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Le Terme dei Gracchi a Nepi.

Nepi, ricca di sorgenti naturali e di numerosi torrenti che la attraversano, si può considerare la città delle acque. La leggenda narra che Termo Larte, mentre tracciava un solco per delimitare il territorio di Nepi, 548 anni prima di Roma, dalla terra affiorò un serpente di nome Nepa (acqua in Etrusco), divinità acquatica adorata dagli antichi abitanti.

Nelle forre che circondano la città di Nepi, si nascono numerose cascate che la rendono meta di numerosi turisti in vena di escursioni e passeggiate immersi nella natura.

Oggi vogliamo parlarvi delle terme attribuite alla famiglia romana dei Gracchi (II secolo a. C.) e del loro centro termale che acquisì rapidamente una fama notevole oltre i confini del territorio. La figura più importante della famiglia dei Gracchi era Cornelia, figlia di Publio Cornelio Scipione detto l’Africano. Si sposò con Tiberio Sempronio Gracco, governatore di colonie, da cui ebbe tre figli, Tiberio nato nel 163 a.C., Gaio più giovane di nove anni e la sorella Sempronia.

Le terme si trovano in un luogo ricco di importanti testimonianze del passato, dall’epoca preistorica, poi con i falisci e successivamente con i Romani ed infine nelle vicinanze possiamo trovare la zona rurale di epoca medioevale Ponte Nepesino, con il suo castello diroccato.

Entrando nella località Graciolo, nome dato dalla famiglia romana dei Gracchi, troviamo il ponte romano che attraversa il torrente Cerreto. Scendendo più a valle ci imbattiamo nella prima cascata detta dei “sette frati”.

Per tutta la zona ci sono resti delle terme romane dei Gracchi, con testimonianze evidenti del loro genio ingegneristico con i resti ancora visibili del sistema di captazione dell’acqua.

Alcuni scavi hanno rinvenuto la presenza delle terme anche nella parte superiore con capitelli marmorei, monete, statue e tubazioni in cotto.

Lungo il torrente possiamo notare i resti di una fornace e tratti di mura “opus reticolatum o reticulatum” tecnica edilizia romana tramite cui si realizza il paramento di un muro in opera cementizia, utilizzata soprattutto a partire dalla prima metà del I secolo a.C. e in epoca augustea. Questo tipo di muratura, molto usato dai Romani, trae il nome dall’aspetto che presentano nella facciata i piccoli blocchi di pietra disposti con i giunti inclinati a 45 gradi sul piano. I blocchetti o tessere, sono tagliati in forma di piramidi tronche e posti con la base all’esterno e la parte rastremata all’interno, in modo da aderire pienamente con l’opera a sacco del nucleo murario.

Le terme Romane erano edifici pubblici dotati di impianti. Alle terme poteva avere accesso quasi chiunque, anche i più poveri, in quanto in molti stabilimenti l’entrata era gratuita o quasi. Le numerose terme erano un luogo di socializzazione, di rilassamento e di sviluppo di attività vive per uomini e donne, queste erano divise in due zone: una più povera, destinata alla plebe e una più fastosa, destinata ai patrizi. Inizialmente le donne potevano usufruirne delle terme, in orari differenti dagli uomini, oppure, quando era possibile, usavano percorsi e vasche separate. L’orario di apertura andava dal mattino al tramonto. Esigenze di pudore spinsero a riservare la mattina alle donne e il pomeriggio agli uomini. Ma col tempo questa separazione tra i sessi fu sempre meno rispettata: donne e uomini si mescolavano normalmente negli stessi spazi.

Le prime terme nacquero in luoghi dove era possibile sfruttare le sorgenti naturali di acque calde o dotate di particolari doti curative. I vari ambienti, decorati con mosaici e abbelliti da statue e da sculture, dovevano risultare gradevoli e invitare al relax. Lo sviluppo interno tipico era quello di una successione di stanze, l’Apodyterion che era il vestibolo principale per l’entrata, dove si lasciavano i vestiti in nicchie ricavate nelle pareti.

Poi si passava ad una prima stanza con all’interno una vasca di acqua fredda, la sala del frigidario, solitamente circolare e con copertura a cupola, con panche in marmo e acqua a temperatura bassa, seguita all’esterno dal calidario, generalmente rivolto a mezzogiorno, con bacini di acqua calda. Tra il frigidario e il calidario vi era probabilmente una stanza mantenuta a temperatura moderata, il tepidario, stanza adiacente al calidario in cui veniva creato un raffreddamento artificiale. Assieme al calidario vi era la laconicum, piccola stanza con temperatura molto elevata per il bagno di sudore, simile alla sauna a quella che ai nostri giorni viene chiamata la sauna finlandese, ovvero il passaggio repentino dal caldo al freddo e viceversa.

Le natationes erano invece le vasche utilizzate per nuotare. Nelle terme c’erano anche sale per i massaggi. Qui gli aliptae, cioè gli “schiavi massaggiatori”, massaggiavano e ungevano i clienti con olio profumato, mentre altri schiavi, gli alipili, depilavano le ascelle.

Le terme erano delle vere e proprie città o centri ricreativi o di aggregazione, all’interno dei quali, vi si trovavano infatti centri sportivi, piccoli teatri, locande, ristoranti con saune (thermopolium), palestre (gymnasium), sale di studio e saloni per le feste. Con la caduta dell’Impero romano, l’uso delle terme scomparve. Le città dell’Europa medievale e moderna non conobbero nulla di simile; anche per questo le condizioni igieniche dei loro abitanti erano molto inferiori a quelle dell’epoca romana, e le epidemie più diffuse. Le terme romane, infatti, avevano anzitutto un funzione igienica. Sappiamo che le abitazioni della gente comune erano abbastanza malsane, prive di acqua corrente e di servizi igienici. Le terme erano invece spazi ampi e ariosi, puliti e pieni di luce dove l’acqua scorreva a profusione. La presenza dei Romani nel territorio è ben visibile nei resti di ville, serbatoi di epoca romana sparsi per tutto il territorio, dai numerosi rinvenimenti marmorei di statue, da monete dell’epoca e dal grande anfiteatro per circa 4.000 persone con una arena di circa 2.000 metri.

Nell’arena dell’Anfiteatro e nei suoi dintorni spesso sono state ritrovate monete di metallo, tra le quali una di Tiberio Claudio, e un’altra in argento di Settimio Severo, questo fa presupporre che già dai quei tempi esisteva l’Anfiteatro. Nel territorio si possono anche ammirare alcune tombe a mausoleo che appaiono nell’area romana a partire dal II sec. a.C.; si tratta di un particolare tipo di sepolcro in cui l’altezza e le grandi dimensioni servivano ad attirare l’attenzione dei passanti sulla persona defunta. Motivo per cui erano poste ai margini di vie di comunicazione.

 

I mausolei, a camera sotterranea oppure col sarcofago sulla cima, erano sempre rivestiti materiali pregiati (pietre ornamentali, marmi, ecc) tutti materiali quasi sempre perché depredati sin dal Medioevo. Di essi rimane quindi spesso solo la massa di calcestruzzo (spesso composta da strati) e l’opera riempitiva o incerta che costituivano il nucleo non a vista dell’opera ultimata. Altre testimonianze Romane nella cittadina, sono date dalla cinta muraria e dalla vicinanza della via Amerina (240 a.C.), che collegava la “Caput mundi” con Ravenna passando per i principali centri dell’Umbria, centri di cui Ameria (da qui il nome della strada) era il primo che s’incontrava.

Più a valle ci imbattiamo in numerose grotte, di epoca preistorica e rifugio dei nepesini durante i periodi di guerra.

Lungo il torrente troviamo una galleria romana che porta ad una sorgente di acqua limpidissima.

Nella zona possiamo ammirare fantastiche cascate, numerose sorgenti solfuree e ferrose e la bellissima grotta solfurea ampliata nei primi anni ’60 dalla società Malatesta, che provocò, la scomparsa della caldara superiore.

La grotta non accessibile a causa dell’anidride solforosa che vi si accumula e dalla presenza di acqua melmosa. L’anidride solforosa è un gas vulcanico fortemente irritante e nociva per gli occhi e il tratto respiratorio: per inalazione può causare edema polmonare acuto ed una prolungata esposizione può portare alla morte. La presenza di anidride solforosa nell’aria può essere avvertita dalla comparsa di un sapore metallico in bocca, anche in concentrazioni al di sotto della soglia olfattiva. Essendo più pesante dell’aria occupa la parte bassa della grotta. E’ estremamente pericolosa e agisce improvvisamente in pochi minuti di esposizione. Da evitare se non equipaggiati e con le dovute precauzioni. All’interno della grotta si possono ammirare pareti e soffitti ricoperti di zolfo e materiale calcareo/ferruginoso, con tratti di stalattiti e stalagmiti dai bellissimi colori.

Le stalattiti e le stalagmiti che si trovano all’interno della grotta, sono formazioni calcaree minerali prodotte dal lento accumularsi del carbonato di calcio depositato dalle acque sotterranee. Il processo goccia dopo goccia con cui si formano le stalattiti è chiamato stillicidio.

Le stalattiti si sviluppano verso il basso (con velocità di circa 2 mm ogni dieci anni), ma crescono anche di spessore per depositi concentrici che producono forme grosso modo cilindrico-coniche.

Le stalagmiti si accrescono in altezza dal pavimento verso l’alto, e si formano attraverso l’accumulo del carbonato di calcio contenuto nelle gocce d’acqua che cadono al suolo.

I nomi stalattite e stalagmite hanno radici greche, infatti stalattite (stalaktòs «gocciolante») e stalagmite (stàlagma «goccia»).

Nella parte interna si possono ancora vedere le travi di sostegno utilizzate per gli scavi della galleria. Le acque di Nepi, sono apprezzate, citate, descritte e disegnate, sin da epoca antichissima.

Gabinio Leto scrittore di epoca romana riporta: ”Città nobile e potente nei cui ubertosi campi sgorgano sorgenti di acqua salutari”. Le acque minerali di quest’area vennero per lungo tempo dimenticate ed utilizzate esclusivamente dagli abitanti del posto specialmente per le malattie della pelle e per quelle delle vie urinarie. Nel 1864 Giovanni Garelli ne parla nel suo libro “ Delle acque minerali d’Italia delle loro applicazioni terapeutiche” : “Nepi (Roma). Piccola città posta sulla strada da Roma a Civitacastellana, a 44 chilometri circa dalla Capitale, abbondano nei dintorni di Nepi le sorgenti minerali, che secondo un saggio analitico dei signori Commaille e Lambert contengono per ogni litro: Acido carbonico grammi 1,123, pari a cent. cubi 931,153 e perossido di ferro con tracce d‘allumina a 0,1666, Sali alcalino-terrosi in piccola quantità”.

Nel XIX secolo il medico Luigi Chiminelli se ne interessò dando alle stampe nel 1884 un breve saggio dal titolo Le sorgenti minerali di Nepi. Lo studioso, che aveva ispezionato personalmente quei posti, confermò come, pur essendo presenti nella zona di Nepi molte sorgenti minerali di diverse qualità, un loro serio sfruttamento non fosse mai stato tentato. Le prime analisi chimiche, compiute anni prima della pubblicazione di questo saggio dal medico Francesco Ratti, avevano evidenziato tre sorgenti: una di acqua acidulo-ferruginosa, una ferruginosa-sulfurea e un’altra di acqua acidula.

La valle di Nepi con i suoi 240 ettari è adornata da una vegetazione lussureggiante colma di sorgenti di acque minerali naturali che hanno prevalentemente origine da una falda o da un giacimento sotterraneo. Il bacino idrogeologico si trova su terreni di natura vulcanica che conferiscono all’acqua, con le note caratteristiche organolettiche, le sue proprietà digestive e la sua sottile effervescenza naturale.

L’acqua di Nepi è un’acqua effervescente naturale tra le meno mineralizzate; il suo contenuto di sali minerali è di poco superiore a quello delle acque oligominerali. L’equilibrio di sali come il calcio, il potassio, il magnesio e il manganese produce benefici effetti sull’organismo facendo dell’Acqua di Nepi un’ottima acqua da tavola efficace anche in molte situazioni fisiologiche e patologiche.

Ad oggi la sorgente con l’acqua effervescente naturale delle terme dei Gracchi è regolamentata a orario e viene chiusa dallo stabilimento Acqua di Nepi spa che detiene la concessione per l’imbottigliamento delle acque, mentre le sorgenti solfuree e ferruginose sono senza restrizioni.

Pietro Palazzini

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