene costruito un muro perimetrale con case e una cappella. Tra il 1350 e il 1520 inizia l’abbandono con la dispersione e diminuzione della popolazione e si trasforma in casa signorile, il che spiegherebbe la sua mancata presenza nei registri fiscali dei sali. Dopo il 1520 non servendo più come punto di forza, viene abbandonato dalle nobili famiglie e il castello va in decadimento.

Terme dei Gracchi, terme romane in prossimità delle acque minerali, ricca di importanti testimonianze del passato. Ricche di acque ferruginose, solforose e minerali, di solfatare.

 


Grotta dell’Arnaro è un insediamento composto da una grotta principale attorniata da numerose grotte, dimora di varie generazioni dal paleolitico ai falisci, nel medioevo e più recentemente, rifugio durante i bombardamenti americani nella seconda guerra mondiale. Con le sue incisioni rupestri e le alghe bioluminescenti.

Anfiteatro Romano, di epoca imperiale. Per rendersi conto della grandezza della città di Nepi in epoca romana, basti solo notare i resti dell’anfiteatro, con l’estensione dell’ambulacro maggiore di metri 2.600 e dell’arena di metri 9.000, il quale poteva contenere circa 4.000 persone. Costruito in peperino a massi quadrilateri a foggia del Colosseo. Ad oggi dei resti rimane solo la forma ellittica ricoperta da resti di tufo.

Nepi sotterranea. Sotto l’abitato di Nepi si diramano chilometri di cunicoli creati dall’uomo come luogo di rifugio o altri usi, ma in ogni caso queste cavità sono vere e proprie città sotterranee. Non sono attualmente visitabili.

Altre cose da vedere Le ville patrizie disseminate nel territorio, i mausolei lungo la via Amerina, cippi, statue e molteplici lapidi. Inoltre nelle campagne nei dintorni della Città di Nepi, si possono ancora ammirare altre rovine di siti rurali come il Castrum Agnese, Fogliano, Paterno, Santa Maria di Falleri ecc.

Scavi archeologici cortile Palazzo Vescovato Nel 1991, nel cortile del Vescovato sono stati effettuati degli scavi a cura dell’Università di Bristol, in collaborazione con il Department of Classic e Archaeology. Questa indagine nel cuore della città, precisamente nell’area del vescovato, nelle vicinanze di quello che doveva essere il “foro” di Nepi, ha portato alla luce diversi reperti di varie epoche. L’analisi stratigrafica, una sorta di racconto storico con capitoli che si dispiegano a ritroso, dai più recenti (gli strati superficiali) ai più antichi (quelli in profondità), mette in luce una straordinaria continuità nell’insediamento della città di Nepi.
Nemmeno gli eventi più tumultuosi, come la conquista romana, la caduta dell’Impero Romano o le invasioni barbariche, sono riusciti a interrompere la presenza umana nella città.
Le ricerche condotte dagli studiosi britannici hanno il merito insuperabile di aprirci la porta su un mondo di informazioni diverso da quello che emerge dalle necropoli e dalle tombe, rivelando vari aspetti della vita quotidiana.

 

Scavi per pavimentazione piazza d’armi. Durante scavi condotti nel 1998, nella futura Piazza d’Armi del Rinascimento, sono stati rinvenuti affascinanti reperti che contribuiscono a ricostruire la morfologia della città antica. Tra essi, spiccano resti di cisterne, vasche domestiche e possibili fontane, testimonianza della presenza di acqua, anche se la sua provenienza rimane ancora avvolta dal mistero. Inoltre, sono emersi i basamenti di un edificio, presumibilmente residenziale, dotato di un ninfeo lungo il lato breve a nord,  posizionato strategicamente sulla sommità del rilievo tufaceo che dominava il paesaggio circostante.

Apertura di una Tomba, nella necropoli di Sante Grotte Nepi.

Ricerche effettuate da Pietro Palazzini

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