Nepi – Pellegrinaggi e Giubilei

Nepi – Pellegrinaggi e Giubilei set-00 III 3

NEPI SULLE VIE DI PELLEGRINAGGI E GIUBILEI

Marzo – Giugno 2000

Testi e ricerca di GREGORI COSTANTINO

Presentazione

La circostanza straordinaria del passaggio al terzo millennio ci offre la possibilità di metterci, come è nostra consuetudine, in ricerca. Questa volta non ci confrontiamo con un evento singolo ma con un tema più ampio; la ricerca, infatti, mira a conoscere quegli aspetti della storia “particolare” che si intrecciano con una consuetudine di respiro nazionale e europeo: il pellegrinaggio e il giubileo.

Si è tentato di raccogliere i nessi, le relazioni, le attinenze del territorio nepesino con quella pratica che fa parte della cultura europea. Data la posizione geografica, sulla strada che riunisce tutti gli itinerari provenienti da nord verso la città di Roma, emergono interessanti elementi che, messi insieme, compongono un aspetto, in larga parte inedito, seppur nascosto dalle ombre del tempo, di questa città.

Ciò che viene offerto al visitatore è una prima raccolta di notizie e documenti senza pretese di esaurire il vasto argomento. Ulteriori ricerche potranno essere condotte restringendo il campo a ciascuno dei temi presentati in questa circostanza.

L’argomento del pellegrinaggio e dei giubilei ha visto, in questi ultimi anni, il succedersi di studi e iniziative culturali di vasto respiro, che aiutano a comporre il giusto quadro storico, tuttavia crediamo sia ugualmente importante far emergere le singolarità della “piccola dimensione”, quali costituenti elementari di quel processo inarrestabile comunemente chiamato Storia.

 

ALCUNE PREMESSE

A – L’ESSERE UMANO IN PELLEGRINAGGIO

Nella storia dell’uomo si conoscono luoghi di pellegrinaggio verso cui diverse culture si incamminano ciclicamente come gesto di pratica religiosa. Ad esempio, tra le civiltà prima di Cristo, gli egiziani si recano nei santuari di Osiride a Abido e a Busiride, gli hittiti frequentano il santuario dedicato alla dea Sole ad Arinna, gli arabi, già nel periodo preislamico, la Ka’bah (Mecca).
Da cosa sono motivati? Cosa muove i loro passi ? Lentamente l’uomo acquista coscienza che per due cose – almeno – dipende da altri da sé. E cioè:
1 – nella ricerca della sua origine ultima.
2 – nella possibilità di essere “salvo”; (etimologicamente vuol dire “tutto, intero”).

B – Il PELLEGRINO NEL CRISTIANESIMO

Al cammino verso Gerusalemme ( da compiersi per tre volte ogni anno) a cui lo stesso Gesù Cristo partecipa, somigliano tutti i cammini, tutti i pellegrinaggi. Già nei primi secoli d.C. oltre ai famosi viaggi di S. Elena, dall’Itinerario Burdigalense si conosce il tragitto di un pellegrino partito dalla Gallia – da Bordeaux – che si reca a Gerusalemme -anno 333- , nelle sue stazioni di viaggio tocca anche Roma.
Ed ecco la testimonianza di S. Girolamo (IV secolo): ” Che cosa raccontiamo degli Armeni, dei Persiani, dei popoli dell’India e dell’Etiopia, fino allo stesso Egitto, fertile di monaci, del Ponto e della Cappadocia, della Siria del Golfo, della Mesopotamia e di tutte le turbe dell’Oriente? Che (secondo il detto del Salvatore << Ovunque si trovi un corpo là si raduneranno le aquile>>) accorrono a questi luoghi”.
E un altro scritto racconta: “… in Roma, che per eccellenza è città regia, peregrinano al sepolcro del Pescatore, per non dire tutti, imperatori e consoli e capitani di Milizie” (S. Giovanni Crisostomo -morto nel 407 ).
Che cosa è, dunque, il pellegrinaggio per il cristiano?
Sinteticamente si può rispondere così:
1 – MEMORIA cioè nel compiere un gesto ci si riconduce all’avvenimento di Cristo nella storia ( che è la propria origine);
2 – PENITENZA cioè un atto con il quale si vuole ripercorrere all’indietro il cammino che ha allontanato da quella origine ;
2 – DEVOZIONE cioè andare ad incontrare un “segno” di conferma di ciò che sta accadendo nella propria vita di cristiano, pur piena di mancanze e infedeltà.
Camminare diventa così un andare a conoscere i segni più importanti della storia della salvezza.


C – CHE COSA VUOL DIRE “PELLEGRINO” ?

Negli scritti di Cicerone il pellegrino – peregrinus – è chi ha lasciato il suo paese d’origine, si trova lontano dalla sua patria.
Così peregrinari vuol dire stare all’estero. La parola deriva dal latino peregre, composto da “per” e “ager” – nella campagna, fuori di città.


C – VERSO DOVE ?

Meta principe dei pellegrinaggi cristiani fu Gerusalemme e la terra Santa, avviati da S. Elena, madre dell’imperatore Costantino. Tuttavia nei primi secoli Roma, che ha visto il martirio di tanti cristiani, attira pellegrinaggi sempre più numerosi; ricordiamo:
Servazio di Tongeren (Maastricht) anno 384
Paolino di Nola anni 353-4 e 431
Brizio anno 444
Ilario di Arles anni 401 – 449
Sidonio Apollinare anni 432 – 485
Gregorio di Tours anni 538 – 594
Nei secoli successivi alla caduta dell’Impero Romano le mete romane di pellegrinaggi – S.Pietro e S. Paolo – si snodavano tra le macerie di una città che, dalle centinaia di migliaia di abitanti (IV sec.) era passata alle poche decine di migliaia (all’inizio dell’VIII).
Nei secoli medievali, dopo la caduta di Gerusalemme in mano ai turchi (anno 640), con la diffusione della venerazione delle reliquie provenienti dai luoghi santi, e con il verificarsi di eventi di varia natura, nascono nuove mete di pellegrinaggio:
– verso Colonia e Venezia ci si incammina per i Re Magi considerati nel medioevo i primi pellegrini e poi protettori di cji si mette in viaggio spirituale.
– verso Torino per la Sacra Sindone
– verso Canterbury per visitare la tomba di S. Tommaso Becket
– verso Assisi (dopo S.Francesco)
Non c’è regione dell’Europa che non abbia un santuario, non c’è chiesa, anche piccola, che non abbia una reliquia e dunque sia potenzialmente meta di pellegrinaggi.
Si diffonde l’uso di distinguere come PEREGRINATIONES MAIORES quelle che hanno per meta Gerusalemme, Roma e Santiago di Compostela.

Cfr.: Stopani ’98 – Rusconi ’98 – Frugoni ’99 – Rusconi ’99 – Brunetti ’99 – Leonardi ’99


ROMA: “ALTERA JERUSALEM”

Per la quantità e la qualità delle reliquie conservate nelle chiese, Roma diviene per l’uomo medievale, un nuova Gerusalemme, altera Jerusalem città sacra e sede del papato.
Tra le più importanti motivazioni per un pellegrinaggio a Roma nei secoli IX° e X° ci sono:
– la molteplice testimonianza dei martiri che con il loro sangue rappresentano il massimo sacrificio cristiano;
– la presenza del successore di Pietro a cui spetta l’assoluzione dei peccati più gravi;
– la terra del Monte Calvario, ove morì Gesù, portata a Roma da Elena, madre dell’imperatore Costantino;
– il legno della Croce – conservato insieme alle altre reliquie della passione nella Chiesa di S. Croce in Gerusalemme a Roma;
– i chiodi della croce
– resti della corona di spine
– la colonna della flagellazione
– resti della scritta INRI della croce
– il panno della Veronica recante l’immagine di Gesù Cristo.

Cfr.: Frugoni ’99 – Oldoni ’99 – Wolf ’99 – Miglio ’99 – Stopani ’98

 

RICORDI E SOUVENIRS

Il pellegrino, una volta giunto alla meta acquistava ricordi per sé e per portarli indietro alla sua famiglia: erano dei veri trofei di un gesto, il pellegrinaggio, compiuto tra mille difficoltà.

Si era soliti avere (secondo le circostanze):
– dal pellegrinaggio a Gerusalemme: un po’ di terra del Golgota, la palma di Gerico, l’acqua del fiume Giordano;
– da quella Santiago de Compostela: una conchiglia,
– dal viaggio a Roma: una immaginetta metallica dei SS. Pietro e Paolo -chiamata quadrangulae – o quello della Veronica, piccole ampolle con olio che ardeva presso le tombe dei martiri, piccoli pezzi di lino che erano stati messi a contatto con le reliquie del santo o, ancora, chiavi decussate.

Si possono aggiungere, sempre a titolo di esempio, i souvenir di Loreto – riproduzioni della Madonna con Bambino – e da Lucca – riproduzioni del Volto Santo, il quale, secondo la leggenda, si ritiene sia stato scolpito da Nicodemo.

“segno della loro potenza è che
divengono più pesanti”
(Gregorio di Tours, In Gloria martirum, XXVII)

LA SCALA SANTA

Fino al ‘500 S. Giovanni in Laterano era la chiesa più importante del cristianesimo, sede del papato. Lì si poteva visitare il Sancta Sanctorum, la cappella privata dei Papi ove erano conservati tesori e reliquie di santi e martiri.
Nel XII secolo si accedeva alla chiesa da una scala denominata “Scalae Pilati”, che la tradizione fa provenire dal Pretorio di Gerusalemme (portata a Roma da S.Elena, madre di Costantino). Nel XV secolo si conferma solennemente che si tratta proprio della scala salita da Gesù Cristo presentandosi a Pilato: per questo è detta Scala Santa.

Cfr.:Miglio ’99 – Gargiulo ’99


PERCHÉ FARSI PELLEGRINO ?

Nel medioevo non esiste un motivo unico per partire in pellegrinaggio:
– può essere una scelta per ricevere grazie particolari;
– può essere la pena per gravi colpe (come omicidio, sacrilegio, incesto) e durare anche tutta la vita; per esempio secondo un penitenziale irlandese dell’XI secolo i parricidi debbono andare a Roma per ricevere la penitenza personalmente dal papa;
– può sostituire la pena di morte e va compiuto con ceppi e catene, o avere qualche segno distintivo permanente, come il marchi sulla pelle;
– addirittura può essere fatto al posto di altri.

Prima della partenza il pellegrino era informato sui pericoli che si corrono nel lungo viaggio e si verificava la sua salute fisica. Si informava sul tragitto da compiere , sui tempi di percorrenza, sulla stagione migliore; dettava testamento (i beni restavano sotto la protezione della Chiesa) e chiedeva il permesso alla moglie e al padre spirituale, si confessava e si comunicava.

La consegna della bisaccia e del bastone spesso era un vero e proprio rito da svolgersi davanti all’altare.

IN CAMMINO

Nel Canzoniere di Cambridge (X secolo) vi è la trascrizione di un canto che i pellegrini erano soliti cantare mentre erano in cammino, eccone alcuni versi:
” O nobile Roma, signora del mondo, che eccelli sopra tutte le città vermiglia del rosato sangue dei martiri…” (Rythmus Peregrinorum).

Durante il cammino il pellegrino attraversa paesaggi nuovi con infinite storie. Conosce racconti, leggende, favole. Le vicende legate ai luoghi che incontra, le chiese, i santuari, le tombe dei martiri richiamano alla sua mente che la grazia divina si manifesta proprio per lui e per il suo conforto.
Lungo i suoi passi è come se seguisse i passi di chi lo ha preceduto sulla storia della salvezza.

Ecco quanto si poteva trovare nella Cattedrale nepesina nel XIII secolo:

“Nel Nome del Signore. Nell’anno del Signore, decima indizione, il 29 settembre, sotto il Pontificato del Papa Clemente IV, in onore di Dio Onnipotente e della Santa Vergine Madre di Dio e dei Beati Martiri e Vescovi Tolomeo e Romano, il venerabile padre Lorenzo, Vescovo Nepesino consacrò questa Chiesa e l’altare di S. Giovanni e del Santo Angelo; e fece consacrare l’altare maggiore da Stefano vescovo di Palestrina e dai numerosi vescovi presenti.
Nel quale altare sono poste le Reliquie dei Beati Tolomeo e Romano, del velo della Beata Vergine e della pianeta e del sangue cha ha bagnato il corporale di S. Tommaso Arcivescovo di Canterbury;parte di lana dell’agnello risorto; un frammento di pietra del monte Sinai, reliquie di S. Bartolomeo. Un dente di S. Lucia; un frammento del legno della Croce e del mantello di porpora della beata vergine Maria; reliquie dei Santi Pietro e Paolo e di San Clemente papa; reliquie dei santi Biagio e Calisto, di san Secondo e di altri Santi.In occasione di questa dedicazione fu concessa l’indulgenza di tre anni per il futuro, nell’anniversario di questa dedicazione, l’indulgenza di tre quarantene.”

Un parallelo della indulgenza nepesina è a Roma, 1289, quando si stabilì che visitando S. Pietro si poteva guadagnare una “indulgenza di sette anni e sette quarantene”.

Cfr.: Brezzi ’75 – Oldoni ’99 – Gatta ’99 – Duranti ’93 – Giovagnoli 2000
Miglio ‘ 99 – Frugoni ’99


LE RELIQUIE

La devozione per le reliquie dei santi acquista importanza nei secoli XI -XIII per proseguire praticamente fino ai nostri giorni. Lungo le vie del pellegrino si sostava in preghiera davanti alle reliquie conservate nelle chiese. E’ possibile riassumere, secondo criteri originali, l’importanza delle reliquie:
A -I resti del corpo si distinguono in Insigni reliquie le ossa grandi (testa, gambe), Notabili Reliquie quelle di mani o piedi, e Esigue Reliquie quelle di più piccole dimensioni (denti, dita).
B – Le reliquie ottenute dal contatto con le reliquie della Passione o dei martiri o di altri santi, o di parti di tessuti.
C – Gli oggetti personali appartenuti al santo.

I reliquiari si impreziosiscono e si arricchiscono di materiali pregiati ma, salvo poche eccezioni, raramente giungono fino a noi. Il danno che hanno subito, su larga scala, con il sacco di Roma del 1527, con il Trattato di Tolentino del 1796 e con la soppressione degli Ordini Religiosi, trovano un parallelo con quanto accaduto a Nepi per opera dei francesi, il 2 Dicembre 1798. Al proposito ecco le parole del curato presente ai fatti: “… entrano in massa e cominciano il saccheggio degli arredi sacri, delle suppellettili preziose, degli addobbi solenni. Solo chi conosceva bene prima i tesori di questa chiesa, può rendersi conto del danno subito. Per opera dei francesi perirono in questo giorno molte insigne reliquie: la reliquia dei santi protettoti Tolomeo e Romano, chiusa e sigillata in una grande urna d’argento…”.


Cfr.: Thurre ’99 – Pedrocchi ’84 – Fagioli ’78

L’ABITO DEL PELLEGRINO

Nel momento di maggior partecipazione ai pellegrinaggi l’Homo Viator medievale va codificando una serie di elementi che, con poche varianti, sono distintivi dell’abito del pellegrino.

La Borsa nella quale mettere il poco necessario e il Bastone di legno (detto Bordone) con punta metallica e una comoda impugnatura tra due nodi (talvolta un pomello), sono consegnati durante una cerimonia che dava lo “status” del Viaggiatore privilegiato, posto sotto la protezione della Chiesa.

Nel 1300 sono usati stivaletti alti con lacci incrociati, una borraccia legata alla cintura. Il Mantello (detto anche mantellina, esclavina, schiavina, sanrocchina, pellegrina) spesso era rinforzato con cuoio, o, nei momenti freddi sostituito da pelliccia, era indossato sopra una veste semplice fermata da una cinta.

Il Cappello a larghe falde detto Pétaso, sul quale si appendevano i ricordi dei pellegrinaggi compiuti. Le donne spesso avevano il capo avvolto in bende. Un altro segno distintivo del pellegrino fin dall’XI secolo è il lasciarsi crescere la barba e i capelli.
Il bagaglio, semplice e ridotto all’indispensabile, era contenuto nella bisaccia (spesso a due tasche e portata sulle spalle): suole di ricambio, ciotola di cuoio, rete e lenza, cibo di scorta -grasso o pane – , acqua contenuta in otri di pelle (o in vesciche di animali o in zucche secche). I soldi erano cuciti nella fodera dell’abito o nelle scarpe e si usavano per i pedaggi dei traghetti, strade, per le offerte, il mangiare e l’alloggio. Spesso il finanziamento del viaggio si accumulava ipotecando o impegnando qualche avere.

Cfr.: Gargiulo ’99 – Stopani ‘ – cd d

VIAGGI AVVENTUROSI

Durante i viaggi, nell’oltrepassare regioni soggette a diverse autorità, per i pellegrini vigeva la regola della esenzione di dazi e pedaggi. Il papato sollecitava i vescovi per la concessione di salvacondotti e lettere di presentazione già dal X secolo.

Le soste (per un italiano un viaggio a Santiago aveva una durata di sei mesi circa) erano presso i monasteri e chiese, ove chi si trovasse in condizioni di malattia o difficoltà trovava assistenza. Qui i pasti erano essenziali: pane, vino, talvolta poca carne e verdura di stagione. I ricchi viandanti, con i loro lasciti, bilanciavano la gratuità verso i poveri.

L’aspetto della sicurezza dei pellegrini è curato anche sotto il punto di vista pastorale: il Concilio Lateranense dell’anno 1123 scomunica chi molesta o deruba i pellegrini. Nella costituzione “Omnes peregrini”, del Concilio ci sono una serie di predisposizioni per la salvaguardia dei pellegrini. Nel 1303 anche papa Bonifacio VIII scomunicherà chi assalta, spoglia, sequestra, deruba i viaggiatori.

Nei secoli XIV e XV provvedimenti più strettamente militare saranno adottati contro i briganti che minacciavano i viandanti.

Il periodo per il pellegrinaggio era quasi sempre scelto in funzione della distanza, solo i ricchi potevano coprirla con l’uso di cavalli. Negli Annales Stadenses è consigliata la tarda estate, quando è facile il pernottamento all’aperto ed possibile trovare frutti e verdura spontanea o a basso costo. Talvolta ci si impegna in piccoli lavori occasionali nei campi in cambio di cibo. Tra le strade si scelgono sempre quelle più frequentate, per avere più informazioni e per la sicurezza del camminare in compagnia.
Per avere un’idea del tempo di percorrenza ecco alcuni esempi: un italiano che decida di andare in pellegrinaggio a Santiago di Compostela sa che impiegherà, tra andata e ritorno, tra i cinque e i sette mesi circa; il viaggio Parigi Roma è di cinquanta giorni, dei quali venti, se percorsi a cavallo o su carro, dalle Alpi; chi può dire quanti non hanno raggiunto la meta e sono periti in cammino ?
Valga per tutti l’alta riflessione di Paolo Diacono: ” chiunque si avvii tranquillo alle estremità del mondo per venerare le reliquie di Pietro vada pure sicuro perché sotto tale protezione né le armi dei briganti né le avversità del tempo dovrà temere” (cit in Brezzi ’75).

Cfr.: Zecchino ’99 – Miglio ’99 – Brezzi ’75 – Stopani ’91


NEPI, EUROPA.

Lungo gli itinerari si forma e si diffonde la cultura dell’intera Europa. “il viaggio nel medioevo – scrive Oldoni – ha solo due fortissimi ragioni: la cultura e la fede”.
Nell’XI secolo, ad esempio, il matematico Lorenzo d’Amalfi va da Montecassino a Praga per conoscere e confrontarsi con le teorie dei suoi colleghi”
Nei percorsi verso Santiago, Gerusalemme, Roma, in Stati tanto diversi tra loro, gli abitanti, e le loro storie, si mescolano; gli stranieri portano leggende che mettono in risalto i valori comuni a tutto il mondo feudale: la fedeltà al sovrano, il coraggio cavalleresco, la difesa della fede cristiana. Le stesse leggende si alimentano con nomi e fatti assorbiti dai luoghi che toccano. Un esempio tra mille è costituito da Sutri: situato proprio sul tracciato della Via Francigena, in molte chanson entra nelle storie del Ciclo Carolingio; nella chanson “Enfaces d’Ogier” Sutri e detta Città natale del paladino di Carlo Magno Orlando.
La Chanson de Roland narra le imprese e la morte del paladino Rolando (altrimenti chiamato Orlando).La storia firmata da Turoldo raccoglie diversi brani di una stessa epopea, trasmessi per via orale; la forma scritta della Chanson dovrebbe risalire alla II°metà del XI secolo.
Echi della diffusione della Chanson de Roland sono presenti nella iscrizione del 1131 nel portico della Cattedrale nepesina.
Gli storici guardano con interesse a questa iscrizione per il patto ivi contenuto tra i rappresentanti del popolo (consules) e i cavalieri (milites): una prima forma di autogoverno come se ne trovano in Italia all’epoca della nascita dei liberi comuni (ad esempio Roma è libero comune, con Senato eletto, dopo secoli, nel 1143).
Di particolare nota è la pena prevista per chi infrangerà il patto stabilito: essa ricalca quella narrata nella Chanson de Roland, inflitta al traditore Gano di Magonza, espressamente nominata nell’iscrizione: la cavalcata su un’asina ….
Ci preme considerare, a parte la vicinanza temporale con la forma scritta della Chanson de Roland (la quale risale alla seconda metà dell’XI secolo) che quella pena doveva essere ben nota se è finita in nel patto pubblico della città di Nepi riassunto dall’iscrizione.
Uno studioso del secolo scorso (P.Rajna), osservando che il nome Gano (nella scritta nepesina “Galenonem”) presenta una forma comune a quella spagnola, così conclude il suo saggio: “… (si può presumere) che questo nostro Galelonem sia stato importato a Nepi da gente che aveva peregrinato a Santiago di Compostela e che aveva fatto stazione – come era prassi – a Roncisvalle”.

Cfr.: Rajna 1886-87 – Oldoni ’99 – Brunetti ’99 – D’Onofrio ’99 – Aini ’99


FINE DI UN’EPOCA

All’approssimarsi della fine del 1200 si diffondono in Italia e nel cuore dell’Europa presagi terrificanti; dopo il violento terremoto del 1298 a Rieti si ricordano le profezie di Arnaldo di Villanova sulla fine del mondo.

Nel 1299 il Concilio di Beziers denuncia in uno dei suoi canoni, quelli che annunciano la fine del mondo e il tempo prossimo, se non già presente, dell’Anticristo.

Il nuovo secolo era atteso con trepidazione. Gioacchino da Fiore e Ottone di Frisinga lo consideravano un “inizio” universale. Lo stesso Dante (nel Convivio) scrive “siamo già all’ultima etade del secolo e attendiamo veramente la consumazione del celestiale movimento”

“Le profezie di Gioacchino da Fiore – scrive Rops – non erano state giudicate dal Concilio Lateranense; secondo la concezione tripartita della storia e dell’umanità egli annunciava che dopo la rivelazione del Padre, e poi quella del Figlio, sarebbe venuta quella dello Spirito santo, l’ultima, in cui tutto sarebbe stato perfetto, ogni sozzura sarebbe scomparsa, e si sarebbero compiuti i precetti del Vangelo Eterno. Preciso, Giocchino aveva fissato nell’anno 1260 l’inizio del regno della Terza Persona, il quale non sarebbe terminato che alla fine del mondo. Le idee si erano diffuse nella Cristaianità intera, a cominciare prorpio da quell’anno erano state riprese da alcuni francescani che si chiamavano gli Spirituali.(…) Nel suo breve pontificato Celestino V autorizzò gli Spirituali a formare un ramo a parte dell’Ordine Francescano, ma Bonifacio VIII annullò l’autorizzazione e ordinò loro di ritornare all’ovile. Moltissimi si rifiutarono.” (Rops ’63)
Gli Spirirtuali (chiamati “fraticelli”) vivono una grande esaltazione, tra l’altro tradotta in Laudi da Jacopone da Todi, per un cristianesimo più puro, fino a lanciare i peggiori insulti contro la Chiesa e ad allearsi con i nemici di Bonifacio VIII, i Colonna.

Cfr.: Frugoni ’99 – Rops ’63 – D’Onofrio ’99

I GIUBILEI

Così al termine del 1200 si sparse la voce che a Roma, in vista del “nuovo inizio”, ci sarebbe stata una grande indulgenza, e cominciarono a giungere nella città migliaia e migliaia di persone durante le feste di Natale.
Papa Bonifacio VIII (molto duro in passato con le iniziative ispirate dagli spirituali) attese quasi due mesi prima di pubblicare la Bolla ” Antiquorum habet fida relatio”, nella quale, dopo avere compiuto le ricerche opportune e avere addirittura individuato superstiti centenari della fine del 1100, indisse un anno di perdonanza e concesse l’indulgenza plenaria a chi ( nel periodo da Natale 1299 a Natale 1300), dopom essersi confessato, avesse visitato in Roma le Basiliche degli apostoli S. Pietro in Vaticano e S. Paolo, per trenta volte se romani, per quindici se stranieri.

Inizia il Giubileo.
“… per le regioni d’Italia, dell’Ungheria e Alemagna, cui anche in altri tempi è più famigliare il pellegrinaggio degli apostoli, fulmineamente acquistando vigore dall’indulto secolare, folle di gente si avviano sull’istante a caterve verso Roma così numerose, da lasciare dovunque passino impressione di un esercito o di uno sciame.”
(Iacopo Gaetano Stefaneschi, diacono di S. Giorgio in Velabro,”De centesimo seu Jubileo anno liber”, cit.in Frugoni ’99)

E Dante racconta in una pagina della Divina Commedia:

“Come i Roman per l’essercito molto,
l’anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo colto,

che dall’un lato tutti hanno la fronte
verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro;
dall’altra sponda vanno verso il monte.”
(Inferno, XVIII, 28-33)
Inizialmente il giubileo è stabilito ogni cento anni.
“Anno centenus Rome semper est Jubilenus,
Crimina laxantur cui penitent ista donantur,
Hoc declaravit Bonifacius er roboravit”
Il centesimo anno a Roma è sempre giubileo,
Le colpe sono rimesse e a chi si pente sono condonate.
Questo dichiarò e confermò Bonifacio.

(Silvestro di Adria, scittore della Cancelleria del Papa, Circolare di accompagnamento della Bolla papale, cit in Frugoni ’99)


Cfr.:Brezzi ’75 – Frugoni ’99


COSA VUOL DIRE “GIUBILEO”?

La parola Giubileo deriva dal latino iubilaeus con la quale si indicavano “le grida di gioia della gente di campagna”. Più antico è il termine Jobel che, nella Bibbia, indicava l’ariete, il montone guida del gregge.

Nel Levitico XXV vi è la descrizione dell’anno del Jobel: ogni 50 anni (7 volte 7 anni) l’israelita torna in possesso della terra dei suoi padri (se l’avesse venduta per bisogno), i debiti sono cancellati, gli schiavi tornano liberi; il 50° anno era annunciato dal suono di corni di montone. Così fu detto anno del Jobel.
Ecco una tavola sinottica esplicativa:


Iubilum – Giubilo – GIOIA
Iubilare Giubilare
(latino) (italiano)

Jobel Iubilaeus Giubileo
(dalla Bibbia) (trad. S.Girolamo) (italiano)


Cfr.: Zagnoli ’99

BONIFACIO VIII E NEPI


Non ancora papa risulta un suo intervento “come pacificatore” a Viterbo e Nepi, nel periodo durante il quale, attorniato dai nipoti, era occupato a “comperare castelli, ricevere investiture, contrarre matrimoni, occupare alte magistrature cittadine” (Falconi ’72).
All’indomani della scomunica gettata sui Colonna (contro i quali indirà perfino una crociata) la città di Nepi è coinvolta nello scontro; infatti il 3 ottobre 1293, a causa delle lotte intestine, delle oppressioni baronali e della perdita dell’antico splendore, Nepi si era trovata indotta a vendersi al Cardinale Colonna Pietro (Gregorovius).

Così nell’estate 1297 l’esercito fedele al Papa attaccò le rocche dei Colonna: “Sciarra e Giovanni Colonna di S.Vito resistettero valorosamente agli assalitori” ma, senza l’aiuto dei Signori di Vico, fu conquistata con la forza e assoggettata al papato. Bonifacio VIII la concesse in feudo agli Orsini.

Cfr.:Falconi ’72 – Gregorovius ’88 – Lucchesi ’85

VITA DA “ROMEI” – MANGIARE

Gli itinerari dei pellegrini, ormai noti in tutta Europa, durante il primo giubileo fiorivano di osterie improvvisate, le stesse abitazioni private “la maggior parte … davano alloggio, vitto e bevande a pagamento” (da Cronache Parmensi, in Frugoni ’99). Per quell’anno si impose l’obbligo, per i pellegrini agiati che giungevano al centro di Roma con le cavalcature, di portarsi i rifornimenti di foraggio. Tutta l’economia cittadina era messa a dura prova dalla massa di persone che si riversava per le sue vie.
Qualche anno più tardi, nel 1398, lo “Statuto del Gabelliere maggiore del popolo romano” vigilava, tra l’altro, sui prezzi dei generi alimentari, che non salissero troppo, e sulla misura del vino, che fosse più uniforme possibile.

Alcune curiosità: da testimonianze e documenti del tempo si può affermare che il pasto più diffuso nelle bettole era la trippa; a Roma nel giubileo del 1450 “erano 1022 osterie che tengono insegna fuori. E senza insegna anche un gran numero di più.” (Rucellai, Zibaldone, cit. in Ravaglioli ’98).

Questi due documenti inediti documentano alcune iniziative prese a Nepi riguardo i Giubilei:

Cfr.: Frugoni ’99 – Zecchino ’99 – Ravaglioli ’98


VERSO LE CATACOMBE

Se, come abbiamo visto, il pellegrinaggio è anche ripercorrere le tracce di ci chi ha preceduto nel cammino della vita cristiana, le catacombe, luogo principale di esempio di fede, sono da subito meta di pellegrinaggi. Quelle romane di S. Callisto conservano moltissimi graffiti in greco e in latino lasciati dai pii visitatori (gli esperti ne contano 370).
La catacomba di Santa Savinilla a Nepi accoglie nel buio dei suoi cunicoli altre memorie di pellegrini e giubilei.
Lo splendido arcosolio “c” della galleria A1 (secondo la denominazione Fiocchi Nicolai ’92), reca, a coronamento di una tomba, evidentemente più importante delle altre, un affresco, la figura di S. Giacomo con i segni distintivi del pellegrino: bordone e bisaccia. L’epoca delle pitture, la figura accanto è S. Giovanni, eseguite coprendone altre più antiche, va fatta risalire ai sec. XI-XII.

Nel 1460 il servizio della chiesa presso le catacombe fu assunto dai francescani, guidati da fra Bernardino da Sutri, “predicatore egregio”, già noto a Nepi. Costui, nel 1492 fece costruire un collegamento a volta tra la chiesa e le gallerie.
Il monumento funebre, nei secoli mai dimenticato dai nepesini, conoscerà alterne vicende, tra le quali la demolizione della chiesa soprastante per decisione del Duca Pier Luigi Farnese, con la conseguente pseudo-invenzione delle reliquie (anno 1540).

Tra il 1576 e il 1600 una piccola comunità di frati Cappuccini vi svolge il suo prezioso lavoro spirituale, specialmente nel 1600 “per il continuo passaggio de’ frati et pellegrini che vanno a pigliar il santo Giubileo”.

Nel 1675, in occasione del giubileo, il vescovo Cardinal Giulio Spinola concede una indulgenza particolare a coloro che avrebbero visitato le catacombe il 22 Luglio.
L’area circostante verrà destinata a cimitero dopo l’unità d’Italia (1870).


Cfr.. Fiocchi Nicolai ’92 – Miglio ’99 – Fagioli ’77


“QUALE STRADA VUOI SCEGLIERE ?”

Le strade che Roma aveva tracciato per tutto l’impero per scopi militari e che, col passare dei secoli, sono ormai in rovina, vengono rinverdite dai pellegrini. Sulle strade medievali, accanto ai fedeli in cammino, si incontrano mercanti e uomini d’affari. Nella collaborazione tra questi si traggono energie, finanziamenti, vigilanza, ecc., per riparare vie e ponti.

Per l’avventura di un viaggio in paesi stranieri ci si avvale di “carte stradali” e “guide” redatte da chi, compiendo il viaggio, ha raccolto informazioni sui migliori itinerari e luoghi di sosta (grandi promotori delle guide per i pellegrini sono stati nel medioevo gli abati di Cluny del X e XI secolo ) .
Si conoscono diversi itinerari per raggiungere Roma, tutti, quasi al termine, transitano nel territorio nepesino. Vediamoli brevemente:

– 1 – Percorso di Sigerico, arcivescovo di Canterbury, da Roma alla sua sede (anno 990 circa). Sigerico si reca a Roma per ricevere il pallio, elenca 79 “submansio” da Roma alla Manica e codifica una via cosiddetta Francigena in quel tempo in uso e ben nota ai viaggiatori.

Che cos’è un PALLIO?
Nei secoli medievali per la prima nomina arcivescovile il Vescovo doveva personalmente essere presente a Roma (è il caso di Sigerico). Durante la cerimonia in S. Pietro si consacravano delle strisce di lana decorate con croci. La lana era benedetta il giorno di S. Agnese; le strisce, in precedenza messe nell’altare della confessione, sulla tomba del Principe degli Apostoli, erano distribuite dal papa con le parole: “Accetta il Pallio, assunto dal corpo Santo di Pietro”. In questo modo S. Pietro era garante dell’unione dei nuovi vescovi alla autorità papale e nel solco della vera fede. (Cfr.: Kessler ’99)

– 2 – Itinerario di Nikulas di Munkathvera, abate d’Islanda (anni 1151-54); l’abate compie un viaggio a Roma e da lì in Terrasanta, scritto in norvegese antico. Luogo di partenza: Thingor in Islanda.

– 3 – Itinerario di Filippo Augusto, Re di Francia, da Corfù, di ritorno dalla III° Crociata (anno 1191).

– 4 – Cartina da Londra alla Terra Santa, di Matthew Paris (anno 1253), illustrazioni delle diverse strade che passano per Roma.

– 5 – Le vie per Roma contenute negli “Annales Stadenses” dell’autore Alberto (anno compreso tra il 1240 e il 1256). Stade è una città a nord di Brema, accanto alla penisola Jutland. In forma di dialogo tra due giovani monaci chiamati Tirri e Firri. E’ stato definita la più completa guida per Roma nel medioevo.
– 6 – Itinerari del diario di viaggio di Eudes Rigaud arcivescovo di Rouen, da Rouen a Roma e ritorno (anno 1254)

– 7 – Percorso detto Hauksbok a uso dei norvegesi (primi anni del secolo XIV°.

– 8 – Itinerario di Barthélemy Bonis di Montauban (anno 1350). Scritto in lingua d’oc registra le tappe di viaggio del ricco pellegrino verso Roma per ringraziare di essere scampato alla terribile peste nera, che nel 1348 colpisce tutta l’Europa.

– 9 – Percorso di Bertrandon de la Broquière, nobile di Francia (anno 1432) dalla Francia alla Terrasanta.

– 10 – Itinerario di un anonimo francese da Venezia a Roma (anno 1480)

Come nasce la via Francigena ?

Il valico del Monte Bardone, oggi Passo della Cisa, era frequentato dal tempo dei longobardi. Paolo Diacono nella sua Historia dice che è la strada per entrare nella Tuscia. I longobardi, nella necessità di collegare diverse parti del Regno, usano strade secondarie, rispetto alle consolari romane, ma situate in territori sicuri. Il frazionamento politico dell’Italia aveva reso inservibile la grande viabilità romana. Dopo i longobardi, sotto Carlo Magno, la via del monte Bardone divenne più importante e nacque il nome di Via Fancigena.
La via è parte della rete di pellegrinaggio che converge verso Roma attraversando Stationes, ovvero “luoghi deputati alla venerazione di Santi e di reliquie d’importanza locale. Ad ogni santuario era dedicata una feria, giorno di festa con relativo mercato; ogni santuario aveva le sue reliquie, i suoi miracoli, la sua specialità terapeutica, le sue leggende agiografiche o anche laiche (…)” (Cardini ’97).

Cfr.: Stopani ’98 – Cardini ’97

ALCUNI FATTI SINGOLARI

Nella sterminata letteratura che tocca il gesto del pellegrinaggio (e quindi del Giubileo) si sono scelti alcune pagine per un sommario esempio di “varia umanità”.

Un pellegrino in viaggio di penitenza vende i suoi vestiti per comperarsi tanto vino quanto basta per ubriacarsi (in Alphabetum narrationum, n. 286, inizi 1300)

Un santo prelato converte una meretrice e acconsente ad accompagnarla nel pellegrinaggio a Roma; durante il viaggio non la abbandona mai per evitare molestie alla sua bellezza. Al ritorno, ormai entrata nello stato monacale, i due si innamorano e diventano amanti (Stefano di Bordone, Tractatus n. 456, inizi 1300).

“La prima via, chi vuole perdono di peccati, ne va a piedi dal prete; or se non se’ confesso e pentuto, or che ti vale andare a Roma ?”
(dalla predica del 25 maggio 1305 di fra’ Giordano da Pisa).


Cfr.: Delcorno ’99
AMERINA : LA VIA PER NEPI

La viabilità nel territorio attorno a Nepi subisce nei secoli modifiche anche sostanziali per cui non si può indicare un tracciato con continuità d’uso. A titolo di esempio si ricordi che la deviazione a Viterbo della Francigena, nell’XI° secolo, dirotta il flusso dei pellegrini prima verso Ronciglione (famosi i graffiti dei pellegrini nella chiesa di S. Eusebio, dei secoli VI-VII fino al XV secolo) e poi, attraverso la strada “Corta di Ronciglione” verso Nepi.
La via Amerina, fra i tracciati della Via Flaminia e della Via Cassia, è aperta dai romani nel 241 a.C., giungeva a Perugia, Gubbio e sull’Adriatico. Dopo il periodo romano di certo la Via Amerina fu molto importante nel periodo delle guerre greco-gotiche (anni 535-553); Procopio di Cesarea definisce Nepi “fortezza”.
Nell’epoca longobarda, secoli VI, VII, VIII, fu la strada principale per i collegamenti tra Roma e Ravenna, unica striscia di territorio rimasta in mano ai Bizantini.
Nepi compare nel cosiddetto Itinerario dell’Anonimo Ravennate (nell’opera Cosmographia), redatta alla metà del VII secolo dove vengono elencate le località da Ravenna a Roma: (…) – Ameria -Ortas – Faleris – Galenese – Nepe – Bacanis – Beios – Careias – Roma.
Dal IX-X secolo perde via via importanza come via di grande comunicazione fino a diventare, con le mutate condizioni politiche, strada di collegamento locale. Purtroppo, eccetto le poche testimonianze, non sono noti documenti di antichi pellegrinaggi che codifichino l’uso della Via Amerina e la “tappa Nepi”. Tuttavia è lecito supporre che, fino alla stesura della carta (XII secolo), proprio nel centro di Nepi sia transitato chi provenisse dalle regioni attorno a Perugia, e nel suo territorio (Gabelletta, Settevene, Baccano) coloro che invece giungevano da nord con la Francigena- Cassia.
Tabula Peuntingeriana
L’antica cartina è una copia medievale (del 12° secolo) di un documento dell’età imperiale romana. Nella Tabula (un rotolo di pergamena lungo sei metri e settantacinque cm e largo trentaquattro cm, costituito da undici fogli uniti insieme) si può individuare il tracciato della Via Cassia e della Via Amerina, che da essa si dirama dopo Vacanas (Baccano).
Cassia: Roma- ad Pontem – ad Sextum – Veios – Vacanas – Sutrio ecc.
Amerina: Vacanas – Nepe (miglia 8) – Faleros (m.5) – Castello Amerino (m. 13) -Ameria (m. 9) – ecc.
Le distanze sono in miglia romane (1478 metri circa); nelle vie pubbliche romane erano previste ogni 10-15 Km le stazioni di cambio e di sosta breve (Mutationes), e ogni 6-8 di queste una Mansio, più grande e con diversi servizi, dopo l’epoca romana l’impianto viario resterà immutato.
Viene detta Peuntingeriana dal nome del Cancelliere Konrad Peuntinger che la ebbe in eredità nel 1508. Oggi è a Vienna.

Cfr.: D’Orazi ’97 – Penteriani ’99 – Santella ’97 – Cerri 1999 – Morganti ’91 – Dalessandro ’93

MONTEROSI *

La storia di Monterosi, a pochi chilometri dal centro di Nepi, è legata alle vicende salienti dell’attività dello Stato Pontificio e agli eventi storici che si svolsero sulla Via Cassia-Francigena. Il nucleo originario dell’abitato si trovava più in alto rispetto a quello attuale; sulla Cima di Monte Lucchetti (364 s.l.m.) vi era una rocca con fortilizio (Tomassetti, Campagna Romana, Vol. III, pag. 175-179).
Il punto sorvegliava l’ampia area compresa tra i Cimini e il Soratte e costituiva uno snodo viario tra la Cassia sutrina e la Cassia Cimina, proprio sul flusso dei pellegrini romei da e per Roma.
Negli ultimi secoli la Cassia, nei pressi di Monterosi, subisce mutamenti nel tracciato e si adatta a nuove scelte di percorso. Infatti dal medioevo (e fino al XVIII secolo) il percorso originario della Cassia in direzione nord, passava all’interno del paese, per deviare, in prossimità dell’antica posta (oggi P.le La Marmora), verso la sinistra del lago, giungendo sino a loc. S.Martino, per ricongiungersi, in loc Muracce, alla Cassia attuale (Km 44.500). su questo percorso è ancora possibile notare l’antica pavimentazione stradale.
L’accoglienza che i pellegrini ricevevano passando per Monterosi la desumiamo dai nominativi delle locande, alberghi ed hosterie presenti: già nel XV secolo si ha notizia della locanda S. Giorgio annessa al Palazzo abbaziale (British School at Rome; Ward Perkins, Monterosi: the etruscan and roman period). Ecco altri pittoreschi nomi: albergo della Campana, osteria dell’Orso, Locanda della Corona, Osteria S. Barbara, osteria dell’Oca Bianca, Locanda del Sole, osteria Terry prospiciente il laghetto. L’assistenza sanitaria ai pellegrini era assicurata da S. Maria dell’Ospedale (M.E. Mallet, University of Warwick, England, Medieval and Later History of Monterosi – Agrestini Mario, Il paese del Cardinale -G. Evelyn Hutchinson, Translations of the America Philosophical Society, Ianula: An account of the History and development of the Lago di Monterosi,Vol. 60, Philadelphia, 1970).
Monterosi nel 1538 diviene stazione di posta permanente accrescendo così il proprio ruolo nel transito sulla Via Cassia sutrina e Cimina. Tralasciando i numerosi episodi storici registrati negli annali del paese, riportiamo uno degli episodi più dolorosi, che nel medioevo coinvolsero i pellegrini diretti a Roma per i Giubilei: “Bande di predoni, capitani delle città vicine uccidevano, derubavano, grassavano gli inermi e devoti pellegrini romei che si recavano o ritornavano da Roma in prossimità dell’abitato di Monterosi.
Tuttora Monterosi è luogo di sosta di pellegrini più eterogenei provenienti dai più diversi paesi europei e italiani, che continuano a calcare con i loro passi il sentiero spirituale che conduce a Roma Capitale della Fede.

* Scheda di Mauro Focaracci, Pres. Ass. Biblos, Monterosi.


S. ROCCO

La fama di S. Rocco (solo in Italia ci sono più di tremila chiese e cappelle) è dovuta al suo ruolo di protettore dalla peste, le cui ripetute epidemie sconvolgevano l’Europa medievale.
Nella chiesina di Nepi ,costruita per voto popolare dopo la peste del 1467, il bellissimo affresco racconta gli episodi della vita di S. Rocco.
D’altro canto Rocco è rappresentato quasi sempre in abiti da pellegrino (si deve alla sua memoria l’uso di chiamare il mantello anche “sanrocchino”), perché compì un lungo pellegrinaggio dalla Francia (ove era nato a Montpellier) a Roma (vi giunse nel 1368). Durante il suo cammino compì numerosi fatti prodigiosi, tra i quali i famosi miracoli di Acquapendente, e la sua fama crebbe mentre era in vita..
Di famiglia nobile, venduti i suoi beni ai poveri, si fece pellegrino dedicandosi ai malati di peste: da allora, per ogni epidemia è invocato a soccorso.

Cfr.: Cattabiani ’93 – Relazione Restauro ’90

1350

Francesco Petrarca partecipa a una delegazione presso il papa Clemente VI per far abbreviare il tempo tra un giubileo e l’altro a 50 anni, a causa, si diceva, della brevità della vita umana e per una maggior rispondenza allo Jobel biblico.
Dopo lunghi tentennamenti, il papato risiede in questi anni ad Avignone, in Francia, si pubblica la Bolla di indizione dell’Anno Santo il 18/8/1349, con nuove regole. Una delle più importanti è l’inserimento della basilica di S. Giovanni in Laterano nelle visite da compiersi per ottenere l’indulgenza.
Il giubileo del 1350, l’unico ad essere celebrato senza papa in Roma, presenta ai pellegrini una città povera, trascurata e non più religiosa di altre, così che Brigida di Vadstena, del casato dei cattolici re di Svezia, (poi santa) giungendovi in penitenza, esclama al direttore spirituale: ” Maestro Pietro, è questa Roma ?”. (Cfr Natalini ’99)


1400
Il papa Urbano VIII, in considerazione del numero degli anni vissuti da Gesù Cristo – 33 anni – pensa di ridurre la cadenza dei giubilei, Essendo già il 1389 si promulga per 1390, con il papato, nel frattempo, tornato a Roma.
Con questo terzo giubileo, celebrato da Bonifacio IX (per la morte di Urbano VI) si impone l’obbligo di visitare quattro basiliche maggiori, inserendo la chiesa di S. Maria Maggiore dedicata alla Madonna.

LA PORTA SANTA

La notizia della consuetudine di tenere una porta aperta solo per l’anno del Giubileo è data per primo da Nicola della Tuccia nella sua “Cronica di Viterbo”: ” Papa Martino fe’ aprire la porta santa di S.Joanni” (giubileo del 1423, cit. in Ravaglioli ’98).
In seguito le porte aperte solo per l’anno santo saranno una per ogni basilica. L’origine stessa della simbologia della “porta” deriva dalle parole stesse di Gesù, porta della Salvezza, fatte proprie dalla chiesa cattolica.

Papa Niccolo V (1447-1455) fissa la ricorrenza ogni 25 anni, per permettere a chiunque, nella propria esistenza, di usufruire della indulgenza plenaria.

Nel 1475, nella bolla di indizione, il Giubileo è chiamato ANNO SANTO (Papa Sisto IV). L’intervallo così stabilito prosegue fino ai nostri giorni.


1500 PAPA BORGIA – ALESSANDRO VI

Al papa che ha unito il suo nome a Nepi si deve la definizione di un cerimoniale applicato fino ai tempi attuali. Il documento che lo attesta è la Bolla “Inter curas multiplies” del 20 dicembre 1499.
Al museo del Louvre è conservato il martello da cerimonia da lui usato per aprire la “porta santa”. Fu questo papa a estendere a tutte le quattro basiliche patriarcali (S. Pietro, S. Giovanni, S. M. Maggiore, S. Paolo) la consuetudine della porta santa.

Per assicurare il viaggio verso Roma ordina ad Acquapendente di vigilare sul transito dei pellegrini sulla francigena, anche combattendo i briganti che la infestavano.

1525

A S. Giovanni in Laterano apre la porta Santa il Cardinale Alessandro Farnese, che pochi anni dopo, diventato papa Paolo III, darà un tocco rinascimentale alla nostra città (fondando per il figlio il ducato di Castro e Nepi fece erigere su progetto di A. da Sangallo il Giovane, tra l’altro, le stupende fortificazioni che ancora oggi si ammirano).

PELLEGRINAGGI “MINORI”

Accanto alla dimensione del grande pellegrinaggio verso mete distanti anche migliaia di chilometri, vi è tutto un mondo di pellegrinaggi particolari e locali, iniziati per alcune circostanze significative. La pratica, a noi nota da antiche fonti, giunge praticamente fino ai giorni nostri; alcuni esempi (di quelli diretti alle catacombe nepesine abbiamo accennato in precedenza) sono stati tratti da quello straordinario documento chiamato Diario Nepesino di Antonio Lotieri de Pisano, prete e notaio:
– “Mense Augusti (1466): die xxiiii, in qua die est festum sanctorum Tholomei et Romani. Fuerunt in Nepe multa generationem gentium et fecerunt magnum festum”
– “Mense Julii (1467), die octava: Iverunt a sanctam Mariam de Genazzano multi de Nepe …”
– “Mense septembris die XVI. Gi la processione a Genazzano, et portaro uno calice de arcento et xxxxvi libre de cera” (dal 1463 anche Nepi fu colpita dalla peste e, la pratica del pellegrinaggio a Genazzano era molto diffusa).


Cfr: Levi ‘ xxxxxxx

L’INDULGENZA: COS’È ?

L’indulgenza plenaria giubilare iniziata nel 1300 è diversa dalle precedenti soltanto per la qualità dell’opera richiesta; nel medioevo era nota e praticata l’indulgenza riservata al crociato in partenza per la peregrinatio armata in Terra santa. Altro esempio, dopo la vicenda di S. Francesco, era quella della Porziuncola, dal 1296.
Nel basso medioevo la concessione delle indulgenze degenerò a tal punto da apparire un vero e proprio commercio: a chi faceva doni alla chiesa veniva ridotta (o cancellata) la penitenza. Per la ridefinizione delle indulgenza bisognerà attendere il Concilio di Trento.
L’indulgenza giubilare è concessa ai pellegrini che visitando le Basiliche di Roma (compiono quegli atti prescritti dalla Bolla d’indizione).

Secondo quanto insegna la Chiesa cattolica l’indulgenza cancella la PENA TEMPORALE, purificando le conseguenze del PECCATO.


La Pena Temporale in relazione ai
peccati commessi, deve essere
purificata, sia prima che dopo la morte
(cosiddetto purgatorio). CCC 1472.

Il peccato ha due conseguenze:
1- pena eterna se il peccato è
grave, e si cancella con la
confessione.
2- pena temporale, può rimanere
anche dopo la confessione.

L’indulgenza plenaria, nella chiesa moderna, può essere ricevuta, compiendo determinati gesti, ogni giorno, indipendentemente dai giubilei.

CONDIZIONI

Le condizioni per ottenere l’indulgenza giubilare sono: che la persona sia battezzata, che non sia scomunicata, e abbia l’intenzione di riceverla; inoltre: la confessione, la comunione e aver compiuto le opere prescritte dalla bolla di indizione.
Per il Giubileo del 2000 è un’opera da scegliersi tra:
1 – opera di pietà (visita in pellegrinaggio e preghiera in una Basilica a Roma o in terrasanta o in una chiesa cattedrale di qualsiasi parte del mondo).
2 – opera di misericordia (scegliere tra:visita ai malati, sodtenere con contributo opere di assistenza, dedicare il tempo libero ad attività comuni).
3 – opera di penitenza, almeno per un giorno e devolvendo una somma proporzionata ai poveri (scegliere: astinenza dal fumo o dall’alcol o da altre cose superflue, digiuno, astinenza dalle carni o da altri cibi stabiliti dai vescovi).


Indulgenze particolari erano invece concesse negli anniversari delle dedicazioni e consacrazioni delle chiese o presso santuari o presso le catacombe.


Cfr.: Frugoni ’99 – Tornielli ’99 – Valente ’99

LA GABELLA

Nelle varie epoche storiche, all’importanza strategica costituita dalla fortezza di Nepi è strettamente collegata una rilevanza economica derivante dall’essere attraversata nel suo territorio da vie importanti verso Roma come Cassia e Amerina; è la dote economica unita al prestigio di essere una delle più antiche diocesi d’Italia, a renderla preziosa ai potenti che l’hanno conquistata con guerre o con diplomazia.

In questa ottica un dato importante è costituito dal diritto di riscuotere pedaggio, esercitato da Nepi così a lungo da lasciare traccia fino ai nostri giorni nella toponomastica: una località nei pressi della via Cassia conserva il nome “Gabelletta”

Il 16 dicembre 1589 papa Sisto V conferma, con un breve alla comunità di Nepi, il diritto di riscuotere la gabella o tassa di pedaggio da coloro che attraversassero il territorio nepesino con mercanzie, o che portassero generi alimentari a Roma.

Cfr.: Tomassetti ’13/’77

1550

In questo anno giubilare La Confraternita della SS Trinità dei Pellegrini e dei Convalescenti, fondata da S. Filippo Neri, inizia l’opera di accoglienza. I pellegrini erano accolti alle porte della città dalla Confraternita (e dalle altre confraternite di Roma), “all’ospizio venivano controllati gli attestati che i pellegrini avevano richiesto alle autorità religiose dei luoghi di provenienza. Chi li avesse persi o non li aveva doveva richiedere un attestato ad un sacerdote confessore” (Lazzerini ’95). Nel giubileo successivo -1575- la confraternita di S. Filippo ospiterà 174.500 persone.

S. Filippo Neri è il propulsore di una pratica annuale chiamata “Visita alle sette chiese”, da svolgersi nei giorni di carnevale; iniziava il mercoledì grasso a S.Pietro e terminava a S. Maria Maggiore (tappe intermedie: S. Paolo, S. Sebastiano, S. Giovanni in Laterano, S. Croce in Gerusalemme, S. Lorenzo). (Cfr.: Lazzerini ’95)

1575

S. Carlo Borromeo, che ha lasciato una traccia nella Storia della Chiesa del post Concilio di Trento, ha legato il suo nome con Nepi. Già Cardinale, ad appena 22 anni, è amministratore apostolico della diocesi di Nepi e Sutri (1564). La rendita della diocesi gli fu affidata dal pontefice suo zio, papa Pio IV. A seguito della supplica dei canonici nepesini la destinò al finanziamento di alcuni lavori al pavimento della Cattedrale di Nepi.
L’anno del Giubileo si trovava a Milano e il tragitto verso Roma lo percorse come pellegrino, visitando i santuari. Su incarico del pontefice Gregorio XIII, apre la porta Santa di S. Giovanni in Laterano, si conserva ancor oggi il martelletto di cerimonia con il suo nome inciso.
“Visitò a piedi le sette chiese più volte e quasi ogni giorno faceva genuflesso la scala santa. Accompagnava le sue orazioni e digiuni con larghe elemosine ai poverelli di Cristo (…) Quando passava per le strade ognuno usciva a vederlo e tutti gli facevano riverenza (…) Per l’esempio di tante opere sante che si fanno in Roma sono tornati spontaneamente alla fede cristiana alcuni tramontani che erano a quella per i loro errori stranieri” (Giovan Pietro Giussano, cit in Brezzi ’75)

In questo anno giubilare è nominato vescovo di Nepi (20-7-1575) Alessio Stradella, zio di Alessandro, uno dei più apprezzati talenti musicali italiani.
Il vescovo Stradella eresse il primo Seminario di Nepi “nel quale siano otto putti con il suo maestro di grammatica e di musica” (cit. in Fagioli ’86).


Cfr.: XX° Mons Gori ’66 – Storia Papi ’70 – Fagioli ’86

Giubileo 1750

Epigrafe 1750 in S.Croce, nella cappella di S.Anna e S.Luigi Gonzaga, della famiglia Melata.
1900
foto mattone giubileo in portico

1925


Lettera pastorale di S. Ecc. Mons Luigi Maria Olivares per la quaresima dell’anno 1925

OSPEDALI

Nella tradizione del pensiero cristiano l’ospitalità era l’esprimersi di quell’amore portato da Gesù Cristo. Nel II secolo si usa un termine (poi diffuso nel IV secolo) per indicare il luogo in cui i cristiani concedono alloggio gratuito ai fratelli: la parola Xenodochium. Si intendeva così distinguersi dalle locande a pagamento chiamate “pandocheia”. Il primo xenodochio fu quello del senatore Pammachio a Roma (IV secolo a Ostia).

Nei successivi secoli VI e VII si diffonde l’uso di altre parole:
-“Hospitale” cioè il luogo in cui i cristiani ospitano i “peregrini” gratuitamente (dal latino hospes che significa ospite);
-“Tabernae” o “Cauponae” cioè le locande commerciali.
In ogni caso xenodochi e ospizi erano luoghi di riposo per pellegrini eretti e gestiti nello spirito dei precetti evangelici (es. Mt 25,35-36). I monasteri codificano questo comportamento nelle “regole”; ad esempio :
– le regole di S. Pacomio e quella di S. Basilio (IV secolo) prevedono l’ospitalità “per chi bussa alla porta”;
– la regola Magistri (VI sec.) prevede la “cella Hospitum” per i forestieri;
– la regola di S. Benedetto (540-560) la prevede per i forestieri e per i poveri.
Nel secolo VIII lo xenodochio non è più solo luogo di sosta ma diventa una istituzione che provvede a una serie di gesti di carità: assistenza ai poveri, agli orfani. agli anziani, ai malati, ai mendicanti; sempre più spesso si chiamerà OSPEDALE, più familiare della parola greca.
I concilii di Tours (813) e di Aquitania (816) impongono l’accoglienza ai forestieri e ai poveri.
Nel secolo XII si conosce un nuovo sviluppo, gli ospedali accentuano il loro carattere di centri di assistenza e carità, le elemosine che ricevono non sono più finalizzate esclusivamente alla accoglienza dei viaggiatori ma sempre più spesso all’assistenza (esempio classico è l’Hospitale di S.Spirito in Sassia, sorto dalla Schola Sassone, per secoli punto di riferimento per i pellegrini germanici). In questi momenti la rete degli ospedali era una fitta catena di carità diffusa fin nelle zone più remote.
Alcune congregazioni religiose dedite all’assistenza dei pellegrini in cammino lungo gli itinerari si organizzano in nuove forme chiamandosi “ordini ospitalieri”; le costruzioni – dall’anno mille in poi – sono in genere costituite da un salone per l’accoglienza con altare per le celebrazioni eucaristiche. Tra i più noti ordini ospedalieri vi sono i Templari e i Gerosolimitani, nati in Terrasanta all’inizio del XII secolo.
Una delle chiese più importanti di Nepi, insieme alla Cattedrale, è S. Croce, che ha annesso un “ospedale”, la cui origine risale proprio ai secoli XI – XII, che presenta richiami e spunti della tradizione templare.

La chiesa figura nella raccolta delle decime (1274) per finanziare la crociata promulgata da papa Gregorio X. La decima decisa nel Concilio di Lione pro Terre Sancte subsidio era sessennale, cioè doveva essere pagata in due rate all’anno per i sei anni successivi; le rate scadevano ogni Natale e ogni 24 giugno (natività di S. Giovanni).
Una fonte, con ogni probabilità attribuibile a Nepi del 23/3/1671 ci parla di uno “xenodochium pro recipiendis infirmi et peregrini, satis commodum priorum elemosinis et largitionibus multo tempore citra erectum est competentemque pro loci qualitate fruitur redditibus.”

(A.S.V.,S.congr. Concilii relationes, 774 A – Documento raccolto dal Dott. Giorgio Felini)

Cfr. Szabò ’99 – Stopani ‘ 98 – Battelli ’46


LA META

Nei lunghi giorni di cammino il pellegrino, aveva avuto la possibilità di ritrovar se stesso, di confrontarsi con una storia che lo precede, di dare una luce diversa anche alle sue mancanze.
L’approssimarsi della città di Roma accresceva l’attesa nell’animo del pellegrino, finalmente poteva accostarsi a quei luoghi e a quelle reliquie di cui tanto aveva sentito parlare. Il biografo di Maiolo, abate di Cluny, racconta che gli occhi dell’abate erano pieni di lacrime per l’approssimarsi della visione dei Santi Apostoli. Per questo l’altura da cui scorgevano per la prima volta la città di Roma era chiamata dai pellegrini Mons Gaudii.

Il pellegrino poi si avvicinava alle basiliche e baciava la reliquia o l’immagine santa, lasciandosi invadere da quella gioia tanto attesa.
Si usava offrire sulla tomba di S. Pietro chiavi d’argento per ottenere guarigioni.

Alcuni pellegrini dopo la visita a Roma decisero di passare il resto della vita in “statu peregrinationis” in prossimità dei luoghi santi, per esservi sepolti, era considerata, infatti, una fortuna trovarsi a Roma nel momento del trapasso.
Beda il venerabile definiva così Roma: ” il luogo dove sono aperte le porte della vita eterna”.(Cfr. : van Herwaarden ’99)

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